L'etnomusicologo ha cantato «Grande Sud»
Ottimo esordio all'Ariston del cantautore del «taranta power» napoletano, apprezzato dalla critica
NAPOLI - Eugenio Bennato ha portato la sua rivoluzione neofolk a Sanremo. Premiata, per ora, dalla critica: nelle sue pagelle sul «Corriere della Sera» Mario Luzzatto Fegiz gli ha elargito 7 e mezzo (secondo voto migliore dopo la Tatangelo). La motivazione? «Brano che illumina un nobile folk italiano [...] Tappeto musicale esotico, stupenda fonè, orgoglio meridionale».
Bennato si è esibito per quart'ultimo. Per la canzone «Grande Sud» l'etnomusicologo e cantautore napoletano ha schierato una formazione multietnica con il marocchino Mohammed Ezzaime El Alaoui, Zaina Chabane che arriva dal Mozambico ed Esha Mbotizafi dall'isola del Madagascar. Completano la band due calabresi Francesco Loccisano e Stefano Simonetta e due pugliesi Roberto Menonna e la ballerina Sonia Totaro. «Ma qui mi annoio — diceva ieri, poche ore prima dello spettacolo, Eugenio Bennato — è tutto molto rilassato e non c'è la tensione del vero concerto... ».
Non la impressionano i grandi numeri della televisione?
«No. E poi qui c'è gente che non ha idea di cosa significa
suonare dal vivo. Se qualcuno ha visto qualche mio concerto sa
bene quanta energia ci vuole. Ma io qua devo fare una sola
canzone. Una passeggiata »
Si considera un outsider?
«Ma si, penso di sì. Con tutto il rispetto per tutti gli altri
che sono qui questa sera e nei prossimi giorni. Gli ospiti sono
ben diversificati. Ci sono tante cose diverse, eppure sono certo
che di fatto io propongo una cosa diversa. La mia sarà una vera
e propria irruzione in un sistema ormai consolidato».
Il «potere della taranta» travolgerà Sanremo?
«Sarà una rivoluzione. Una cosa abbastanza inusuale. Certamente
mai vista né ascoltata prima qui».
Per la seconda volta a Sanremo e anche la prima volta fu un
intervento musicale un po' insolito...
«Molti anni fa con Tony Esposito e anche allora eravamo come due
pulcini spennati, due pesci fuor d'acqua. Un'esperienza che ci
divertì ma eravamo anche allora due estranei. Il fatto che mi
abbia chiamato Pippo Baudo credo che sia un fatto comunque
positivo».
Non rischia di rimanere vittima di un meccanismo troppo
commerciale?
«È anche l'occasione per la soluzione di un equivoco: da anni la
mia musica è seguita da migliaia di persone molto motivate. Non
solo la vendita dei dischi, ma la risposta ai concerti mi da la
certezza che c'è una discrepanza tra la vitalità di un movimento
musicale e l'attenzione che gli riservano i mass media. In
questa Italia devastata dall'ignoranza la radio, la stampa e la
tv sono in una corsa folle verso i prodotti stranieri. Una
minaccia per la nostra cultura più antica. Ci sono musicisti
italiani che scrivono testi in inglese, e questa è una follia».