Le vite usa e getta di Castelvolturno
Repubblica — 22 giugno 2008 - sezione: NAPOLI
DI VALERIO PETRARCA
Qualche giorno fa, a Castelvolturno, centinaia di migranti, per lo più africani,
affollavano il cortile della parrocchia di Santa Maria dell' Aiuto. Imploravano,
mani tese, pezzi di carta come fossero pane. Il parroco e il vice parroco,
Giorgio Poletti e Claudio Gasbarro (entrambi comboniani), distribuivano un
tesserino della Caritas e una lettera manoscritta di accompagnamento. Più tempo
passava più cresceva il numero dei migranti. La ressa è durata tre giorni, dalla
mattina alla sera. A un certo punto padre Giorgio voleva salire sulla terrazza
per parlare alla folla, ma la ringhiera ha ceduto ed è caduto giù. Non è morto
per miracolo, dice lui, ma ha una spalla e un braccio fratturati e la faccia
tumefatta. Pochi erano i migranti che sapevano bene cosa venisse distribuito:
alcuni sapevano che non si trattava del permesso di soggiorno, ma di un
tesserino e di una lettera che avrebbero potuto chiedere in ogni momento; altri
pensavano che fosse proprio l' agognato permesso di soggiorno; altri ancora, la
maggioranza, avevano la certezza che era meglio avere che non avere quei due
pezzi di carta. Le voci sul cosiddetto pacchetto sicurezza e sulla paventata
introduzione del reato di clandestinità hanno accresciuto la paura tra i
migranti di Castelvolturno e allargato il fossato tra gli autoctoni: tra chi li
vuole tutti cacciare via, i migranti, perché tutti sono delinquenti e chi li
vuole tutti aiutare perché tutti sono vittime degli sfruttatori. L'
interpretazione dualista (migranti delinquenti da cacciare e migranti buoni da
aiutare) ha oggi una fortuna nazionale, ma a Castelvolturno tende a prendere una
piega più radicale. A Castelvolturno, più che in altri luoghi, ha agito allo
stato più puro che si possa oggi riscontrare in Europa il capriccio del
desiderio nel contesto dell' ineguaglianza sociale. Qui la sproporzione di beni,
di diritti e di forza tra autoctoni e immigrati ha permesso ai primi di poter
chiedere ai secondi quasi tutto, dentro una realtà percepita da entrambi come
normale. Castelvolturno è stato per oltre vent' anni il territorio europeo meno
disturbato dalla legalità nel dramma della domanda e dell' offerta di corpi,
merci e danaro tra i territori resi poveri e i territori resi ricchi dalla
storia. Non si sa nemmeno quanti siano i migranti che qui sono arrivati: chi
dice diecimila chi quindicimila. I protagonisti, il più delle volte,
interpretano questa realtà attraverso semplificazioni. Raccoglierle e metterle
in ordine può essere dunque una prima strada per farsi un' idea di come viene
percepita qui l' accelerazione della crisi connessa con le voci sull'
approvazione del nuovo pacchetto sicurezza e sulla introduzione del reato di
clandestinità. Nei racconti dei migranti stabilizzati a Castelvolturno, che
vivono di occupazioni occasionali ma sono sprovvisti del permesso di soggiorno,
emergono alcuni punti condivisi. Considerano «brave persone» tutti quelli che
danno loro lavoro, qualsiasi lavoro, con qualsiasi retribuzione (una giornata,
dall' alba al tramonto, frutta in genere un po' meno o un po' più di 30 euro).
Molti di essi giurano di essere stati accompagnati dalle forze dell' ordine, dai
Centri di Accoglienza Temporanea alla stazione ferroviaria più vicina, con il
consiglio di andare a Castelvolturno, dove sarebbero stati al sicuro. Questo
tipo di migrante si rappresenta le avversità in quattro immagini ricorrenti: la
mancanza di lavoro («quando passa quello con la macchina e dice "lavoro lavoro",
ne piglia uno ma noi siamo molti», ripetono spesso); la concorrenza di migranti
più recenti, provenienti dall' est europeo, che guadagnano sempre più posizione
nei lavori stagionali delle semina e della raccolta dei pomodori; lo strapotere
dei «nigeriani», cioè di alcuni nigeriani impegnati nella gestione del mercato
della droga e nello sfruttamento della prostituzione. Su questi motivi di
sofferenza è caduta ora la paura che anche Castelvolturno diventerà un
territorio a loro ostile, cioè il sentore che verrà a mancare la condizione
principale che li aveva spinti qui in attesa di tempi e luoghi migliori. I
migranti che sono ai posti di comando nel mercato criminale della prostituzione
e degli stupefacenti non hanno paura. Le sfumature, le ironie, le frasi allusive
riguardano il modo di parlare e dissimulano una certezza condivisa. A essere
cacciati, essi credono, sarà «chi non è nessuno». Chi si è «integrato», chi è
diventato «un gran tipo», chi ha fatto i soldi e si è saputo organizzare se ne
va solo se ha deciso di andarsene. Se diventerà necessario, essi pensano,
sapranno come procurarsi un permesso di soggiorno, un affitto legale e quanto
serve per restare. Perché tutto è questione di soldi e a loro i soldi non
mancano. I due tipi di migranti mettono comunque in relazione i loro desideri
(compreso quello di restare in Italia) con la realtà, basata sulla forza, in cui
credono di essere immersi. Chi tra gli autoctoni di Castelvolturno considera
delinquente ogni migrante mostra invece una maggiore distanza tra desiderio e
realtà. Può capitare che le stesse persone, anche di origine umile, che la
mattina hanno dato lavoro a un migrante offrendogli pochi euro perché ripulisse
per bene la loro casa, il loro orto, il loro pollaio, la sera al bar si
lamentino di tutti quei neri che vedono per strada, e dicano: «Sono diventati
più di noi, si vedono solo negri e negre, spacciatori, magnaccia e puttane. Se
ne devono andare tutti quanti». Nei loro discorsi il problema dell' immigrazione
occupa molto più spazio di quello della camorra, che pure agisce in modo
plateale ed è ben radicata in quegli stessi luoghi. Sono possibili due letture
di questa interpretazione che occupa i ragionamenti di una parte degli
autoctoni. Una riguarda la natura del desiderio che può volere tutto e il
contrario di tutto: si può desiderare infatti di avere per sé, quasi gratis, un
lavoratore e nello stesso tempo non volerlo vedere. L' altra riguarda l'
influenza del mercato sul pensiero: l' eccesso di mano d' opera spinge la mente
a demonizzare quelli che non vengono più considerati utili. Altri autoctoni
reagiscono alla semplificazione avversa con un' altra di segno opposto: se tutti
i clandestini sono considerati criminali si tratta di difenderli tutti, almeno
finché le forze dell' ordine non saranno capaci di arrestare i veri delinquenti
sia tra i castellani sia tra i migranti. Essi giustificano questo desiderio con
una percezione della realtà locale: quasi niente è legale a Castelvolturno,
perché cominciare con i più deboli? Ho chiesto allora al colonnello Carmelo
Burgio, comandante dei Carabinieri della Provincia di Caserta, perché non si
arrestano i delinquenti. E lui ha risposto, cifre alla mano, che gli arresti
sono cresciuti in questi ultimi anni, ma che non è questione solo di
repressione. è questione del funzionamento della legge, della sua applicabilità
e della sua efficacia. Ciò che è difficile ovunque, diventa ancora più
complicato a Castelvolturno, dove agisce «la pregiudiziale etnica». Non si
riferiva ai migranti, ma ai locali che nell' illegalità sono immersi: ci sono
persone a cui risultano intestate anche più di 200 automobili (che in realtà
sono guidate da clandestini), ci sono pollai che vengono fittati ai migranti
come se fossero case e ci sono abitazioni confortevoli concesse illegalmente a
chi in questo modo può tranquillamente spacciare droga al chiuso e correre meno
rischi di incappare in un controllo delle forze dell' ordine. In questo humus,
aggiunge il colonnello, prosperano soprattutto i gruppi criminali nigeriani:
pagano il "pizzo" alla camorra ma agiscono ormai sul territorio in posizione
egemonica per quanto riguarda il mercato della droga e della prostituzione. Il
colonnello inquadra il problema dell' immigrazione in un' analisi complessiva
del territorio, un' analisi che ricorre agli strumenti della sociologia e dell'
etnologia, ma come servitore dello Stato, sembra di capire, pensa che, per la
saturazione del mercato del lavoro e per la forza attrattiva dei gruppi
criminali, sarà difficile (o forse non converrà) distinguere tra un clandestino
che vive nell' illegalità e un clandestino che vive di criminalità. Le voci sul
pacchetto sicurezza hanno generato perplessità anche in chi lavora a sostegno
dei migranti in una prospettiva a lungo termine. Antonio Casale, direttore del
"Centro Fernandes" della Caritas, che sorge lungo la Domitiana, ha privilegiato
con ogni mezzo la politica dell' integrazione. Il centro da lui diretto coordina
il lavoro di varie associazioni di volontariato: si offrono ai migranti corsi di
lingua italiana, assistenza legale e medica e asilo temporaneo ai più bisognosi
di aiuto. Si tratta di attività i cui risultati si notano a distanza di mesi, ma
che tendono a essere abbandonate dai migranti quando si ritrovano oppressi dalla
necessità di trovare una soluzione a problemi più immediati. «Letti da qui -
dice Antonio Casale - diversi articoli delle leggi sull' immigrazione di questi
ultimi anni appaiono astratti. Non è solo questione di norme, ma soprattutto di
azioni politiche e culturali coordinate, che possano risanare i danni di un'
antica e perdurante incuria per il territorio, un' incuria che ha prodotto un
mare di problemi, di cui quello dei migranti non è il più grave». Fatto è che
ora viene avvertito qui universalmente come il problema. E proprio perché a
Castelvolturno si concentrano in sintesi quasi tutti i mali che tormentano l'
Italia, il suo territorio può essere osservatorio privilegiato per interrogarsi
sul pacchetto sicurezza e sul reato di clandestinità. Qual è la gerarchia dei
valori implicita nelle norme? Difendono i diritti della persona o la ragione
economica? Intendono modificare la realtà o blandire i desideri di alcuni
elettori? -