15 novembre

Repubblica - Napoli
Immigrati e Mezzogiorno
di Enrica Amaturo, Enrico Pugliese

Ci sono due tematiche in Italia sulle quali tende solitamente a scatenarsi l´immaginario del pubblico in generale e degli opinionisti in particolare. Esse sono la realtà culturale e sociale di Napoli e la realtà dell´immigrazione. Il recente articolo di Francesco Merlo su “Repubblica” è riuscito a saldarle riproponendo con grande accuratezza alcuni degli stereotipi correnti riguardanti l´una e l´altra realtà. Ciò che scrive Merlo ce lo sentiamo dire continuamente, a volte anche con una punta di cattiveria, il che non è il caso dell´articolo di Merlo, i cui giudizi e le cui insultanti considerazioni sembrano essere semmai accompagnate da una certa simpatia verso il contesto oggetto della sua analisi. Secondo Merlo, nel Mezzogiorno e a Napoli si verificherebbe tra immigrati e locali una sorta di integrazione sullo fondo della cultura della illegalità, una naturale alleanza tra marginali devianti che non può che perpetuare il malessere esistente.
Il termine insultante riferito alle considerazioni di Merlo può sembrare strano a chi non ha letto l´articolo, al quale per altro ha risposto con la chiarezza di un matematico il rettore della Università Federico II, Guido Trombetti. Raccomandiamo la lettura di entrambi gli articoli. Quello di Trombetti parte proprio da una delle affermazioni più sorprendenti di Merlo, che merita di essere qui riportata: «Un mondo illegale, come quello astuto dei meridionali trova familiare l´illegalità degli immigrati, il loro commercio senza regole, l´uso predatorio del territorio». La presunta illegalità astuta dei meridionali e la presunta illegalità predatoria degli immigrati meriterebbero qualche elemento di chiarimento sulla situazione effettiva degli immigrati a Napoli e sulla città in generale.
Ma forse sull´astuzia illegale meridionale - di lombrosiana ascendenza (anche se per Lombroso la razza dei meridionali, la razza maledetta, non era costituita da astuti, ma solo propensa all´illegalità) si può lasciar correre.
Passiamo perciò ai predatori, ai poveri immigrati. Sono passati più di venti anni da quando cominciammo a condurre i primi studi sull´immigrazione. E ci sfuggì l´illegalità delle domestiche eritree tanto amate dalle bambine e dai bambini della borghesia napoletana (che sono oggi già mamme e padri). E lo stesso si può dire delle filippine che per lungo tempo hanno rappresentato la comunità più numerosa. Sempre all´inizio c´erano i commercianti ambulanti maghrebini che giravano per tutti i paesi dell´entroterra campano. Certo non rilasciavano la ricevuta fiscale, in generale, e non avevano neanche la licenza. Infatti non potevano averla. Effettivamente non ci parve così grave: forse perché partecipi anche noi di quella pericolosa tolleranza che come un virus infetta i meridionali e produce sottosviluppo. Oppure perché all´epoca si discusse tra gli studiosi di immigrazione di queste tematiche e la rivista “Studi Emigrazione” (la più autorevole in materia) propose di parlare di alegalità in riferimento alla situazione di questi lavoratori, irregolari per definizione giacché mancava ancora in Italia una legislazione che ne regolasse la presenza e perciò non potevano avere né licenza né rilasciare ricevuta. Cosa grave? Forse. Certo è però che c´erano anche a Ravenna a Pisa e a Trento. Astuzia illegale anche dei trentini?
Soprattutto - negli anni successivi, quando l´immigrazione divenne un fenomeno ancor più di massa - non ci accorgemmo della propensione all´illegalità di coloro i quali cominciarono a lavorare nell´edilizia e soprattutto in agricoltura, lavorando di nuovo senza permesso di soggiorno e per salari di fame. Anzi di un´illegalità frequente ci rendemmo conto - una illegalità poco sanzionata dalle leggi e dalle prassi dello stato italiano - che è quella del lavoro nero subito soprattutto nel Mezzogiorno dai lavoratori - immigrati e non - a tutto vantaggio dei datori di lavoro. E qui la camorra non c´entra nulla. Il lavoro nero, il super sfruttamento, le condizioni di lavoro inaccettabili esistono del tutto a prescindere dalla presenza della camorra sul territorio, che ovviamente c´è ed è pesante, ma che con questo c´entra poco. Si tratta di un grosso capitolo, ma di un altro capitolo. E naturalmente c´entra poco anche la “cultura meridionale”. Se gli immigrati hanno trovato da subito un´occupazione nel lavoro nero è perché si sono trovati in strutture produttive per molti versi arretrate in situazioni dove i rapporti di forza tra datori di lavoro e lavoratori sono assolutamente impari. Non erano predatori, erano semmai prede di datori di lavoro nero come ce ne sono al Nord e al Sud.
Il “buttarla sull´antropologico” facilita il compito dell´osservatore. Tutto si spiega con la cultura dei napoletani, tra i cui difetti ormai primeggia - nelle gratuite e disinformate geremiadi su Napoli - la tolleranza (intendiamoci: tolleranza verso la illegalità), quale espressione di un più generale spirito accomodante che impedisce di uscire dal degrado: in questo degrado si collocherebbero splendidamente gli immigrati. Non si può chiedere a un giornalista di condurre una analisi sociologica o antropologica accurata. Ciascuno fa il suo mestiere. Ma di non partire da pregiudizi lo si può pretendere. I commenti insultanti sugli immigrati sono spesso espressione di un processo psicologico e culturale complesso, che è al contempo frutto di scarsa conoscenza ma anche di atteggiamento particolare. Il processo mentale che spesso capita di osservare quando si leggono cose strambe sugli immigrati è quello della “reductio ad unum”, operazione ipersemplificativa tipica della personalità autoritaria, come la descrive Adorno. Si generalizza così a tutti gli immigrati delle province napoletane ciò che si vede a Piazza Ferrovia. Non si pensa che gli immigrati hanno modelli migratori diversi, diversa composizione per genere e per età a seconda delle diverse nazionalità, diversi mestieri, con un forte etnicizzazione dei mestieri stessi, come dappertutto nel paese: gli immigrati perdono nazione, sesso, mestiere, cultura nazionale ed etnica, morale, abitudini e quant´altro. C´è una cultura unica degli immigrati, nella quale primeggia lo spirito predatorio, così come c´è una lingua unica: evidentemente lo “stranierese”.
Il gusto morboso - per altro espresso anche da autori partenopei - per l´eclatante porta a riferire tutto quel che succede a fattori culturali. E così mentre la realtà sociale e culturali dei cinesi a Prato o a Campi Bisenzio entra nel campo degli studi migratori, a Napoli, dove i cinesi fanno gli stessi mestieri, diventano oggetto mirabolante di perversi intrecci tra culture dando luogo a leggende metropolitane che si autoalimentano.
Non che manchino i problemi o che manchi l´effetto di un impatto, magari irritante, per chi gira per qualche zona di Napoli. Le frange più marginali della immigrazione - predatorie no - vivono, agiscono e si mostrano in condizioni di maggior degrado. Ed è noto che la visibilità tra gli immigrati è massima proprio tra coloro i quali vivono in condizione di maggiore marginalità: insomma, proprio chi sta peggio dà di più nell´occhio (anche se non preda un bel nulla). E neanche gli altri se la passano gran che bene in generale, come per altro una buona parte della gente dei quartieri popolari di Napoli, come ormai di dati Istat sulla concentrazione meridionale e napoletana della povertà mostra in maniera chiara. In questo contesto si determina quella solidarietà tra poveri (che non è affatto collusione tra rappresentanti di culture illegali) notate da Guido Trombetti. E a noi, come a lui, sembra una fatto positivo. E siamo d´accordo sul fatto che se questa integrazione, basata sulla tolleranza e sull´accettazione reciproca, è l´integrazione meridionale, che ben venga. Possibile - sembra suggerire Trombetti - che neanche quando si osservano fatti positivi - l´assenza di violenza a sfondo razziale, la solidarietà tra immigrati e locali - bisogna ricercarne una spiegazione in fenomeni negativi?
Con questo né lui né noi riteniamo che a Napoli si viva nel migliore dei mondi possibili. E per quel che riguarda le condizioni degli immigrati, c´è indubbiamente una carenza delle politiche sociali a tutti i livelli e in tutti gli ambiti territoriali, con responsabilità a tutti i livelli. Per di più in una situazione aggravata dalle più svantaggiate condizioni del mercato del lavoro e quindi dell´occupazione e del reddito. Ma questa è un´altra storia.
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10 novembre 2007

Repubblica - Napoli
La tolleranza non è illegale
di Guido Trombetti

Francesco Merlo esamina su “La Repubblica” il rapporto tra il Sud e l´immigrazione. Partendo da un´osservazione. Nel Mezzogiorno il fenomeno della xenofobia è quasi assente. Né ci sono «significativi, ripetuti e violenti delitti commessi da stranieri come avviene nel Centro-Nord». Questa l´amabile spiegazione. «Un mondo illegale, come quello astuto dei meridionali, trova familiare l´illegalità degli immigrati, i loro commerci senza regole, l´uso predatorio del territorio…».
«Anche le baraccopoli sono in fondo una vecchia tradizione locale che adesso si rinnova. Il mondo degli immigrati, mondo di disintegrati, è brodo di coltura per tutti quelli che non hanno legami… Ma è integrazione questa? O invece è una fusione naturale di disintegrati…».
Questa la conclusione: «Eccoci arrivati al nocciolo del paradosso: se è vero che nel resto d´Italia la speranza è che gli immigrati diventino come noi, forse nel Sud la speranza è che noi diventiamo come loro».
Beh! Un mondo illegale, come quello astuto «dei meridionali»… Non facile da deglutire!
Intanto non è chiaro se siamo di fronte ad una classifica (italiani del Centro-Nord - immigrati - italiani del Sud). Oppure a due poli di attrazione (nord e sud del mondo, con i meridionali attratti dal Sud). Francamente non condivido l´analisi. Men che mai le conclusioni. Certamente nelle aree più povere del Mezzogiorno resistono talvolta le baraccopoli. Vecchia piaga locale. Che è irridente definire «tradizione» (c´erano anche al Nord e al Centro). Non è questo che genera tolleranza verso le baraccopoli degli immigrati. Il fenomeno è più complesso. Non vi è dubbio, ad esempio, che anche per effetto di successive dominazioni straniere, nei napoletani sia presente una forte capacità di integrarsi con il diverso. Perché trascurare questo aspetto? La tolleranza verso il lavavetri non è assimilabile ad una forma di solidarietà tra umili. Ma piuttosto ad una forma di ammiccamento tra propensioni criminali. Come si fa a trasformare in negatività anche elementi positivi? Enunciando sentenze apodittiche. La verità è che si tende ormai a sopprimere in modo artificiale la questione meridionale. Cercando, altrettanto artificialmente, di dar corpo alla questione settentrionale. Magari accreditando l´idea che il Mezzogiorno sia lo “scarto” dell´Europa. Una palla al piede per il decollo di una Italia operosa. Un mondo di disintegrati del tutto affine ai disintegrati del sud del mondo. Da abbandonare al proprio destino criminale. Eppure, non vi è niente di più falso dell´estraneità del Mezzogiorno ai destini dell´Italia. Nel bene e nel male. Quando si cita Gomorra è facile enfatizzare le efferatezze della bande criminali che appestano il territorio campano. E fare silenzio su altri quesiti angoscianti. Da dove provengono i rifiuti tossici che la camorra sversa a caro prezzo nelle discariche illegali? Chi acquista la merce di contrabbando prodotta nelle fabbriche clandestine? Quale sistema finanziario ricicla i miliardi della camorra, della mafia, della ndrangheta? Perciò, non forziamo i ragionamenti oltre misura. Fondando su una raffica di affermazioni superficiali. È un´anima tollerante verso l´illegalità a generare tolleranza verso gli immigrati. È la paura di ritorsioni a generare comportamenti meno aggressivi che al Nord da parte degli immigrati. Ma come si fa a tagliare la realtà con l´accetta in tal modo? È vero in fondo che la delinquenza organizzata di importazione si radica più facilmente su territori dove non ha la concorrenza delle organizzazioni locali. Questo, però, non ha nulla a che vedere con la solidarietà tra gli umili. O la tolleranza verso i lavavetri. Per caso su questi versanti non conta anche la maggiore solidità delle reti relazionali? Un tessuto sociale umanamente più denso rispetto ad altre aree?
Il vivere in ville isolate - dove più spesso avvengono rapine ed aggressioni - non indica per caso un modello di vita che tende a ridurre al minimo i rapporti? Per semplificare, più ti tratto con umanità più è probabile che tu faccia altrettanto. E forse possiamo anche convivere. Ed integrarci. Se questa è la via meridionale all´integrazione, come titolava l´articolo di Merlo, sia la benvenuta. Sulle radici del fenomeno si può anche riflettere. Con pacatezza. Senza trascurare, con acre disinvoltura, le riflessioni scientifiche disponibili in tema di immigrazione, sia in campo antropologico che sociologico, che certamente non mancano.