Quanto è lunga l’Italia, ma quanto sono vicine Rosarno e
Saluzzo. Millequattrocento chilometri. «Ero lì due anni fa, quando scoppiò la
rivolta, sono qui adesso - sorride un ragazzo maliano -. Dopo nove anni in
Italia, sempre nelle campagne del sud, per la prima volta sono venuto in
Piemonte, perché non trovavo più lavoro. Ma è vivere questo?». Un cartone
rancido come letto, un telone liso come tetto: certe case di architettura
contemporanea si somigliano a tutte le latitudini.
Trecento africani, quasi tutti regolari, parecchi fuggiti dalla Libia lo scorso
anno. E così la ricca (21 sportelli bancari per 18 mila abitanti), nobile (per
secoli capitale di un marchesato) ed elegante cittadina piemontese si scontra
con i drammi dell’immigrazione. Il Comune sgombera il foro boario, dove ne erano
ricoverati 150, per allestire gli stand della fiera agricola. I migranti si
ritirano dietro la cancellata, riparandosi sotto i teloni sostenuti da funi
precarie legate a mattoni sull’asfalto. Il Comune monta tre bagni chimici e un
rubinetto, poi alza un «muro» con tavole di legno per separare le due zone anche
visivamente. Il comitato antirazzista (una ventina di persone) protesta, in
poche ore compare la scritta «Saluzzo Vergogna, dignità per i migranti» che
«indigna» il sindaco pd Paolo Allemano: «Che c’entra il razzismo? Si vergogni
chi lo dice». Così ieri sono arrivati Carlo Petrini, anima di Slow Food, e il
cantautore Gianmaria Testa, che si sono appassionati alla causa.
Il paragone con Rosarno (e con tutte le altre Rosarno stagionali d’Italia) viene
naturale. Giacigli di fortuna, pannocchie bruciate sui falò (le bombole del gas
costano 42 euro, non sempre la colletta riesce), rifiuti ovunque, un vecchio
biliardino per i pomeriggi senza lavoro, bici da riparare in fretta per
raggiungere le aziende fino a quindici chilometri di distanza. E se fa freddo o
piove... In realtà, le situazioni sono diverse. A Rosarno gli accampamenti erano
da mille persone senza bagni, qui i 164 sistemati nei campi attrezzati vivono
dignitosamente (quelli dietro il foro boario, no). E le condizioni di lavoro
sono decisamente migliori. Niente caporali, niente tensioni con gli italiani
(anziani giocano a bocce a venti metri, donne attraversano la tendopoli), paga
buona (in genere 5,50 l’ora, 45 euro al giorno; in Calabria 25-30 lavorando di
più), rapporti stabili con le aziende agricole, tasso di occupazione all’80 per
cento.
E allora, perché l’argine è sfondato? Nel dopoguerra, i braccianti per i
frutteti si riversavano dalle valli. Poi toccò ai meridionali. Racconta
Gianmaria Testa, figlio e fratello di contadini («Si è emancipato facendo il
ferroviere», scherza Petrini) che «fino agli anni ‘70 in estate le aziende si
riempivano di studenti con i sacchi a pelo, ancheda Torino. La cultura contadina
è permeata di accoglienza, un piatto di minestra c’è sempre per tutti, poi
qualcosa si è rotto». Dagli anni ’80 si considera disdicevole mandare i figli a
raccogliere pesche, mele e susine (anche se quest’anno se ne rivede qualcuno), e
i proprietari trovano conveniente la manodopera straniera. Oggi Saluzzo ha 2000
immigrati su 18000 abitanti. In principio gli albanesi, comunità ancora
prevalente (circa 800, bene integrati). Poi macedoni nei vigneti e cingalesi
negli allevamenti. Infine africani nei frutteti: imparano in fretta, lavorano
tanto e bene, sono flessibili senza le complicazioni burocratiche (e l’obbligo
di fornire un alloggio) dei decreti flussi.
Nel 2009, alla Caritas se ne erano affacciati otto. Nel 2010 ottanta. L’anno
scorso 180. Una progressione insostenibile per i sette Comuni della zona, che
con l’aiuto di imprenditori, donatori e associazioni hanno allestito diverse
aree (ex ostelli, campi sportivi, prefabbricati, la sede della Caritas,
l’alloggio del custode del cimitero). C’erano anche le tende della Protezione
civile, poi dirottate per i terremotati dell’Emilia. «Abbiamo fatto il
possibile, sopportando anche costi enormi, per assisterne 164. Ne sono arrivati
altrettanti che esigono una sistemazione. Impossibile. E poi che cosa dico alle
quaranta famiglie italiane sfrattate?».
Il sindaco ha scritto al prefetto: «C’è un mondo che ci casca addosso, non può
farsene carico solo Saluzzo». Petrini, da vecchio marxista, va al punto. «Sono
lavoratori? Lavorano? Allora devono farsene carico le aziende, che ci
guadagnano. Non possono girarsi dall’altra parte. Non mi si dica che non sono in
grado di farlo. E anche la Cgil, non si accorge di niente?».
A ottobre andranno tutti via, in Calabria negli agrumeti. Le soluzioni
strutturali sono rinviate al prossimo anno, quando saranno ancora di più. Per il
mese che resta, non resta che sopravvivere. Sperando che non piova.