IL PRESEPE DELLA CRISI

Editoriale di Kairosnews del 11 dicembre 2011

“Lo stile di Giovanni Battista dovrebbe richiamare tutti i cristiani a scegliere la sobrietà come stile di vita, specialmente in preparazione alla festa del Natale, in cui il Signore – come direbbe san Paolo – da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà”. Con queste parole il Papa all’Angelus di domenica scorsa ha ricordato la figura e l’esempio di Giovanni Battista nel particolare tempo di Avvento. Un messaggio in controtendenza con la generale corsa alle spese ed allo spreco che si risveglia in questo periodo dell’anno, ma in perfetta sintonia con la crisi che ci attanaglia e con il drammatico scenario di guerre e di persecuzioni che vi sono nel mondo. Non a caso nella stessa occasione il papa ha lanciato un forte appello alla solidarietà con chi deve abbandonare il proprio Paese, ricordando che il 5 dicembre si sono celebrati i 60 anni dall’istituzione dell’”Organizzazione Mondiale delle Migrazioni” (IOM/OIM), della quale a partire proprio da questa data  fa parte anche la Santa Sede. “Affido al Signore quanti, spesso forzatamente, debbono lasciare il proprio Paese, o sono privi di nazionalità. Mentre incoraggio la solidarietà nei loro confronti, prego per tutti coloro che si prodigano per proteggere e assistere questi fratelli in situazioni di emergenza, esponendosi anche a gravi fatiche e pericoli.” La preghiera del Papa si rivolge anche ai tanti tra noi che si sono dedicati all’opera di accoglienza  della “Casa della Divina Misericordia” ed a tutta la nostra Diocesi che da anni è impegnata in prima linea in questo campo. In merito all’ impegno delle organizzazioni cattoliche, l’Arcivescovo Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Ufficio delle Nazioni Unite, ha osservato che esso “si basa sulla convinzione della dignità unica e della comune appartenenza alla stessa famiglia umana di ogni persona, che è antecedente a qualsiasi considerazione culturale, religiosa, sociale, politica o di altro genere.” Insomma, il mondo si fa sempre più piccolo e ci costringe a perdere tante sicurezze e rivedere anche le nostre più antiche tradizioni. Non possiamo più pensare al Natale come una poetica festa “nordica” fatta di favolose renne volanti  e dolci fiocchi di neve. Il Natale sarà sempre più la festa del “Sud del mondo”, con i cammelli al posto delle renne e le tempeste di sabbia al posto della neve. Lo stesso Babbo Natale dovrà imparare a vestirsi di peli di cammello come Giovanni Battista e a cibarsi di locuste al posto di panettoni e succulenti torroncini. Al tradizionale albero di Natale, con palle e luci multicolore, dovremo sostituire  una palma con datteri o cocchi. Neanche i pastori, sempre raffigurati in multiformi attività commerciali, potranno rimanere gli stessi: troppo lusso in quelle tavernette con prosciutti, teste di porco e frutti lussureggianti. Ad essi  dovremo sostituire tanti giovani disoccupati o rivoluzionari in cerca di lavoro e libertà. L’unica cosa che rimarrà invariata sarà la grotta con Giuseppe e Maria, il bambino, l’asino, il bue. Nemmeno i più astrusi e fantasiosi maestri di ingegneria presepiale sono mai riusciti ad inventarsi una scena più bella ed attuale. Abbiamo visto presepi di tutti i tipi, ambientati nei posti più impensabili: nello spazio, nelle metropoli, nelle televisioni o nelle bottiglie, ma nessuno è riuscito mai a inventarsi una scena più sconvolgente di quel trittico divino riscaldato solo dall’amore di Dio e da due economiche stufe animali.