«A Leicester l’integrazione funziona»
Gli immigrati sono il 21%: così teatri e ristoranti ora si adeguano
DA LEICESTER
L a mappa sociale della Gran Bretagna è in perpetua trasformazione al punto che
tra meno di dieci anni, sostengono alcuni sociologi del Birkbeck College di
Londra, in alcune città la popolazione bianca sarà una minoranza. Una di queste
è Leicester, antica cittadina delle East Midlands, posizionata tra Birmingham e
Londra. Qui il 21 per cento della popolazione, circa sessantamila cittadini, è
nata fuori dalla comunità europea. Di questi, trentamila sono musulmani su un
totale di 280mila abitanti.
Nonostante la maggior parte della minoranza etnica sia composta da indu, il 14
per cento, il numero dei musulmani sta crescendo a vista d’occhio spingendo
inevitabili trasformazioni della mappa sociale e culturale della città. Per
favorire l’integrazione di una comunità così variegata, dove nelle scuole
l’inglese è spesso la seconda lingua parlata dagli studenti, l’amministrazione
locale sta attualmente investendo in progetti culturali finanziati dall’Arts
Council che hanno anche lo scopo di rigenerare un’area, quella delle East
Midlands, che per anni è stata trascurata. Se è vero che ancora esistono a
Leicester i quartieri musulmani e quelli indù e che in alcune zone essere
bianchi e britannici non è gradito, ci spiega Geoff Rowe, direttore del
Leicester Comedy Festival, «è anche vero che oggi durante uno show, davanti a un
pubblico completamente misto, è possibile fare battute sugli indiani e i
musulmani senza che nessuno si offenda». Stella McCabe, vice direttrice di
Curve, il nuovo teatro e centro culturale di Leicester, una sorta di
Bilbao-GehryGuggenheim costato 60 milioni di sterline e ancora da completare
(il primo show è previsto a novembre), è d’accordo.
«Quando ci siamo messi a tavolino per decidere come gestire questo spazio
enorme – ci dice – ci siamo trovati di fronte al dilemma di dedicare una delle
stanze alla preghiera dei musulmani. Ma non lo abbiamo fatto. Una stanza esiste
e i musulmani la possono usare per la preghiera, se vogliono, ma la stessa
stanza può essere usata anche per altre occasioni come feste e matrimoni». «Dopo
anni di sottosviluppo sociale e culturale – conclude la McCabe – la città si sta
rigenerando prendendo coscienza della sua diversità e accettandola senza
ghettizzarla».
Leicester, dice Laura Dyer, resonsabile dell’Arts Council East Midlands,
«rappresenta perfettamente la Gran Bretagna moderna con le sue diversità
etniche, religiose, sociali e culturali. Basta fare un giro per le strade del
centro ma anche della periferia per rendersi conto che qui l’integrazione sta
funzionando. L’uso della città con i suoi edifici medievali trasformati in
mosche o templi indù è diventato consuetudine e non offende nessuno.
L’accostamento di centri commerciali tradizionalmente britannici come John
Lewis accanto a ristoranti indiani o librerie musulmane sono molto comuni». «Pukka
Pies – dice indicando un ristorante vicino al teatro Cruve – parla da solo
offrendo ai clienti torte salate tipicamente inglesi ma speziate all’indiana».
Elisabetta Del Soldato