IL LAVORO E LE STIME DI UNA RICERCA DI UNIONCAMERE
Record di nuove imprese: l’immigrazione è anche questo
GIANNI MANGHETTI
 

La statistica ci aiuta a capire meglio chi siamo nel mondo che cambia sotto i nostri occhi, un mondo, quello dell’Italia economica, che va sempre più letto ed interpretato assieme ai nuovi venuti. Gli immigrati, appunto. La foto è scattata dall’Unioncamere ed è ricca di elementi noti e meno noti. Qui preme cogliere, dentro l’insieme, i dati relativi alle imprese degli immigrati. Già, anch’essi possono avere il coraggio di divenire imprenditori, cioè di assumere direttamente il rischio di intrapresa a carico, più che del loro modesto capitale, della loro vita. Ebbene, le imprese individuali iscritte - ben documentate, quindi - nel relativo registro e facenti capo a persone nate al di fuori dei confini dell’Unione Europea, erano, a fine 2007, ben 225.408 con un incremento rispetto al 2006 di circa 17.000 unità. Va aggiunto, allo scopo di meglio interpretare ciò che è accaduto nel corso del 2007, che l’intero incremento di tutte le nuove imprese, facenti capo ad italiani e non, è stato solo di 13.000 unità. Dunque, senza le nuove imprese degli immigrati il Paese avrebbe registrato una riduzione, rispetto al 2006, del numero delle imprese iscritte.
  Lavoriamo con loro, ormai, e loro lavorano con noi e accanto a noi.
  Questo è un fatto che anche la statistica, oltre la vita, ci impone di considerare. Allora,ricordiamoci sempre di leggere la foto del Paese con gli immigrati non soltanto nelle brutte pagine della cronaca ma anche in quelle, pure loro 'centrali' ed illuminanti, dell’economia o, meglio, del lavoro. In effetti, dentro il Paese gli immigrati contano e non poco nel produrre reddito, nel contribuire ad aumentare il Pil. Secondo le stime dell’Unioncamere e dell’Istituto Tagliacarne essi hanno contribuito alla formazione del valore aggiunto nazionale per il 9,2% (a fronte dell’8,8% precedente), con punte dell’11% nelle regioni più industrializzate e con percentuali di ben il 20% nel settore delle costruzioni e di oltre il 13% nell’agricoltura. Il che significa, va detto con chiarezza, che se non ci fosse stato il valore aggiunto prodotto dal loro lavoro e dalle loro iniziative il nostro reddito sarebbe stato perfino più contenuto. Come sarebbero state costruite le case che abitiamo? Come avremmo raccolto i prodotti agricoli che abbiamo mangiato? Ebbene, considerate le modeste dimensioni relative del nostro reddito rispetto a quello realizzato dagli altri paesi europei, saremmo stati certamente ancor meno allegri. Ancora, con la stessa chiarezza, occorre ulteriormente aggiungere che il loro contributo all’incremento del reddito ha permesso la riscossione di maggiori imposte da parte del Tesoro e, quindi, una minore tassazione, a parità di spesa, a carico dei cittadini italiani.
  Un suggerimento, infine, se è consentito, all’Istituto Tagliacarne.
  Sarebbe quanto mai utile che accanto alla valutazione del contributo al valore aggiunto nazionale prodotto dal lavoro degli immigrati, venisse stimata anche la quota di spesa pubblica a loro destinata. Ciò al fine di valutare quale politica redistributiva adottiamo. Forse saremmo costretti a registrare qualche altra picconata ad un certo modo di vederli e considerarli.