DALL’ACCOGLIENZA ALLA VIGILANZA

 

EDITORIALE DEL 08-05-2011

 

Il grande problema dei mille e più tunisini raccolti nell’ex Caserma Andolfato si è risolto prima e meglio di ogni previsione. E’ bastato un semplice provvedimento amministrativo, il cosiddetto “pezzo di carta”, per far dissolvere come neve al sole il fantomatico  “pericolo” dell’invasione di ben 15.000 nordafricani. Nessuno ne parla più: sembrano volatilizzati. A tutti i profeti di sventura è stato dimostrato in maniera inconfutabile che nell’immigrazione non esiste mai un problema di invasione, ma semplicemente un problema di civile e ordinata accoglienza. Tuttavia ora che non siamo più preoccupati di quelli che sono finalmente usciti dalla Andolfato, quasi nessuno sembra  preoccuparsi di quelli che vi sono rimasti. Un'ordinanza del Presidente del Consiglio ha decretato che dal 21 aprile scorso le strutture di accoglienza per immigrati di Santa Maria Capua Vetere, Palazzo San Gervasio in provincia di Potenza e Kinisia in provincia di Trapani opereranno in qualità di Cie (Centri di identificazione e di espulsione), non oltre il 31 dicembre 2011. Con un altro semplice “pezzo di carta” si è trasformato un campo di accoglienza in un vero e proprio carcere per immigrati in attesa di espulsione. Ci troviamo di fronte una situazione totalmente diversa e inaspettata. L’istituzione di un Cie, infatti, non risponde a quell’ideale di accoglienza che avevamo additato a sostegno dell’apertura del campo di S. Maria C.V.  Non a caso qualcuno si è spinto a definire la caserma come una seconda Guantanamo, minacciando addirittura di fare una nuova “Breccia di Porta Pia” nella grande muraglia per ridare libertà ai “detenuti”.  Pur se non condivido questi toni estremistici, è evidente che tale situazione non può lasciare indifferenti. Sebbene, infatti, non possiamo negare allo Stato il diritto di approntare un sistema di identificazione dei migranti irregolari, allo stesso tempo non possiamo permettere che vengano violati i diritti fondamentali della persona e negata la speranza. E’ questo, infatti, uno dei punti più controversi nelle legislazioni sull’immigrazione che è difficile risolvere. Non vi era riuscita nemmeno la legge Turco Napolitano che aveva introdotto i Cie nonostante fosse ispirata a maggiore spirito di accoglienza. In ogni caso, se anche si dimostrasse che questi impropri luoghi di detenzione fossero necessari, essi devono sempre  avere il massimo rispetto della dignità del migrante la cui unica colpa è quella di fuggire da situazioni di povertà senza futuro. Se, dunque, da queste pagine siamo stati fermi nell’invitare ad essere a fianco dello Stato nel momento della solidarietà, sfidando le paure e i pregiudizi, ora siamo altrettanto fermi nel dire che saremo vigilanti. Nessuno sconto può essere fatto al dovere di rispettare il dramma di tante persone costrette a vivere in una tendopoli in attesa di una dolorosa espulsione. Con altrettanta fermezza saremo impegnati a far si che  questa situazione cessi molto prima della data fissata dal decreto.