La scelta di Sofien tunisino immacolato


REPUBBLICA 19 aprile 2011 — pagina 1 sezione: NAPOLI

SABATO scorso, alle due di pomeriggio, la caserma Andolfato di Santa Maria Capua Vetere è tornata vuota. Sono partiti gli ultimi migranti tunisini dei mille che erano arrivati nei primi giorni di aprile. Un po' meno di cinquanta migranti avevano tra le mani il "permesso di soggiorno per motivi umanitari". È una tessera plastificata, tipo le nuove patenti, che li rende persone libere di circolare, ma solo per sei mesi, quasi per tutta Europa. Erano felici, ringraziavano l' Italia e gli italiani. Avevano dimenticato gli stenti dei viaggi e soprattutto un nuovo tipo d' ansia, cominciata dopo aver toccato terra a Lampedusa. Molti migranti, fino al momento in cui hanno avuto nelle mani quella carta della salvezza temporanea, non avevano idea della sorte che li aspettava. Anche dopo la circolare del ministero dell' Interno (quella dell' otto aprile che spiegava i criteri di applicazione del decreto del presidente del Consiglio di tre giorni prima), la buona notizia che li riguardava non si era sparsa nella tendopoli della caserma Andolfato. P erchéi migranti erano in milleei traduttori volontari della Caritas erano uno o due, stremati da un lavoro quasi senza pausa. A un certo punto della mattinata di sabato si è diffusa la voce, o semplicemente la paura, che sarebbero stati tutti riportati in Tunisia. I migranti hanno cominciato a sporgere ogni carta posseduta dalla rete che li separava dal mondo: tesserini della Croce Rossa, carte magnetiche per aprire la porta delle cabine delle navi o semplicemente un foglio lacero, mille volte ripiegato, su cui, con una grafia chiara e in stampatello, era scritto il loro nome e cognome. Un padre sacramentino, Giorgio Ghezzi, annotava questi nomi e andava negli uffici a chiedere informazioni: una notizia per ogni singolo migrante. In questi giorni, padre Ghezzi e suor Rita Giaretta hanno offerto ai poliziotti della caserma Andolfato il servizio della così detta mediazione culturale: traducevano in francese gli ordini dei funzionari in cambio di notizie, buone o cattive che fossero, ma una per ogni nome e cognome.I migranti le aspettavano più del vitto, offerto in abbondanza. Tra ciò che si decide o non si decide a Roma e ciò che arriva nei luoghi di concentrazione dei migranti c' è un vuoto riempito dai fantasmi dell' attesa. La mente non accetta il vuoto, il migrante capta uno sguardo, una parola a stento decifrata e fabbrica immagini votate al malinteso. Un giovane di vent' anni, Sofien, proveniente da un villaggio tunisino al confine con la Libia, era certo che avrebbe ottenuto il permesso di soggiorno. Aveva con sé un vero e proprio dossier, fatto di documenti, tessere, carte e bigliettini. Mi ha detto che dal 2008, fino ai giorni della rivolta nel suo paese, ha viaggiato regolarmente tra la Tunisia, l' Italia e la Francia, che non ha mai avuto problemi con la giustizia, né lì in Tunisia, né qui in Europa. Ho provato a dirgli che il permesso di soggiorno per motivi umanitari spetta solo a chi è entrato in Italia dopo il primo gennaio 2011 e prima della mezzanotte del 5 aprile, che proprio il suo dossier, di cui tanto si fidava, lo escludeva dal privilegio. Lui mi ripeteva che non aveva «i precedenti», intendendo «precedenti penali». Arrivato il suo turno, Sofien è entrato negli uffici per il colloquio con i funzionari del ministero dell' Interno. Prima che si chiudesse la porta, gli ho gridato ciò che gli avevo già consigliato durante la lunga mattinata di attesa: «Sofien, chiedi asilo politico. È un tuo diritto. Non fartelo negare». Non so com' è andata, ma è certo che sabato Sofien non è tornato nella tendopoli, né è uscito in strada con gli altri suoi connazionali fortunati. Era tra i venticinque migranti tunisini messi in un pullman della polizia diretto a un centro di espulsione.


VALERIO PETRARCA