"Cous cous", l'immigrazione sul grande schermo
l film del regista franco-tunisino Abdellatif Kechiche.
Una famiglia di immigrati nella sua quotidianità, tra
conflitti, riconciliazioni, gesti di affetto,
solidarietà.
Roma - 4 gennaio 2008 - Una cena a base di cous cous per
riscattare le umiliazioni di una vita. A quattro mesi
dall'anteprima mondiale arriva l'11 gennaio nelle sale
italiane l’ultimo film del regista franco-tunisino
Abdellatif Kechiche, vincitore del Gran Premio della giuria
alla Mostra di Venezia. Parla di immigrazione, di famiglia,
di diversità nelle sue diverse accezioni. Il tradizionale
cous cous arabo fa da titolo e da cornice a questa pellicola
che ha già conquistato il pubblico francese. Infatti, dopo
il premio speciale della Giuria, il Marcello Mastroianni
come miglior attrice emergente a Hafsia Herzi, La
Navicella-Cinema, il Fipresci, La graine et le mulet -
questo il titolo originale – ha vinto anche il Prix Louis
Delluc 2007.
Il protagonista di “Cous Cous”, Slimane (Habib Boufares), è
un sessantenne di origine magrebina che lavora nel cantiere
navale di Marsiglia. Grazie a quel lavoro faticoso e
logorante è riuscito, come molti altri nordafricani arrivati
in Francia negli anni '50 e '60, a mantenere la sua
famiglia. Slimane si sente affettivamente legato ma anche
distante dai suoi familiari, forse perché la sua e quella
dei suoi figli sono due culture vicine ma non più uguali.
Quando perde il posto perché il mercato chiede sempre più
flessibilità e maggiore produttività, Slimane rischia di
crollare. E' divorziato, vive in una pensione insieme ad
altri anziani immigrati della sua età, e l'unica
consolazione è la sua famiglia allargata, i suoi figli, i
nipoti e Rym, la figlia della donna con cui da anni ha una
relazione. Sarà lei il motore della nuova avventura che
Slimane intraprenderà con l'aiuto degli altri figli: aprire
un ristorante su una vecchia barca ancorata nel porto,
attività che lascerà ai suoi eredi, unico legame tra passato
e futuro.
"Con questo film - ha spiegato il regista, a Roma per
presentare il film, - volevo mostrare un milieu sociale, al
quale anche io appartengo, che non ha mai visibilità sui
media. Slimane, come mio padre e come molti altri magrebini,
sono partiti 50 anni fa dal loro Paese per un viaggio che
non sapevano come sarebbe andato a finire. Per me sono degli
avventurieri venuti da lontano per costruire il loro futuro,
che meritano tutta la nostra ammirazione".
Nel film, girato con una tecnica quasi documentaristica, la
figura del vecchio, magro e stanco Slimane, si contrappone
alla vitalità delle donne della sua famiglia, immigrate di
prima e seconda generazione, piene di energie, forti,
decise, con un desiderio di riscatto forse maggiore di
quello degli uomini. "Le donne di queste comunità sono
spesso raffigurate dai media in maniera caricaturale. Ma io
le conosco, non sono affatto sottomesse, dominate dagli
uomini, ma forti, generose, volitive", ha spiegato il
regista.
L’umanità dei personaggi è motivo centrale ed è resa
realistica grazie ai primi piani, ai dialoghi semplici e
naturali. "Ho chiesto ai miei attori di non recitare ma di
mangiare, parlare, ridere veramente. Volevo che gli
spettatori amassero queste persone e questa comunità come la
amo io".
Abdellatif Kechiche racconta insomma una famiglia di
immigrati nella sua quotidianità, tra conflitti,
riconciliazioni, gesti di affetto, solidarietà. Che intorno
ad una tavola e ad un buon cous cous - veicolo di ricordi,
identità e tradizioni - ritrova comunque l'allegria. E’
proprio la lunghissima preparazione del cuos cuos – “un atto
d’amore” dicono nel film - in occasione dell’inaugurazione
del ristorante a costituire uno dei momenti più intensi.
Ciliegina sulla torta - una danza del ventre finale che non
può passare inosservata.
“Cous cous” non è la prima prova della maestria di
Abdellatif Kechiche. Tre anni fa il regista di origini
tunisine aveva già conquistato il pubblico internazionale
con ‘La schivata’, la sua seconda –anche questa premiata -
esperienza dietro la macchina da presa.