Omelia dell’Arcivescovo di Torino alla Veglia di Preghiera per i martiri della fede e i migranti defunti (Torino, chiesa dei Ss. Martiri, 18 luglio 2018)
“La stage degli innocenti”
«Non temete quelli che possono uccidere il vostro corpo ma non hanno potere
sulla vostra anima», dice il Signore (cfr. Mt 10,28). Ogni anno ci troviamo
nella Chiesa dei santi Martiri, per celebrare la memoria di tante persone che
sono morte a causa della loro fede cristiana e religiosa, ma anche di tanti
nostri fratelli e sorelle immigrati e rifugiati, che continuano a morire nel Mar
Mediterraneo alla ricerca di una vita più serena nei Paesi europei. Queste
tragiche morti fanno da corollario a tante altre violenze e soprusi, di cui sono
oggetto molti immigrati, tante donne in particolare, e anche molti minori. Nel
Mediterraneo, che i romani chiamavano “mare nostrum”, il “nostro mare” che univa
l’Europa all’Africa e all’Oriente, si rinnova la strage degli innocenti.
Purtroppo, l’immigrazione verso il nostro Paese, che è esplosa in tempi e
modalità sempre più intensi, ha suscitato in tanti, anche credenti, serie
difficoltà nell’accettare quella accoglienza serena e positiva che dovrebbe
essere propria di un popolo, come il nostro, che di emigranti ha riempito il
mondo. Torino e il nostro territorio si sono mostrati sempre accoglienti e in
questo la Chiesa è stata ed è in prima linea. L’accoglienza, che comprende
ovviamente anche il salvataggio in mare degli immigrati, in barconi spesso
fatiscenti, rappresenta un necessario passo, che dovrebbe essere posto alla base
del nostro rapporto con ogni persona che chiede aiuto, sia italiano che
straniero. Appellarsi alla responsabilità degli altri Stati Europei per
affrontare insieme il problema dell’immigrazione in atto, in forte crescita, è
giusto e doveroso, ma non può diventare un alibi per chiuderci a riccio e
rifiutare e abbandonare al loro destino quanti giungono nei nostri mari, dopo
lunghe e dolorose esperienze di guerra o di povertà estrema, molti dei quali
anche minori e donne indifese, che hanno dovuto subire violenze di ogni genere.
Il rifiuto ingenera una cultura e comportamenti carichi di preconcetti verso
questi fratelli e sorelle, che possono sfociare in atteggiamenti e comportamenti
razzisti e discriminatori, di cui abbiamo avuto triste esperienza nel passato.
Lo dico sul piano delle ragioni umanitarie e civili; ma, per chi è cristiano,
tutto questo dovrebbe essere doppiamente significativo, anche come dovere
religioso di grande importanza, avendo Gesù deciso di identificarsi con ognuno
dei “fratelli più piccoli” (cfr. Mt 25,31-46). Ci ricorda infatti il Vangelo che
saremo giudicati su come avremo accolto e riconosciuto il Signore in chi ha
fame, sete, è nudo o è in carcere o ammalato e in chi è forestiero: tutto ciò
che avremo fatto a uno di questi fratelli, lo avremo fatto a Lui e, se non lo
abbiamo fatto, abbiamo rifiutato Lui. Ma l’accoglienza dei senza dimora, di
coloro che hanno perso la casa e il lavoro e degli immigrati e rifugiati non
basta a garantire loro una vita serena e dignitosa. Occorre procedere poi con
l’accompagnamento, l’integrazione, la formazione, lo sbocco occupazionale, la
condivisione dei propri valori culturali, religiosi e sociali. Sono i passi
necessari per garantire a ognuno quella autonomia che permette non solo di
impostare per il futuro la propria vita, ma di contribuire con il proprio
apporto alla crescita del
IL DIRETTORE GENERALE
Via Aurelia, 796 - 00165 Roma - Tel. 06.66179020 dir. - 06.66179030 segr. - Fax
06.66179070-1 e-mail: segreteria@migrantes.it - Sito internet: www.migrantes.it
bene comune dell’intera società. Così, tanti fratelli e sorelle poveri o
immigrati possono rappresentare anche una risorsa per la comunità civile. Quello
che mi preoccupa in tutto questo è che, mentre c’è una larga schiera di
volontari e realtà laiche e religiose che si coinvolgono con i problemi della
povertà e delle necessità sia di italiani che stranieri, il popolo di Dio e la
comunità civile restano spesso apatici e sembrano subire la situazione senza
reagire, mostrando insofferenza, pregiudizi e ostilità. Dobbiamo dunque operare,
oltre che in favore dei nostri fratelli e sorelle in difficoltà, anche sul campo
educativo e formativo, culturale e sociale, oltre che religioso, per sostenere
le ragioni dell’accoglienza nella mentalità, nello stile e scelte di vita di
ogni membro della comunità. È dunque importante che le Chiese cristiane, i
fedeli dell’Islam e di altre realtà religiose presenti sul nostro territorio
facciano un patto di alleanza per raggiungere questi obiettivi comuni. La
preghiera di questa sera, oltre al ricordo dei martiri defunti, è anche la
richiesta al Signore di sostenere l’impegno di tutti noi, perché si avvii una
politica e un’azione congiunta, sia sul piano religioso che culturale e sociale,
capace di affrontare questo problema con giustizia e solidarietà. Noi riteniamo
che la preghiera possa favorire tutto ciò, perché, solo se Dio ci aiuta e ci
guida, possiamo sperare di rinnovare il cuore di ciascuno e aprirlo alla
conversione di cui ha bisogno, per impegnarsi a edificare una società più ricca
di umanità e di amore verso tutti, nessuno escluso.
+Cesare Nosiglia Arcivescovo di Torino