IL MATTINO DEL 29-05-2010 DI Alessandra Tommasino
Antonio Casale è il direttore del Centro Fernandes, una realtà di accoglienza e di sostegno degli immigrati inserita nel cuore della Domitiana, a Castelvolturno. Dal 1996 la struttura della curia vescovile di Capua rappresenta un punto di riferimento per gli extracomunitari.
Direttore, quanti extracomunitari sono attualmente ospitati dal centro Fernandes?
«I posti letto sono trenta, ma sono centinaia quelli che usufruiscono dei servizi messi a disposizione e dei percorsi di integrazione sociale e culturale che vengono promossi con impegno quotidiano nella struttura» Il ministro Maroni intende realizzare un centro di identificazione ed espulsione (Cie).
Cosa ne pensa?
«Ho tante riserve verso questi centri che si trasformano in luoghi di detenzione, dove purtroppo spesso i diritti umani vengono calpestati e dove mancano interventi di sostegno psicologico. Se poi si considera che le persone, secondo le nuove disposizioni normative, possono essere trattenute anche fino a sei mesi, allora il dramma è inevitabile».
La gente è preoccupata.
«Ma di cosa si preoccupano i cittadini? Non possiamo avere sempre un approccio egoistico ai problemi, piuttosto, se un centro di identificazione ed espulsione sarà realizzato sul nostro territorio, allora sarebbe il caso di impegnarci tutti affinchè vengano rispettati i diritti di persone che spesso provengono da realtà particolarmente difficili».
Come quelle che arrivano al Centro Fernandes?
«Da noi la maggior parte degli ospiti ha una richiesta di asilo politico, provenienti da posti del mondo in cui la vita non vale nulla. Ma negli anni sono passati tanti clandestini che poi hanno regolarizzato la loro posizione ottenendo un permesso di soggiorno, insediandosi onestamente nel tessuto sociale e lavorativo del luogo di accoglienza».
Quindi l’idea di aprire un Cie non è un modo giusto per affrontare la questione dell’immigrazione?
«Finchè una legge c’è, anche se non ci piace, è giusto rispettarla, ma speriamo che possa cambiare al più presto».
In che modo?
«Magari rendendo più agevole l’accesso alla possibilità di un permesso di soggiorno. Oggi è praticamente impossibile averne uno. Se almeno si consentisse un permesso per la ricerca del lavoro, già si potrebbe raggiungere un buon risultato» L’integrazione è possibile in un territorio complesso come Castelvolturno?
«La vera risposta all’ immigrazione dovrebbe essere proprio questa: integrazione. Purtroppo però si continua a vivere il fenomeno come emergenza e non come aspetto consolidato di un luogo. A Castelvolturno, dove vivono circa duemila immigrati regolari, e circa 8000, tra irregolari e regolari non residenti, gli extracomunitari ci vengono da venti anni».
La negligenza delle istituzioni può favorire la clandestinità?
«Sicuramente anche la mancanza di informazioni, il disorientamento, l’assenza di servizi favoriscono la clandestinità. Senza l’attenzione delle istituzioni, diventa molto facile anche trasformarsi da regolare in irregolare. Il fatto è che ognuno dovrebbe fare la propria parte, altrimenti la presenza di extracomunitari sul nostro territorio verrà vissuta sempre come disagio e mai come ricchezza ed opportunità».