CARITAS ITALIANA
Romania. Immigrazione e lavoro in Italia. Statistiche, problemi e prospettive
Edizioni Idos, giugno 2008
Presentazione del 12 giugno 2008
Il terzo libro di Caritas Italiana dedicato all’immigrazione dall’Est Europa
Caritas Italiana, nel mese di giugno 2004, subito dopo l’allargamento dell’Unione Europea a 10 nuovi Stati, ha pubblicato il primo libro dedicato ai flussi di origine est-europea in Italia, seguito due anni dopo da un volume sulla Polonia e, ora, da un terzo libro dedicato all’immigrazione romena. Questo impegno conoscitivo di natura socio-statistica ha l’obiettivo di descrivere la realtà in esame senza pregiudizi e, quindi, di arricchirla con apporti di natura storica, giuridica, sociale, politica e religiosa.
I redattori del “Dossier Caritas/Migrantes” hanno operato in sinergia con uffici di ricerca (Consiglio Italiano per le Scienze sociali), strutture pubbliche italiane e romene (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, Ministero dell’Interno tra quelle italiane), mondo imprenditoriale (segnatamente Unicredit, notoriamente impegnato in Romania), centri pastorali (Caritas e Migrantes) e associazioni di italiani e di immigrati. Tra i 50 autori del volume oltre terzo è costituito da studiosi romeni, chiamati a presentare direttamente il loro punto di vista e a raccontare l’esperienza migratoria dei loro connazionali. Sono sei le indagini sul campo delle quali vengono riportati i risultati.
Il volume, che ha completato i dati degli archivi ufficiali con una stima per far luce sulla effettiva consistenza dei romeni, li ha inquadrati “dal vivo”, mostrando chi sono, come vivono, quali problemi incontrano, come si pongono nei nostri confronti, evitando di cadere in ragionamenti scontati e in pregiudizi.
Dopo la caduta del Muro di Berlino e dei regimi totalitari marxisti, anche a seguito del lungimirante apporto di Papa Giovanni Paolo II, è tempo di riflettere sul senso più profondo di questa fase storica e di riconoscerne i vantaggi, senza continuare a rimanere bloccati dalla paura di una “invasione” dall’Est. Per il popolo romeno l’adesione all’Unione Europea non è stata una forzatura ma un esito atteso, che ha favorito il progresso economico, culturale e sociale, nonché l’unificazione del continente: eppure, come nel caso dei polacchi, gli umori nei “vecchi” Stati membri non sono stati tra i più favorevoli.
La Romania, un nuovo Stato membro dal forte dinamismo
Gli abitanti della Romania sono 21,5 milioni e hanno un’età media abbastanza elevata (37,9 anni). Quattro su dieci (37,9% al Censimento del 2001) hanno completato l’istruzione secondaria e un altro 11% l’istruzione universitaria: tra gli italiani solo il 33% ha una formazione superiore. Il paese non è ricco: il prodotto interno lordo pro capite è di 5.639 euro e lo stipendio medio di 380 euro al mese. È forte, però, il tasso di crescita annuale (mai al di sotto del 5% a partire dal 2000 e pari al 6% nell’ultimo anno), mentre il tasso di disoccupazione è contenuto (4,3% nel paese e a Bucarest solo il 2%) e abbastanza elevato il tasso inflazione (4,8%). Non risulta, invece, soddisfacente la situazione dell’agricoltura, con molte terre in stato di abbandono, e ciò finisce per alimentare l’emigrazione.
La Romania, agevolata dall’ingresso nell’UE, ha beneficiato del fatto di essere un paese dal lavoro a basso costo. Diverse aziende italiane vi hanno delocalizzato le strutture produttive, pur mantenendo in patria il centro della direzione commerciale, del disegno dei prodotti e di alcuni altre fasi a più alto valore aggiunto. Sono stati elevati, e continuano ad esserlo, gli investimenti esteri (7,2 miliardi di euro nel 2007), indirizzati specialmente verso alcuni settori (bancario, costruzioni, telecomunicazioni, reti di distribuzione al dettaglio, auto, settore energetico e servizi privatizzati). Sono quasi 4 miliardi le rimesse che pervengono annualmente in Romania, a loro volta di grande aiuto per lo sviluppo del paese e il benessere delle famiglie. Questi fattori hanno determinato una forte dinamica dei consumi e forti investimenti in edilizia. Gli aspetti negativi sono, invece, costituti dalla povertà diffusa, dagli appesantimenti burocratici, dalla corruzione e dal problematico approccio alle minoranze (segnatamente quella dei rom).
Iniziano a farsi sentire gli effetti negativi dell’eccessivo turnover dei lavoratori qualificati (maggiormente attratti all’estero e disposti a trattenersi solo per retribuzioni più elevate) ed è insufficiente la stessa manodopera generica, specialmente nelle costruzioni, dove servirebbero altri 300.000 operai. Non di rado avviene che i romeni si licenzino in Romania per venire a lavorare in Italia, costringendo talvolta alla chiusura anche alcune aziende italiane. Seppure non più conveniente come nel passato, rispetto alle possibilità offerte da diversi paesi asiatici, la Romania continua a richiamare attenzione non solo in quanto mercato interno meno saturo, ma anche come base per la penetrazione nell’Est Europa.
Secondo l’organizzazione Unimpresa le aziende italiane operanti in loco sono 20.000, danno lavoro a 800.000 persone e alimentano un interscambio di 12.000 miliardi di euro annui (un obiettivo che con l’India raggiungeremo tra due anni ), che fanno dell’Italia il primo partner commerciale e uno tra i primi paesi investitori. Ad esempio, l’Enel è il più grande investitore energetico del paese con 2,5 milioni di clienti e 5.000 dipendenti. Secondo stime, il fatturato delle aziende italiane (150 milioni di euro) equivalgono al 7% sul prodotto interno lordo del paese. Unicredit ha creato a Bucarest un International Desk, che affianca migliaia di queste nostre aziende ma offre i servizi anche a quelle di altri paesi.
Gli immigrati romeni nel contesto della libera circolazione
Prima della caduta del Muro di Berlino a emigrare dalla Romania furono complessivamente 300.000 persone, per lo più appartenenti alle minoranze tedesche ed ebree; dopo il 1989 i flussi sono notevolmente aumentati, inizialmente verso i paesi vicini e poi a più largo raggio, fino a coinvolgere in maniera massiccia anche le donne e gli abitanti dei villaggi. Per inquadrare la propensione all’espatrio bisogna far riferimento all’urbanesimo forzato voluto da Ceausescu e alla conseguente soppressione di 7.000 villaggi: a seguito della chiusura delle fabbriche, questi lavoratori hanno continuato l’esodo, questa volta a livello transnazionale, specialmente a partire dal 2002, anno in cui è venuto meno l’obbligo del visto Schengen.
Specialmente nella prima fase, si sono sviluppate le cosiddette migrazioni informali o circolari, spesso di breve durata e funzionali alla sopravvivenza delle famiglie. Il ritmo dell’esodo è andato aumentando, sostenuto per lo più dalle reti amicali e parentali, nonostante l’inasprimento delle condizioni previste a livello normativo per l’espatrio (assicurazione medica, biglietto di ritorno, valuta estera) e le convenzioni bilaterali sottoscritte dalla Romania per facilitare il rimpatrio degli immigrati irregolari. Nel 2007, in coincidenza con l’adesione formale all’Unione Europea della Romania e della Bulgaria, le politiche restrittive di quasi tutti i paesi europei si sono proposte il contenimento di questi flussi.
All’inizio del 2006 erano più di 1 milione i romeni in età da lavoro che si trovavano nell’UE a 15, con i maggiori insediamenti in Spagna e in Italia: due anni dopo questi paesi rimangono ancora i poli principali, mentre il numero dei romeni è salito a circa due milioni. Secondo la Fondazione Soros una famiglia romena ogni tre e il 23% degli adulti hanno conosciuto l’emigrazione, nel 50% dei casi diretta in Italia e in un quarto dei casi in Spagna.
Quella attuale è senz’altro una situazione di transizione. Molti emigrati romeni, dalle risposte date nelle indagini, sarebbero disposti a ritornare in patria a determinate condizioni economiche; e in effetti non mancano quelli che tornano con un accresciuto bagaglio professionale. Aumentano, però, quelli che si insediano in Europa occidentale e il ritorno, specialmente per quanto riguarda chi si è insediato in Italia, è tutt’altro che scontato, almeno per quanto riguarda una prospettiva a breve termine.
La collettività romena: prima in Italia per numero di immigrati
I romeni, che in Italia erano appena 8.000 nel 1990, sono andati continuamente aumentando, fino a diventare un milione circa all’inizio del 2008: cento volte di più nel volgere di 17 anni. Essi si collocano al di sopra delle già consistenti collettività di albanesi e marocchini e i loro flussi hanno per così dire anticipato la formale adesione all’UE: 150.000 su 700.000 domande presentate in occasione della regolarizzazione del 2002, 130.000 su 500.000 in occasione del Decreto Flussi del 2006. L’unificazione del territorio comunitario e lo sganciamento dal sistema delle quote ha reso più agevoli i loro trasferimenti, senza che però questo regime giuridico più favorevole li abbia liberati dallo sfruttamento (lavoro nero, caporalato, discriminazione).
All’inizio del 2007, su un totale di 3.690.000 stranieri regolari i romeni sono risultati 556.000 secondo la stima del Dossier Caritas/Migrantes, per il 53,4% costituiti da donne. Aggiornata all’inizio del 2008, la stima, basata sull’utilizzo incrociato di tutti gli archivi disponibili, ipotizza la presenza di 1.016.000 romeni (stima di massima), inegualmente ripartiti tra motivi di lavoro, di famiglia e altre ragioni.
ITALIA. Stima di massima dei romeni soggiornanti al 31.12.2007
· Motivi di lavoro 749.000 (73,7%):occupati dipendenti 557.000, parasubordinati 13.000, autonomi 16.000, disoccupati 56.000, area informale 107.000
· Motivi di famiglia 239.000 (23,5%): minori 116.000, altri familiari 123.000
· Altri motivi 28.000 (2,8%).
· Totale presenze: 1.016.000
FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes
Trattandosi di una stima di massima, non è esclusa per motivi di prudenza una diminuzione del risultato finale tra il 10% e il 15%. Bisogna, infatti, tenere conto che nel corso del 2007 parte degli occupati può essere rimpatriata, che i disoccupati in parte possono sovrapporsi a quelli dell’area informale, che un certo numero di familiari è soggetto a essere conteggiato come occupato o anche in altre situazioni lavorative. Anche se si trattasse di 850 mila persone, i romeni rimarrebbero di gran lunga la prima collettività, per giunta con una crescente tendenza alla stabilizzazione attestata dall’insediamento familiare.
Con circa 200.000 unità di romeni presenti troviamo il Lazio (la provincia di Roma supera da sola le 100.000 presenze), con 160.000 la Lombardia, con 130.000 il Piemonte, con 120.000 il Veneto, con 80.000 l’Emilia Romagna e la Toscana e, nel Meridione, con 20.000 Abruzzo, Campania, Puglia e Sicilia. Al Sud l’aumento dei romeni (sia maschi che femmine) è stato in percentuale più consistente, anche perché partiva da numeri più bassi rispetto ai contesti del Centro-Nord.
Una presenza così consistente e diffusa, come già avvenne per il Marocco e l’Albania, ha generato una sorta di “sindrome da invasione”, una eventualità improbabile trattandosi di un paese caratterizzato dall’invecchiamento della popolazione, dal buon andamento economico e dal forte bisogno di trattenere forza lavoro aggiuntiva. Si è, invece, trascurato di riflettere sufficientemente sull’apporto che i romeni assicurano al “Sistema Italia”.
L’apporto dei romeni al sistema produttivo italiano
In Italia gli immigrati, all’incirca 1 ogni 10 occupati, sono diventati una componente strutturale e sempre più rilevante del mercato occupazionale, in cui il tasso di disoccupazione è da anni in costante diminuzione: ormai sono gli immigrati a coprire i due terzi del fabbisogno di nuova forza lavoro e i romeni stanno in prima fila.
In effetti, ogni 6 nuovi assunti stranieri 1 è romeno: secondo stime, i romeni garantiscono l’1,2% del PIL italiano (Avvenire, 25.5.2008). Nonostante l’alto livello di preparazione, essi trovano sbocco nei posti meno garantiti e, perciò, sottoscrivono in media 1,5 contratti l’anno. L’inserimento avviene per un terzo nell’industria (notoriamente in edilizia), per la metà nel terziario (assistenza familiare, alberghi e ristoranti, informatica e servizi alle imprese) e per il 6,6% in agricoltura.
L’aumento degli occupati registrati dall’Inail tra il 2006 e il 2007 è stato eccezionale, passando da 263.200 a 557.000, anche se solo in parte si è trattato di nuovi venuti e in larga misura di persone già presenti in Italia ed emerse grazie alla normativa più favorevole derivante dall’adesione all’Unione Europea. Sono aumentati specialmente gli uomini (dal 51,7% al 54,1%), avendo molti di loro (70.000) fruito delle misure di emersione nel settore edile (la legge 4 agosto 2006, n. 248, il cosiddetto “pacchetto Bersani in edilizia”); purtroppo, contemporaneamente è diminuito il numero di ore lavorate e sono aumentati i rapporti part-time, spia della maggiore diffusione del lavoro “grigio”.
La retribuzione loro corrisposta è leggermente inferiore a quella media percepita dalla totalità degli immigrati (10.042 euro nel 2004, secondo l’INPS): le donne percepiscono il 40% in meno rispetto agli uomini.
Un buon numero di donne romene (più di 1 ogni 4) lavora nel settore dell’assistenza alle famiglie ed è tutt’altro che scontato che i loro rapporti di lavoro siano del tutto emersi dopo l’ampliamento dell’UE. È vero, tuttavia, che le donne romene, in misura ben più consistente rispetto a quelle filippine o di alcune collettività latino-americane, sono inserite anche in diversi altri settori (come quello infermieristico, ad esempio).
Quanto al loro rapporto con il sistema previdenziale, bisogna riconoscere che i romeni sono al momento marginali fruitori non solo delle prestazioni pensionistiche ma anche delle prestazioni temporanee erogate dall’Inps. Invece, per quanto riguarda le prestazioni assistenziali, un certo numero di accertamenti ha motivato il sospetto che parte dei lavoratori neocomunitari (essi stessi o i loro familiari), complice la vicinanza dei paesi di origine, possono incorrere in un indebito “turismo sociale” e fruire delle prestazioni assistenziali (assegno sociale) sulla base di una residenza formalmente dichiarata ma non effettiva.
Un inserimento negato? La doppia faccia della questione
L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR), che collabora con l’omologo romeno (CNCD) e con le associazioni dei romeni, sulla base delle segnalazioni ricevute, ha tracciato un quadro delle più ricorrenti situazioni di discriminazione e di disparità che caratterizzano i romeni, i quali appaiono in realtà più vittime che “untori”:
- Diffusione di un’informazione tendenziosa sui fatti nei quali sono coinvolti i romeni;
- Mancanza di informazione, di assistenza legale e di formazione a beneficio dei romeni che arrivano in Italia;
- Sfruttamento sul luogo di lavoro, specialmente nel settore edile, primato dei romeni negli infortuni mortali e molestie sessuali subite dalle donne durante l’accudimento;
- Perseguimento della sicurezza pubblica con atteggiamenti spesso intimidatori, come emerso durante i controlli effettuati sul territorio;
- Riscontro di difficoltà burocratiche e di atteggiamenti ostili tra gli operatori pubblici con conseguente ostacolo ai romeni nella fruizione dei servizi sociali;
- Persistenza di specifiche difficoltà al momento di procedere alle iscrizioni anagrafiche;
- Segnalazione di impedimenti che hanno ostacolato l’esercizio del diritto di voto nelle elezioni amministrative italiane del 2007 (qualche comune ha addirittura preteso una traduzione legalizzata della parola “Bucaresti”, nome romeno della capitale).
Contrariamente a quanto spesso si pensa, la vita quotidiana dei romeni non è “facile” e numerosi sono gli aspetti problematici. Secondo gli studi del CNEL sull’integrazione, e gli approfondimenti in corso tramite l’utilizzo di indici differenziali per misurare il trattamento riservato agli immigrati, questi ultimi, nei contesti regionali più sensibili, arrivano al massimo al 60% degli standard di inserimento socio-lavorativo rilevati tra gli italiani, per cui si è ben lontani dall’assicurare pari opportunità. Merita anche ricordare che, al momento dell’entrata in vigore della legge 40/1998, le spese per l’integrazione erano pari a quelle per la repressione, mentre già nel 2004 il rapporto era diventato di 1 a 4 e ultimamente l’apposita Fondo per l’inclusione sociale è andato ulteriormente depotenziandosi. Questo trattamento differenziato, unito ad atteggiamenti di ostilità (si pensi alle difficoltà che si incontrano per ottenere una casa in affitto con regolare contratto), può portare i romeni a chiudersi nell’ambito delle reti familiari o dei connazionali.
Per giunta, molto spesso si tratta di famiglie smembrate, e quindi in maggiore situazione di disagio. Secondo un’indagine della Fondazione Soros sarebbero ben 170.000 i bambini romeni che hanno almeno un genitore all’estero: si tratta, in un caso su due, del padre, in un caso su tre della madre e in un caso su cinque di entrambi i genitori. I figli, per poter rivedere i propri genitori, devono aspettare fino a quattro anni con gli inconvenienti affettivi facilmente immaginabili: migliaia di madri sottratte alle loro famiglie, figli affidati ai nonni, altri ragazzi messi in orfanotrofi. Sono costi umani non trascurabili che gli immigrati romeni pagano per il nostro benessere.
I romeni, una collettività di lavoratori con frange di devianti
Si può concordare con Rando Devole, un sociologo immigrato, quando afferma che “La questione sicurezza ha acquisito i colori della bandiera romena”. Egli si sofferma ironicamente sul titolo di un giornale (“Un ubriaco al volante travolge e ammazza una romena”), chiedendosi se non fosse più giusto riportare la nazionalità (italiana) dell’ubriaco e qualche altra considerazione al riguardo. Devole, nel suo capitolo, illustra che la paura – in una società caratterizzata dalla precarietà – può diventare ideologia e portare il paese a diventare ostaggio di questo sentimento, finendo per parlare di ladri e assassini anziché di muratori e badanti. In effetti, è aumentata la percentuale di quanti ritengono che l’immigrazione sia un problema per l’ordine pubblico e si è diffusa la “sindrome dell’assedio”, così come una volta avveniva per altre collettività.
Senz’altro non devono essere sottovalutate le dimensioni della criminalità degli stranieri, riassumibili in questi dati: un quinto delle denunce penali (130.311 su 550.773 con autore noto nel 2005 secondo l’Istat, mentre le denunce totali sono circa 4,5 milioni l’anno), un quarto delle condanne, un terzo della popolazione carceraria. Tra i giovani, la categoria a più alto potenziale criminogeno, gli stranieri tra i 15 e i 24 anni sono passati dal 3% al 6%. Come si legge nel Rapporto sulla criminalità in Italia del Ministero dell’Interno (2007), il 71% degli immigrati che commettono reati sono irregolari: quelli regolari sono stati nel 2006 all’incirca il 6% dei denunciati così come sono il 6% della popolazione residente. Bisogna, quindi, superare l’equazione “immigrato uguale a delinquente” perché viene denunciato solo uno ogni cinquanta regolari.
Seppure così ridimensionato, il problema è serio e può essere molto elevata l’incidenza degli stranieri in diversi tipi di reato: circa un terzo nei reati violenti (omicidi, lesioni dolose, reati predatori) e furti con destrezza, il 51% nelle rapine e nei furti in abitazione, il 70% nei borseggi. In particolare i romeni, che sono stati il 12% dei soggiornanti nel 2006, hanno inciso con una percentuale più alta in diversi reati (omicidi volontari consumati, violenze sessuali, furti di autovetture, furti con strappo, furti in abitazione, furti con destrezza, rapine in esercizi commerciali e rapine in pubblica via, estorsioni). Va però aggiunto che non di rado le vittime sono parimenti romene.
Comunque, riprendendo uno dei pochi titoli equilibrati su questa collettività, si può sottolineare che sono frange di persone che si comportano male rispetto alla stragrande maggioranza: “Noi, romeni d’Italia. Siamo un milione. Pochissimi i Criminali” (Cesare Guezzi, in Avvenire, 25 maggio 2008, p. 8, in un reportage sul primo forum degli emigrati romeni svoltosi a Milano)
Anche tra i romeni vi sono, purtroppo, le organizzazioni malavitose che si occupano di immigrazione clandestina, tratta degli esseri umani, lavoro nero, traffico di sostanze stupefacenti, contraffazione, clonazione di carte di pagamenti, accattonaggio e sfruttamento di minori e di storpi. Per alimentare il circuito della prostituzione, le ragazze vengono reclutate con violenza nelle zone più povere della Romania: si tratterebbe, tra le romene e quelle di altre nazionalità, di 18.000/35.000 persone l’anno che circolano in Italia. Purtroppo, sono ricorrenti gli atti di violenza sessuale anche all’interno delle mura domestiche, a danno delle romene o di altre colf a servizio delle famiglie italiane.
Un aspetto ancor più preoccupante consiste nel fatto che un terzo dei minori stranieri denunciati è romeno (4.000 nel 2004), per lo più di sesso femminile e in prevalenza rom e accusate di furto contro il patrimonio; quasi un migliaio di questi minori sono passati nei centri di prima accoglienza. Inoltre i romeni sono i primi anche tra i minori non accompagnati (più di 2.000), abbandonati o venduti dai genitori o desiderosi di sfuggire a un regime familiare oppressivo o allontanatisi per altri motivi.
I rom, nomadi o zingari, oltre a vivere in situazione di povertà ed emarginazione, sono svantaggiati per l’alloggio, i servizi sociali, l’occupazione, l’istruzione e oggetto di notevoli pregiudizi che li inquadrano come approfittatori, malviventi o vagabondi: essi, non di rado invisi anche in patria, costituiscono una questione specifica all’interno della questione dei romeni. In Romania i rom sono ufficialmente 535.140, il 2,5% della popolazione locale, ma in realtà sarebbero fino a 4 volte di più: studiati in profondità da Etnobarometro, essi si tripartiscono in 23 gruppi e quindi in ulteriori sottogruppi, con caratteristiche differenziate: alcuni sono nomadi e altri sedentari, alcuni istruiti e integrati (le élite) e altri no, per cui dovrebbe essere maggiormente articolato l’approccio nei loro confronti.
Gli aspetti problematici, riscontrati in tutti i flussi migratori di massa, possono essere ridimensionanti tramite l’insistenza sulla legalità (anche a livello lavorativo), il coinvolgimento delle associazioni dei romeni (un immigrato che delinque offusca innanzitutto l’immagine della collettività), la collaborazione bilaterale e una maggiore insistenza sui percorsi di integrazione: c’è bisogno di una strategia concreta e ispirata alla reciproca fiducia.
I risultati delle indagini pubblicate nel volume della Caritas
Le diverse indagini, condotte dalla Caritas con la collaborazione delle associazioni dei romeni, delle strutture pastorali, di qualche università, del Consiglio Italiano per le Scienze Sociali, insieme a quelle svolte direttamente dal Governo romeno, ci restituiscono un’immagine inedita dei romeni, non sufficientemente esplorata, non priva di aspetti problematici ma anche ricca di virtualità.
Molti si presentano a noi come persone qualificate e tutti sono vicini a noi, non solo per la lingua e la religione, ma anche per il complesso dei loro atteggiamenti, per le loro qualità lavorative e la preparazione in precedenza ricevuta.
Secondo l’indagine “Metro Media Trans” (2007-2008, commissionata dal Governo romeno), tra i romeni in Italia il 9% ha una casa di proprietà e l’8% vive presso il proprio datore di lavoro. Il 72% ha conseguito un titolo di studio superiore, il 90% ha un reddito medio mensile di 1.030 euro. Per il 71% la televisione è il principale mezzo di svago. I giornali preferiti sono quelli gratuiti. Il 60% ritiene che, in occasione dell’omicidio di Giovanna Reggiani a Roma, la stampa e i politici italiani abbiano mostrato un atteggiamento tendenzioso. Prevale in loro (52%) la considerazione positiva degli italiani, mentre – come attesta una indagine parallela – il 65% degli italiani non desidererebbe in famiglia una persona romena.
Le altre indagini concordano nel rilevare che la maggioranza si vuole fermare in Italia, anziché rimpatriare. Forse, a seguito delle esperienze che i romeni stanno facendo in Italia e in Spagna, la loro migrazione sta per trasformarsi (non totalmente ma in buona misura) da circolare e temporanea in stabile, a medio o lungo termine, se non addirittura in una prospettiva definitiva (basti pensare che a Roma, nel 2007, sono stati 10.000 gli acquisti di immobili da parte di romeni). Il miraggio di inserimenti più qualificati, che potrebbero dare altri paesi come la Gran Bretagna o la Germania, viene accarezzato ma non coltivato più di tanto. La famiglia è il luogo principale della vita quotidiana e dei rapporti sociali, mentre non tutti fanno parte di associazioni, delle quali però si iniziano a riconoscere i vantaggi.
Essi mostrano grande interesse verso il mondo del lavoro, che ritengono fondamentale per l’integrazione. Tenuto conto dei settori prevalenti in cui si inseriscono e delle difficoltà che impediscono il riconoscimento del titolo di studio, raramente riescono a migliorare la propria condizione professionale, e tuttavia sono abbastanza soddisfatti perché, rispetto a chi è rimasto in patria, riescono a realizzare meglio il proprio progetto economico di miglioramento e ad aiutare i propri familiari; per molti, anzi, si è andati oltre le aspettative.
Sono straordinari, loro stessi e ancor di più i loro figli, nell’apprendimento dell’italiano, che a casa alternano con il romeno e, in caso di una sola lingua, preferiscono l’italiano: non manca di stupire il loro desiderio di perfezionarlo, qualora venissero offerte maggiori opportunità; anche i loro figli si trovano a loro agio con la nostra lingua e seguono con profitto la scuola.
Qualcosa di simile avviene per i giornali: o si leggono tanto quelli italiani che quelli romeni, oppure solo quelli italiani, con particolare attenzione all’attualità. Eppure i romeni intervistati hanno un concetto tutt’altro che basso del loro sistema di istruzione e della loro cultura.
Dell’Italia, più che la cucina o il sistema scolastico, apprezzano il sistema sanitario, perché in patria non è prevista la copertura universale come da noi.
Secondo i testimoni privilegiati i voti che gli italiani danno dei romeni sono più soddisfacenti (e anche più vicini agli aspetti che abbiamo preso in considerazione: affidabili, seri, bravi, lavoratori) di quelli che i romeni danno agli italiani (sfruttatori, razzisti, furbi, imbroglioni, aggettivi per lo più maturati nelle situazioni di irregolarità e di lavoro nero e, anche ora, di vigilanza pubblica insoddisfacente). Questi immigrati in misura ricorrente si sono sentiti discriminati, senza che l’entrata nell’Unione Europea abbia potuto migliorare sensibilmente la situazione. Eppure la stragrande maggioranza ha amici italiani, più di quanto avvenga con i connazionali, e tende all’insediamento stabile tramite i ricongiungimenti familiari. L’esperienza italiana? Un voto di sufficienza, anche se si desidera una migliore integrazione. Perciò è tempo che anche gli italiani si sforzino di capire che senza i romeni l’Italia starebbe peggio e che la realtà è migliore rispetto a quello che si legge nella cronaca nera.
La dimensione religiosa tra gli immigrati romeni
Con l’immigrazione dall’Est Europa si è radicata da noi una presenza di tipo nuovo, costituita oltre che da cattolici portatori di una sensibilità religiosa da noi spesso dimenticata, da ortodossi testimoni di un’eredità cristiana che ha resistito a decenni di ateismo di Stato. Nel 2006 gli ortodossi (918.000) hanno superato di più di 100.000 unità i cattolici e distano meno di 300.000 unità dai musulmani: tra gli studenti si riscontra in misura crescente la loro presenza e questa confessione religiosa è prima in assoluto nelle scuole di alcune regioni (Lazio, Abruzzo e Campania). Più di quattro romeni su cinque sono ortodossi, mentre il 5% è cattolico. Nel contesto occidentale la presenza ortodossa aiuta a riscoprire la virtù del silenzio e della la bellezza del canto liturgico, la fraternità dell’incontro dopo il servizio religioso.
La dimensione religiosa non è lontana dalla vita degli immigrati romeni, perché per essi non sussiste una netta separazione tra sacro e profano: essi, per esempio, seguono la simpatica tradizione di festeggiare il compleanno in chiesa. Non tutto è facile nel nuovo ambiente, perché la grande ricchezza spirituale dell’ortodossia non sempre riesce a trovare lo sbocco dovuto nell’esperienza migratoria e nella vita quotidiana dei suoi protagonisti.
La chiesa, da parte sua, funge da centro di incontro e di solidarietà tra le culture più di ogni altra struttura associativa e si propone come un supporto dell’identità dei romeni nel contesto dell’integrazione europea e della globalizzazione economica. La chiesa ortodossa gode di una grande fiducia, che non riscuotono altre strutture pubbliche e neppure quelle europee. Le indagini evidenziano che le strutture religiose sono, insieme a quelle lavorative, quelle con cui i romeni hanno più contatti, un posto privilegiato di socializzazione. I sacerdoti operano da mediatori preziosi tra la società di accoglienza e i bisogni dei loro fedeli, soprattutto giovani che non sempre riescono a vivere bene questa fase di transizione e rischiano di assorbire dall’Occidente modelli discutibili (i miti del guadagno, del successo, dell’apparire) in un clima di perplessità e di tensioni.
La sfida per la chiesa ortodossa, in collaborazione con quella cattolica, consiste nell’agevolare una integrazione che non sia di facciata e nel favorire contemporaneamente, nei suoi fedeli, il recupero dei valori tradizionali.
Nel futuro, Romania e Italia paesi di immigrazione
Nel futuro l’Italia senz’altro continuerà ad essere un grande paese di immigrazione, ma tutto lascia intendere che anche la Romania subirà una profonda trasformazione in tal senso.
Già nel passato la Romania è stata un paese di immigrazione. Tra la fine dell’‘800 e la seconda guerra mondiale vi si trasferirono 130.000 italiani, in varie ondate per lo più a carattere temporaneo: molti di questi lavoratori venivano chiamati le “rondini” (in friulano “golandrinas”) perché, per evitare le pause morte, facevano la spola seguendo l’avvicendarsi delle stagioni e così potevano curare anche le proprie terre e mantenere i legami con la famiglia. Oltre che di friulani (la prevalenza), si trattava anche di veneti e di trentini. Erano lavoratori della pietra o del legno (segherie), tagliaboschi, piccoli impresari edili (Baumeister), agricoltori, muratori, scalpellini, tagliapietre e minatori.
Nel complesso, gli italiani diedero un grande contributo all’industrializzazione della “grande Romania” ed erano così apprezzati da ottenere salari più vantaggiosi e riuscire a mettere da parte risparmi consistenti. I nostri impresari riuscirono ad aggiudicarsi numerose commesse in vari settori e specialmente nella costruzione della Transiberiana: nel 1845 erano italiani 23 dei 116 ingegneri occupati presso la Compagnia ferroviaria romena, mentre furono 2.000 gli operai italiani impiegati per la costruzione del ponte ferroviario di Cernavoda. Alla fine del secondo conflitto mondiale vi rimasero in Romania soltanto 8.000 italiani; poi con il regime comunista, il cambio della moneta e la nazionalizzazione, le loro fatiche vennero vanificate e per legge dovettero diventare cittadini romeni, privati dell’assistenza religiosa (solo nel 1967 è stata riaperta la chiesa italiana di Bucarest). La nuova Costituzione ha riconosciuto agli attuali emigrati italiani (3.288 secondo il Censimento romeno e circa il doppio secondo gli studiosi) lo status di minoranza etnica e il diritto di eleggere un proprio parlamentare. Ad essi si sono aggiunti i nuovi imprenditori.
In questa fase, la Romania sta conoscendo un’evoluzione per molti aspetti simile a quella italiana dei decenni scorsi e, pur continuando a essere paese di consistente emigrazione e dopo essere già divenuta area di passaggio, si sta trasformando in area di immigrazione e quindi anche di insediamento stabile. Attualmente sono circa 130.000 le persone nate all’estero che vivono in Romania, concentrate nelle città e, in particolare, a Bucarest; altre 300.000 ne sono previste entro il 2013. La penuria di manodopera sta portando a reclutare non solo i lavoratori dei paesi vicini (ucraini, moldavi, serbi), ma anche quelli di lontani paesi asiatici (bengalesi, pakistani, indiani) come anche immigrati della Cina, con la quale c’è una linea area diretta.
L’Italia e la Romania sono, già attualmente e ancor di più in prospettiva, due paesi meno distanti di quanto si creda, tanto più che una significativa presenza lavorativa romena è insediata in Italia e una significativa presenza imprenditoriale italiana opera in Romania. La reciproca integrazione sta nella logica dei fatti, solo che bisogna rendersi conto che essa non si raggiunge per decreto legge. La collettività romena in Italia ha avuto anche i suoi aspetti problematici, ma è tempo di considerarla nella sua sostanza più valida, che è di sostegno al nostro sviluppo e di legame tra i due paesi.
ITALIA. Stima della presenza dei cittadini romeni (2006-2007)
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Stima 2006 |
Stima 2007 |
% aumento 2006/2007 |
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Stima 2006 |
Stima 2007 |
% aumento 2006/2007 |
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|
Totale |
Minori |
Totale |
Minori |
Pre-esenze |
Lavoro |
|
Totale |
Minori |
Totale |
Minori |
Pre-senze |
Lavoro |
Val d'Aosta |
1.256 |
13,3 |
2.415 |
8,8 |
92,3 |
125,8 |
Lazio |
115.549 |
17,8 |
197.957 |
13,2 |
71,3 |
108,4 |
Piemonte |
82.898 |
19,2 |
127.559 |
15,9 |
53,9 |
82,4 |
Centro |
186.063 |
17,3 |
329.416 |
12,4 |
77,0 |
116,7 |
Lombardia |
92.343 |
16,1 |
162.701 |
11,6 |
76,2 |
111,3 |
Abruzzo |
9.944 |
15,7 |
23.158 |
8,6 |
132,9 |
200,6 |
Liguria |
6.737 |
14,8 |
14.347 |
8,9 |
113,0 |
163,8 |
Campania |
5.858 |
15,3 |
21.725 |
5,3 |
270,8 |
415,1 |
Nord ovest |
183.234 |
17,4 |
307.022 |
13,3 |
67,6 |
101,4 |
Molise |
1.270 |
14,9 |
3.300 |
7,3 |
159,9 |
236,5 |
Trent.AA |
15.641 |
7,8 |
23.897 |
6,5 |
52,8 |
59,9 |
Basilicata |
1.338 |
14,2 |
5.525 |
4,4 |
312,8 |
463,9 |
Veneto |
77.448 |
16,2 |
124.464 |
12,8 |
60,7 |
86,1 |
Puglia |
4.170 |
13,8 |
25.084 |
2,9 |
501,6 |
739,1 |
Friuli VG |
14.140 |
15,6 |
21.658 |
13,0 |
53,2 |
71,9 |
Calabria |
3.616 |
17,7 |
16.478 |
4,9 |
355,7 |
602,2 |
Emilia R. |
46.358 |
12,2 |
85.536 |
8,5 |
84,5 |
111,2 |
Sud |
26.196 |
15,5 |
95.270 |
5,4 |
263,7 |
406,8 |
Nord est |
153.588 |
14,1 |
255.555 |
10,8 |
66,4 |
89,7 |
Sicilia |
5.075 |
19,6 |
20.972 |
6,0 |
313,3 |
572,5 |
Toscana |
44.651 |
16,3 |
83.466 |
11,1 |
86,9 |
130,3 |
Sardegna |
1.845 |
13,5 |
7.705 |
4,1 |
317,7 |
460,2 |
Marche |
14.187 |
15,6 |
26.329 |
10,7 |
85,6 |
123,7 |
Isole |
6.920 |
18,0 |
28.677 |
5,5 |
314,4 |
536,9 |
Umbria |
11.676 |
18,3 |
21.665 |
12,5 |
85,6 |
134,5 |
Totale |
556.000 |
16,4 |
1.016.000 |
11,4 |
82,7 |
122,8 |
FONTE: Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes. Stima su dati di fonti diverse