C’ERA UNA VOLTA JERRY ESSAN MASSLO
di Jean René Bilongo*
“Caserta. Jerry Essan Masslo, uomo di colore, è stato assassinato nel corso
di una rapina compiuta da sei balordi ai danni di un gruppo di negri che dormiva
in un casolare di campagna di Villa Literno.”
Giornale d’Italia, sabato 26 agosto 1989.
Chi mai avrebbe immaginato che la travagliata odissea occidentale di Jerry Essan
Masslo sarebbe finita in quel tragico modo? Era morto senza aver visto avverarsi
alcuno dei tanti sogni e speranze che l’avevano accompagnato lungo la sua breve
e turbolenta permanenza in Italia, ove aveva disperatamente creduto di poter
conquistarsi una prospettiva di vita diversa, un futuro migliore.Jerry aveva
dovuto fuggire dal Sud Africa, il suo favoloso paese allora divorato, da
decenni, da micidiali scontri che facevano parte del quotidiano, in quanto vi
prevaleva in modo istituzionale il regime della segregazione razziale,
universalmente noto alla pubblica opinione col famigerato sostantivo afrikaaner
di Apartheid. Non era altro che un abominevole sistema che aveva diviso due
razze, chiamate alla convivenza dalla storia, in due gruppi umani antagonisti di
cui uno si riteneva superiore e controllava tutto l’apparato del potere, i
bianchi, ed un altro condannato alla servitù ed all’assoggettamento perpetui: i
neri, che tra l’altro erano autoctoni del luogo Jerry venne al mondo nel 1959 ad
Umtata, in una delle catapecchie sbilenche tirate su con fogli di lamiera ed
assi di legno che erano il massimo dell’alloggio popolare dei “coloured” ,
stipati a milioni in giganti pattumiere come la tristemente celebre Soweto, la
più grande concentrazione urbana di neri che esistesse allora al mondo, alle
porte di Johannesburg. Il folle corpo di leggi vessatorie e repressive istituito
dai discendenti dei colonizzatori olandesi che erano alla guida del paese
ascrisse il giovane Masslo all’estrema povertà, ma non inibì, sebbene tra mille
difficoltà, il suo forte desiderio di portare avanti gli studi che compì nelle
scuole per i “soli neri”, acquisendo un importante bagaglio culturale che lo
rese ancor più cosciente e consapevole delle terribili disuguaglianze che
c’erano nel suo paese.
Sin da ragazzino, Jerry era stato testimone oculare un’infinità di volte delle
barbarie della Polizia razzista di Pieth Botha nei confronti della sua gente.
N’era sempre rimasto amareggiato ed addolorato. Era capitato innumerevoli volte
che, unitosi a migliaia di altri oppressi, scendesse nelle strade per qualche
protesta, l’unico modo con cui potessero esprimere le loro aspirazioni più
profonde: uguaglianza, libertà, pari opportunità. Alle loro inoffensive grida
che scandivano in modo sempre più premuroso la sete di giustizia sociale, le
autorità governative mandavano prontamente come interlocutori pesanti mezzi
corazzati antisommossa Hippo, dipinti a tinte mimetiche, le cui torrette aperte
lasciavano vedere le facce patibolari di sbirri armati fino ai denti che si
divertivano, sussurravano i superstiti nelle misere stamberghe di Johannesburg e
New Brighton, a prendere di mira i manifestanti e spararli, come se fossero
semplici bestie selvatiche procacciate in una normale spedizione safaristica.
Spesso, ritornando a casa dopo l’ennesima manifestazione, di solito
dolorosamente soffocata da poliziotti al grilletto svelto e facile, aveva udito
le urla di mamme cui figli erano stati riportati inerti a casa, coperti di
polvere, con lo sguardo fisso ed il vestito zuppo di sangue, dopo che qualche
pallottola sparata da un fucile di assalto li avesse spaccato il petto,
lasciando un buco così grande da poterci introdurre il pugno. Aveva provato
anche lui lo straziante dolore di quelle morti assurde quando sua figlia fu
falciata da un proiettile vagante alla tenere età di sette anni. Per non parlare
delle decine di migliaia di “Missing”, come suo padre, ovvero persone che erano
state interpellate dalla Polizia, portate in caserma per i consueti
interrogatori e che non erano state mai più riviste dai loro cari.
Da studente politicamente attivo, Jerry Masslo aveva avuto molta simpatia per il
protagonismo dei movimenti ribelli di massa come l’African National Congress –ANC,
la United Democratic Front- UDF e la Black Consciousness-BC che avevano deciso
di opporsi alla continua repressione. Ma sapeva fin troppo bene che fine
avessero fatto gli Oliver Tambo, Chris Hanis, Steve Biko, Nelson Mandela, Thabo
Mbeki, tutti nomi- icone della lotta per la libertà, che purtroppo in molti
erano stati “neutralizzati”, edulcorato eufemismo che il potere bianco usava
pudicamente per parlare di assassini, quando non si trattava di carcerazione a
vita dietro le sbarre delle fredde celle di Robben Island, la versione locale di
Alcatraz. I più fortunati erano riusciti a fuoriuscire dalla gigantesca
Bastiglia sud- africana ed erano andati a vivere in esilio altrove.
Era proprio quella strada che decise d’imboccare il giovane Masslo.
Si era rassegnato, a malincuore, alla prospettiva dell’esilio. Si adoperò
anzitutto a “mettere al sicuro” la giovane compagna ed i loro due figli.
Avvalendosi dell’aiuto di un giro di complicità, riuscì a farli evadere nel
vicino Zimbabwe, attraversando a piedi le boscaglie e le colline del nord- ovest
della repubblica sud- africana, prendendo cura di non farsi reperire dalle
numerose pattuglie della temutissima Military Police che setacciavano
continuamente i confini coi circondanti stati dichiaratisi ostili al governo
razzista di Pretoria. Avevano poi proseguito il viaggio fino a Lusaka in Zambia
ove c'erano già alcuni parenti, esuli anche loro, stabilitivisi da tempo. Quando
Jerry seppe che la sua famiglia aveva raggiunto salva la meta, pianse di gioia:
fu la notizia più bella mai ricevuta nei suoi trent’ anni di vita.
Rimasto col fratellino, cogitava sul come fuggire. Volevano raggiungere
l’Europa. Col discreto aiuto d’un amico che lavorava come marinaio su una nave
mercantile, salì clandestinamente a bordo col fratello, travestitisi da addetti
alla manutenzione. Si nascosero in una delle scialuppe di salvataggio appese ai
lati del potente mezzo marittimo. Il nascondiglio era perfetto: coperto da una
tela di plastica che rendeva improbabile la scoperta della loro presenza a bordo
e provvisto di vari generi alimentari ed acqua , costantemente tenuti lì per
eventuali emergenze. L’amico marinaio aveva spiegato loro che la rotta della
nave avrebbe puntato sull’Europa, dopo alcuni brevi scali in vari paesi della
costa australe ed occidentale dell’Africa.
Filò tutto liscio finché il fratello di Jerry non cominciò a sentirsi poco bene.
Il mal di mare ed i gelidi venti marini gli avevano provocato una violenta
febbre. Allo scalo nigeriano di Port Harcourt, Jerry scese discretamente dalla
nave al calare del buio, confondendosi tra i numerosi operai che si davano
febbrilmente da fare nelle stive. Andò ad acquistare alcuni generi farmaceutici
che potessero alleviare il malessere del fratello.
Al suo ritorno al molo, il colossale mercantile non c'era più. Aveva levato
l'ancora poco prima, portando via il fratello. Il destino li aveva separati.
Jerry rimase in città, riflettendo sul da farsi. Doveva proseguire il viaggio.
Pensò di vendere il bracciale e l'orologio d'oro che aveva. Un regalo di suo
padre. L'unico bene prezioso che avesse mai posseduto. Coi quattrini ricavati da
quella vendita, acquistò un biglietto aereo per l'Italia.
Sbarcò all'aeroporto internazionale Leonardo da Vinci di Roma- Fiumicino il 21
marzo 1988. Quando toccò terra, era commosso. Esultava interiormente di gioia.
Ormai aveva raggiunto la meta dei suoi sogni. Era finalmente in Europa, il
Vecchio Continente dell'Habeas Corpus e della Rivoluzione Francese; L'Europa di
Carlo Magno, Rousseau e Karl Marx, terra di libertà e di diritti per eccellenza,
la “sua terra promessa”.
Venne immediatamente bloccato al varco di Polizia. Non adempiva ai requisiti di
legge per entrare in Italia. Negli adiacenti uffici dell'immigrazione ove venne
condotto per i consueti procedimenti amministrativi, Jerry spiegò all'ufficiale
di turno che chiedeva l'asilo politico. La richiesta colse il funzionario
totalmente impreparato: le forze di Polizia impegnate nel controllo delle
frontiere erano state istruite, a norma del principio della “limitazione
geografica”, che l'asilo politico poteva essere richiesto solo dai cittadini dei
paesi est- europei che erano riusciti a sottrarsi alle forche caudine del
comunismo!
Di fronte al diniego che aveva opposto il funzionario di Polizia, Jerry Masslo
chiese di essere messo in contatto telefonico con la sede italiana di Amnesty
International, nota organizzazione di tutela dei diritti umani. Espose la sua
situazione. Si affrettarono di mandargli incontro un operatore che lo sottopose
ad un lungo colloquio conoscitivo. Al suo termine non c'era dubbio alcuno sulla
storia di Masslo: era autentica e l'interessato aveva diritto alla protezione ai
sensi delle vigenti convenzioni internazionali. Ma le lungaggini burocratiche
non permisero il suo rilascio.
Rimase due settimane rinchiuso tra le mura dell'aeroporto. Nel frattempo,
Amnesty International si attivò ad interessare alla vicenda la sede italiana
dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati- ACNUR. Al termine
d'un lungo ed esausto rompicapo nell'inestricabile labirinto burocratico del
Viminale, l'apposita sezione adibita all'istruzione dell'asilo politico rispose
con rivoltante disinvoltura che la richiesta di tale Essan Masslo Jerry non
poteva essere accolta in quanto, oltre alla “riserva geografica”, erano
interessati dagli “accadimenti in Sud Africa una pluralità di suoi connazionali
senza però denotare intenti persecutori diretti e personali nei confronti del
richiedente”. La decisione era definitiva, non impugnabile. Il diritto d'asilo
politico gli era stato negato ma non era previsto alcuno meccanismo coercitivo
di accompagnamento alla frontiera. Poteva rimanere in Italia sebbene senz'alcuno
status giuridico definito.
Rammaricato, deluso ed incredulo, Jerry pensò solo che era una grande assurdità.
All'uscita dal suo “fermo”, fu portato presso un centro di accoglienza per
stranieri, la Tenda di Abramo. La struttura faceva capo alla Comunità di
Sant'Egidio, un'importante organizzazione d'ispirazione ecclesiale attiva nella
promozione della pace nel mondo. Avevano da poco completato i lavori di
ristrutturazione di una vecchia palazzina di tre piani ubicata in via Veneziani,
a pochissima distanza da Santa Maria delle Trasvetere, nel cuore di Roma. Da lì
a poco, la Tenda di Abramo sarebbe stata inaugurata ufficialmente in presenza di
Desmond Tutu, il celebre arcivescovo anglicano di Johannesburg che Jerry fu
commosso d'incontrare così lontano da casa. Due uomini, due percorsi di vita, un
unico denominatore: il dolore per il loro dilaniato paese. In casa c'erano già
ospitate altre persone, tutte straniere, di svariate nazionalità per lo più
africane: marocchini, tunisini, etiopi, sudanesi, eritrei. Accolsero Jerry con
estrema affabilità in mezzo a loro.
Non avendo nulla da fare poiché gli era difficile trovare un'occupazione stabile
a causa del suo status d'irregolare cioè sprovvisto del prezioso permesso di
soggiorno, Jerry s'impegnò nell'apprendimento della lingua di Dante. In
pochissimo tempo, riusciva ad esprimersi, sebbene a stento, in italiano.
Talvolta gli capitava di fare qualche lavoretto sporadico come aiutante muratore
presso qualche cantiere edile oppure scaricatore di merci al mercato
ortofrutticolo. I pochi quattrini che guadagnava venivano mandati subito, con
vaglia postale, alla compagna ed ai due figli. Viveva per loro. Desiderava tanto
riabbracciarli. Si scrivevano spesso.
Con l'arrivo dell'estate, la possibilità di trovare le solite saltuarie
occupazioni divenne ancor più scarsa. Sembrava che la Città Eterna si fosse
fermata all'improvviso dopo essersi svuotata di suoi abitanti. Si respirava
l'aria delle vacanze. Ora Jerry doveva accontentarsi soltanto del piccolo
sussidio che gli erogava l'ACNUR.
Fu allora che venne a sapere dai compagni della Tenda di Abramo che intendevano
recarsi nei pressi di Napoli per la raccolta del pomodoro, in un posto che si
chiamava Villa Literno. Alcuni c'erano stati l'anno precedente e dicevano di
aver guadagnato un po' di soldi lavorando sodo nei campi. Jerry manifestò subito
il suo interessamento per la prospettiva: non voleva altro che lavorare.
Insistettero nel fargli capire che la sistemazione da quelli parti era
semplicemente inesistente. Nulla da fare, Jerry voleva unirsi a loro. Era anche
incuriosito di andare a visitare l' enigmatica metropoli partenopea che
conosceva solo attraverso la quotidiana cronaca nera, ampliata dai media e che
gli pareva inversamente proporzionale alla fama della locale squadra di calcio
che contava tra le sue file l'incantevole Diego Armando Maradona. Si preparò
freneticamente, portando con sé pochissime cose utili.
VILLA LITERNO. Una piccola cittadina immersa nella campagna in cui lavoravano
dall'alba al tramonto migliaia di stranieri, per lo più neri, impegnati nella
raccolta di quel “oro rosso” che aveva reso il paese famoso in tutta la regione.
Col suo milione di quintali di pomodori l'anno, Villa Literno era diventata un
gigante dell'economia agricola del Mezzogiorno. L'estenuante fatica di raccolta
di una tale produzione veniva pagata mille lire a cassetta, quel contenitore che
era stato eretto ad unità di misura della prestanza fisica dei poveri
lavoratori.
Ogni giorno, Jerry si buttava corpo ed anima nel lavoro dopo che qualche
proprietario di campo fosse venuto a prenderlo, insieme ad altri disgraziati,
prima ancora che sorgessero i primi raggi di sole, al quadrivio del paese che
era il punto di raduno del silenzioso esercito di braccianti stranieri in circa
di occupazione alla giornata. I liternesi avevano sarcasticamente battezzato
quel luogo la “piazza degli schiavi”.
Jerry non risparmiava le proprie forze sebbene il corrispettivo fosse ridicolo.
Talvolta era capitato che il padrone- proprietario di qualche campo sparisse
dopo che la compagine avesse finito di raccogliere i pomodori, senza
preoccuparsi di pagare i dovuti emolumenti ai ragazzi che non potevano nemmeno
sporgere denunzia dell'accaduto alle opportune sedi, per paura di esporsi a
qualche guaio in quanto in molti erano senza permesso di soggiorno.
Jerry aveva dovuto accontentarsi di alloggiare in una rudimentale stamberga, con
dei semplici cartoni stesi sul ruvido pavimento che fungevano da letti. Senza
luce né servizi igienici. Alcuni ragazzi dormivano su brandine arrugginite sui
cigli delle strade, altri ancora si riparavano in accartocciati rottami di
macchine. Una condizione disumana, peggiore per certi aspetti di quella che
aveva lasciato in Sud Africa. Villa Literno era ad anni- luce di quanto avesse
pessimisticamente immaginato nella peggiore delle ipotesi. Benché frustrato
dalla tremenda realtà, non mollò fino alla fine della stagione di raccolta che
durò due mesi. Due lunghi mesi che gli parvero un'eternità. Stremato e stordito,
con la magra consolazione delle poche lire che aveva guadagnato, se ne tornò a
Roma presso la sua casa- alloggio di via Veneziani.
Il tempo scorreva, lento, inesorabile. Oltre all'italiano, Jerry si era tuffato
anche nello studio delle Sacre Scritture. Le tribolazioni vissute sin dal suo
arrivo nella penisola e l'amaro ricordo di Villa Literno gli avevano fatto
avvertire ancor di più il bisogno di confidare nella Divina Providenza. Pur
essendo d'ubbidienza battista, prendeva attivamente parte alle funzioni
cattoliche che si svolgevano frequentemente nell'antistante chiesa parrocchiale.
Nei suoi momenti di totale sbandamento, quando la nostalgia e la mancanza dei
suoi dilaniati affetti l'attanagliavano, imbracciava una vecchia chitarra
classica ed improvvisava un brano di Country Music a mo' di Tracy Chapman. Il
miscuglio d'inglese, italiano e dialetto sud- africano che usava in quei momenti
era un lungo scorrere di risentimenti per le dannose assurdità dell'umanità e la
speranza in un mondo migliore, sbarazzato di ogni turbamento.
Jerry aveva mantenuto uno stretto rapporto con la sede italiana dell'ACNUR che
seguiva con attenzione il suo caso. Di fronte al rifiuto categorico del governo
italiano di concedergli l'asilo, si era pensato di trasferirlo in qualche altro
paese magari più disponibile. Vari stati erano sollecitati al riguardo. Il
governo canadese, attraverso la sua rappresentanza diplomatica romana, aveva
dato la propria disponibilità ad accogliere il sud- africano. Tuttavia c'era una
serie di adempimenti burocratici da sbrigare prima che si concretizzasse
l'opzione nord- americana. La prospettiva affascinava Masslo, convinto com'era
che le sue vicissitudini fossero vicine alla loro fine. Era ancor più entusiasta
e sereno all'idea che avrebbe potuto ricongiungersi con la sua famiglia una
volta installato oltre atlantico, com'era specificato sull'apposito modulo che
aveva compilato ed inoltrato presso l'ambasciata del Canada.
Talvolta, per rompere con la subdola monotonia della sua vita romana, andava in
giro, alla scoperta dell'antico e straordinario patrimonio artistico capitolino.
Ebbe modo di visitare ed apprezzare vari luoghi e opere sulle quali reggeva la
fama della Città Eterna: la Basilica di San Pietro, il Museo, il Colosseo, il
Circo Massimo, il Pantheon ed altre vestigia dell'antica Roma la cui bellezza
non mancò di meravigliarlo.
Con l'attenzione alle questioni epocali che lo caratterizzava, seguiva con
interesse gli accadimenti in Unione Sovietica che era allora scossa dalla
Gladnost e la Perestroika, le grandi riforme introdotte da Mikhail Gorbaciov che
sarebbero sfociate da lì a poco nell'imprevedibile abbattimento del Muro di
Berlino, preludio al crollo del comunismo - versione- moscovita. Jerry aveva
intuito che l'impetuoso vento che soffiava oltre la Cortina di Ferro non avrebbe
lasciato indifferente nessun angolo del pianeta, tanto più il suo martoriato Sud
Africa.
Stava tra questo stato di ansia per la partenza prossima verso il Canada e la
trepidazione per la delicata situazione creatasi al Cremlino quando giunse di
nuovo l'estate. E con essa, l'inizio imminente della stagione pomodoristica a
Villa Literno. Non avrebbe voluto ritornarci, ma quale alternativa poteva
mettere in campo? Villa Literno oppure la totale oziosità di Roma.
Col solito gruppo di amici della Tenda di Abramo, acquistò un biglietto dell'inter-
regionale e sbarcò per la seconda volta nel paesino campano. Non era cambiato.
Semmai era animato dalla solita effervescenza che se ne impossessava quando
cominciava la stagione dell' “oro rosso”.
La mattina successiva al suo arrivo, quando Jerry si recò al “quadrivio del
bracciantato”, notò che c'erano molte più persone dell'anno precedente. C'erano
tanti nuovi che volevano lavorare. I tratti somatici e le intonazioni
linguistiche dei nuovi arrivati indicavano che erano arabi, venuti dal Maghreb.
Quando arrivarono i vigliacchi caporali, quegli intermediari che reclutavano la
manodopera per conto dei padroni- proprietari dei campi, incassando una tangente
su ogni lavoratore , notò che si discuteva febbrilmente del corrispettivo da
pagare a cassetta: il prezzo della prestazione era passato da 1000 a 800 lire.
L'implacabile logica di mercato aveva fatto crollare la tariffa per causa
dell'eccessiva offerta di manodopera.
Dovette accettare quella misera tariffa, addolorato per la vergognosa
speculazione che si faceva sul sudore di quelle migliaia di poveracci che non
avevano altra scelta.
Col passare dei giorni, Masslo notava che Villa Literno era sempre più
insofferente per la presenza di tanti stranieri. Era scoppiata una rissa con gli
abitanti quando alcuni dei neo- arrivati nord- africani, non avendo alcun posto
per ripararsi, avevano occupato i loculi vuoti del cimitero locale. La
popolazione si era inferocita. Una raccolta di firme era stata lanciata:
dovevano andare via gli stranieri. La situazione era sempre più tesa. Persino
alcuni esercizi commerciali erano ormai “Off Limits” agli sgraditi stranieri. Si
diceva che erano quasi tutti malati di AIDS e di chissà di quale altra micidiale
patologia tropicale che potesse sterminare l'intero paese.
Jerry aveva sentito dire che l'amministrazione cittadina, retta da un'anomala
giunta DC- PCI, aveva voluto organizzare una serie di servizi decenti per gli
immigrati, ma non aveva potuto attuare l'iniziativa. Erano sorte virulenti
polemiche all'interno della stessa giunta. In molti si erano dichiarati contrari
a qualsiasi intervento mirato a migliorare la condizione degli stranieri.
Per ricevere qualche attenzione di tipo medico od altro, Jerry doveva recarsi a
piedi a Castel Volturno, sulla Domiziana, distante di 9 chilometri, ove erano
attivamente presenti alcuni gruppi parrocchiali stimolati nel servizio ai
“fratelli di colore” dal clero locale che aveva organizzato il Centro Immigrati
Campania- Caritas ( oggi “Centro Fernandes”).
Intanto nelle barracche- alloggi dei lavoratori stranieri, si era preso
coscienza della grave situazione di sfruttamento che prevaleva. Si
moltiplicavano i conciliaboli e le riunioni. Jerry vi partecipava attivamente. I
braccinati volevano che fossero rispettati alcuni loro diritti fondamentali:
giusta retribuzione, tutela della salute, copertura assicurativa. Si erano
appellati al sindacato. Ma le resistenze erano forti. Il dialogo col padronato
si era inceppato.
Gli episodi d'intolleranza e di violenza si moltiplicavano. Dopo il lavoro,
Jerry e Cie non potevano nemmeno passeggiare, per timore che venissero malmenati
da alcuni ragazzi del paese che avevano organizzato dei veri squadroni a mo' Ku
Klux Klan mirati a terrorizzarli e costringerli ad andare via. Gli episodi di
pestaggi erano frequenti.
La pietosa sorte dei braccianti di colore aveva finito con l'attirare
l'attenzione dei media. Con la caparbietà ed il protagonismo che lo
caratterizzavano, Jerry non mancava un'occasione per dire la sua. Dinanzi alla
telecamera del TG2, espresse la propria amarezza riguardo le vicissitudini
patite da quando era arrivato nella penisola, nonché la sua ansia per
l'esplosiva situazione di Villa Literno:“ [...] Pensavo di trovar in Italia uno
spazio di vita, una ventata di civiltà, un'accoglienza che mi permettesse di
vivere in pace e di coltivare il sogno di un domani senza barriere né
pregiudizi. Invece sono deluso. Avere la pelle nera in questo paese è un limite
alla convivenza civile. Il razzismo è anche qui: è fatto di prepotenze, di
soprusi, di violenze quotidiane con chi non chiede altro che solidarietà e
rispetto. Noi del terzo mondo stiamo contribuendo allo sviluppo del vostro
paese, ma sembra che ciò non abbia alcun peso. Prima o poi qualcuno di noi verrà
ammazzato ed allora ci si accorgerà che esistiamo”. Parole di drammatico
contenuto profetico.
Malgrado quel atmosfera surriscaldata, la campagna agricola andava avanti.
Rimanevano pochissimi giorni alla sua fine.
Jerry si era impegnato nel duro lavoro quanto più aveva potuto. Quella sera del
23 agosto 1989, si era ritirato nel capannone per attrezzi di via Gallinelle che
condivideva con altri 28 suoi compagni. Avevano trascorso un momento insieme,
tra una frugale pietanza fredda ed una chiacchierata sull'andamento della
giornata. Allorché si preparavano a sdraiarsi sui loro ruvidi cartoni per la
nottata, un gruppo di sei ragazzi fece irruzione. Avevano il volto coperto da
passamontagna ed erano muniti di mazze ed altre armi che s'intravedevano nella
penombra. Intimarono che venissero consegnati loro i soldi guadagnati nei campi.
Nessuno ottemperò. Ci fu un po' d'agitazione, volavano parole indecenti,
cominciò una collutazione. Fu allora che uno dei balordi colpì alla testa, col
calcio della pistola, lo sprovveduto Ayuel Bol Yansen, un sudanese di 29 anni.
In quello stesso istante, Jerry si affacciò per capire cosa stesse succedendo.
Impazzito, uno dei rapinatori gli sparò tre colpi con la pistola calibro 7,65
che impugnava. Jerry cadde a terra, rantolando e chiedendo aiuto. Lottava contro
la morte, disteso in una pozza di sangue. Altri due braccianti furono feriti, ma
in modo lieve. Il trambusto degli spari ed il fuggi- fuggi generale che seguì
fecero accorrere gli altri ragazzi che dormivano sotto il muro di cinta del
terreno dove si trovava la casupola. I balordi scapparono, spaventati dalla
prevedibile reazione degli inferociti stranieri. Per il povero Masslo non ci fu
più nulla da fare.
La notizia dell’assassinio si sparse come una macchia d'olio. I giornali di
tutta Italia vi dedicarono la loro prima pagina: Villa Literno, raid di morte
alla Ku Klux Klan: sette incappucciati sparano sui neri ( Il Mattino), Squadroni
del razzismo ( Paese Sera), Un omicidio due volte razzista (Il Giorno).
La notizia suscitò clamore nell'intera penisola. Villa Literno stava sotto le
luci della ribalta. L'Italia si scopriva razzista. Per lavare l'offesa si optò
per l'organizzazione d'un solenne funerale fissato il 28 agosto 1989.
Alla funzione funebre che si svolse nella chiesa dell'Assunta, accorse una folla
densa: bianchi e neri, donne ed uomini, cristiani e non, partiti ed
associazioni. Alle prime file, c'erano molti rappresentanti delle istituzioni
tra i quali Ottaviano del Turco, Segretario Generale Aggiunto della CGIL,
l'Euro- parlamentare nera Dacia Valent e Claudio Martelli, Vice- Presidente del
Consiglio. La cerimonia, trasmessa in diretta dal TG2, prese ben presto la piaga
d'un rito di purificazione della coscienza. Sembrava che Villa Literno e
l'Italia intera non metabolizzassero quella cattiva pubblicità di covo razzista
che le era stata incollata addosso. Fu letto il messaggio di cordoglio del
Pontefice per chi Jerry Masslo era una “vittima dell'intolleranza”. Un esponente
della chiesa locale sostenne che quel assassinio non poteva essere bollato di
deliberato atto di razzismo ma bensì una “sventurata ragazzata, un maledetto
episodio di comune violenza”. Parole che suscitarono un nutrito applauso tra la
folla. Villa Literno e l'Italia volevano riconciliarsi con sé stesse e con la
comunità straniera del paese.
Jerry Essan Masslo fu sepolto in una tomba anonima del cimitero comunale non
senza aver ricevuto l'ultimo omaggio resogli dai suoi compagni di sfortuna nel
corso d'un rito etnico che si svolse al quadrivio- “piazza - degli- schiavi”.
EPILOGO
Nell'ondata emotiva provocata dalla tragica morte di Jerry Masslo, nacque un
grande movimento di solidarietà con gli immigrati. Furono organizzati dibattiti
e confronti pubblici sul tema dell'immigrazione. Sorse la rete associativa
nazionale “Nero e Non Solo”. Era come se l'Italia si accorgesse per la prima
volta della presenza di stranieri sul suo suolo.
Poco più di un mese dopo la scomparsa di Masslo, ebbe luogo a Roma la più grande
manifestazione antirazzista mai organizzata in Italia. Vi parteciparono oltre
200.0000 persone, italiani e stranieri.
In Terra di Lavoro, un gruppo di medici laici guidati dal giovane chirurgo
Renato Natale decise di costituire un'associazione di volontariato medico-
sociale intitolata a Jerry Masslo con l'obiettivo di garantire l'assistenza
sanitaria alle migliaia di stranieri presenti nel casertano.
Il governo varò in tempi record il decreto- legge 416 recante norme sulla
condizione dello straniero: la legge Martelli. Nel suo articolo 3 riconobbe
“agli stranieri extraeuropei sotto mandato dell'ACNUR lo status di rifugiato”.
Cessò la “limitazione geografica” per i richiedenti asilo politico. Furono
riconosciuti e garantiti i diritti dei lavoratori stranieri.
La morte di Jerry Essan Masslo aveva segnato l'inizio d'una nuova stagione della
convivenza multi- etnica in Italia.
* Jean-René Bilongo è Mediatore Culturale originario del Camerun. Vive
stabilmente a Castel Volturno in Provincia di Caserta. E’ componente del
Direttivo dell’associazione “Jerry Masslo”