A Napoli la vita va avanti come in tutte le
città. La morte è presente tutti i giorni e i miracoli sono sempre meno. Ecco
cosa racconta il documentario realizzato da Parissone e Burchielli.
Dopo l’inchiesta sul CPT di Lampedusa, i mesi di
lavoro di "Stato di paura", il docufilm sul muro di via Anelli a Padova, i
registi-giornalisti Mauro Parissone e Roberto Burchielli, sono tornati con
un film su Napoli, "Napoli vita morte e miracoli".
Se le riprese per la realizzazione di questo
documentario non sono durate tre mesi come per il precedente di Padova,
probabilmente poco ci è mancato. Parissone e Burchielli, ancora una volta, si
contraddistinguono per la minuziosità del loro lavoro. Risultato: una fotografia
di Napoli fatta da molteplici angolature, da tutte le prospettive, realizzata,
facendo parlare i protagonisti.
Il racconto di "Napoli vita morte e miracoli"
parte dalla prospettiva di due adolescenti di un rione popolare e da quella,
parallela, di un nucleo di poliziotti specializzato in microcriminalità, i
Falchi. Seguendoli, si entra direttamente nelle loro vite, si arriva alle loro
famiglie, ai loro amici.
Abilmente il filo conduttore è duplice, si
interseca e si sovrappone, mantenendo una chiarezza disarmante che è poi quella
della realtà di Napoli di tutti i giorni. C’è il lavoro dei due poliziotti, i
Falchi, con i quali i giornalisti vanno “in strada”, rischiando, per seguirne le
giornate, l’impegno quotidiano, tra la speranza di fare bene il proprio lavoro
senza “cadere in servizio” (come il padre di uno dei due, morto a 31 anni) e il
senso di impotenza di fronte a scene quotidiane di malavita.
Il loro lavoro si “incrocia” con la vita di due
adolescenti, ragazzini di 15 anni che parlano già come camorristi e affermano
che in una città come Napoli, senza lavoro, rubare è l’unico modo per procurarsi
la maglia griffata e il telefonino che servono per fare colpo sulle ragazze e
magari farsi anche qualche lampada.
Parissone e Burchielli affrontano anche i luoghi
comuni della città. In una cena di “ragazzi bene” (alcuni che vivono ancora a
Napoli, altri che stanno fuori), tutti i problemi di Napoli vengono analizzati,
esaminati.
Seguono i funerali di Mario Merola, simbolo di una
Napoli da commedia napoletana in cui alcune donne, madri di quei giovani che
abbiamo visto come trafficanti di droga e baby scippatori, trovano momenti di
sollievo e di distrazione nella sceneggiata, benché Merola stesso rappresentasse
una Napoli inesistente, divisa tra buoni e cattivi, in cui erano sempre questi
ultimi a soccombere.
I due giornalisti si sono infilati in casa delle
persone, per descrivere tutti i volti di una Napoli che è anche quella della
borghesia rassegnata e disillusa, costretta a scendere a compromessi con la
malavita; la vita è anche quella della gente normale, che ha imparato a dividere
la sua quotidianità con cumuli d'immondizia sulle strade. Ma non solo. A Napoli
il problema della sicurezza sociale è all'attenzione delle cronache quotidiane:
si rischia di essere aggrediti per una rapina o uno scippo da adolescenti che
dichiarano apertamente la propria situazione di “impunità” ai poliziotti, perché
sono minori.
Parissone e Burchielli raccontano tutti i volti di
questa Napoli senza dire una parola. A parlare sono le inquadrature, i
cittadini, i volti, i rumori (Elena Romanato).