Tra gli immigrati che dormono sui cartoni, il comitato antirazzista chiede dignità

da La Stampa.it: GIUSEPPE SALVAGGIULO
 

Quanto è lunga l’Italia, ma quanto sono vicine Rosarno e Saluzzo. Millequattrocento chilometri. «Ero lì due anni fa, quando scoppiò la rivolta, sono qui adesso - sorride un ragazzo maliano -. Dopo nove anni in Italia, sempre nelle campagne del sud, per la prima volta sono venuto in Piemonte, perché non trovavo più lavoro. Ma è vivere questo?». Un cartone rancido come letto, un telone liso come tetto: certe case di architettura contemporanea si somigliano a tutte le latitudini.

Trecento africani, quasi tutti regolari, parecchi fuggiti dalla Libia lo scorso anno. E così la ricca (21 sportelli bancari per 18 mila abitanti), nobile (per secoli capitale di un marchesato) ed elegante cittadina piemontese si scontra con i drammi dell’immigrazione. Il Comune sgombera il foro boario, dove ne erano ricoverati 150, per allestire gli stand della fiera agricola. I migranti si ritirano dietro la cancellata, riparandosi sotto i teloni sostenuti da funi precarie legate a mattoni sull’asfalto. Il Comune monta tre bagni chimici e un rubinetto, poi alza un «muro» con tavole di legno per separare le due zone anche visivamente. Il comitato antirazzista (una ventina di persone) protesta, in poche ore compare la scritta «Saluzzo Vergogna, dignità per i migranti» che «indigna» il sindaco pd Paolo Allemano: «Che c’entra il razzismo? Si vergogni chi lo dice». Così ieri sono arrivati Carlo Petrini, anima di Slow Food, e il cantautore Gianmaria Testa, che si sono appassionati alla causa.

Il paragone con Rosarno (e con tutte le altre Rosarno stagionali d’Italia) viene naturale. Giacigli di fortuna, pannocchie bruciate sui falò (le bombole del gas costano 42 euro, non sempre la colletta riesce), rifiuti ovunque, un vecchio biliardino per i pomeriggi senza lavoro, bici da riparare in fretta per raggiungere le aziende fino a quindici chilometri di distanza. E se fa freddo o piove... In realtà, le situazioni sono diverse. A Rosarno gli accampamenti erano da mille persone senza bagni, qui i 164 sistemati nei campi attrezzati vivono dignitosamente (quelli dietro il foro boario, no). E le condizioni di lavoro sono decisamente migliori. Niente caporali, niente tensioni con gli italiani (anziani giocano a bocce a venti metri, donne attraversano la tendopoli), paga buona (in genere 5,50 l’ora, 45 euro al giorno; in Calabria 25-30 lavorando di più), rapporti stabili con le aziende agricole, tasso di occupazione all’80 per cento.

E allora, perché l’argine è sfondato? Nel dopoguerra, i braccianti per i frutteti si riversavano dalle valli. Poi toccò ai meridionali. Racconta Gianmaria Testa, figlio e fratello di contadini («Si è emancipato facendo il ferroviere», scherza Petrini) che «fino agli anni ‘70 in estate le aziende si riempivano di studenti con i sacchi a pelo, ancheda Torino. La cultura contadina è permeata di accoglienza, un piatto di minestra c’è sempre per tutti, poi qualcosa si è rotto». Dagli anni ’80 si considera disdicevole mandare i figli a raccogliere pesche, mele e susine (anche se quest’anno se ne rivede qualcuno), e i proprietari trovano conveniente la manodopera straniera. Oggi Saluzzo ha 2000 immigrati su 18000 abitanti. In principio gli albanesi, comunità ancora prevalente (circa 800, bene integrati). Poi macedoni nei vigneti e cingalesi negli allevamenti. Infine africani nei frutteti: imparano in fretta, lavorano tanto e bene, sono flessibili senza le complicazioni burocratiche (e l’obbligo di fornire un alloggio) dei decreti flussi.

Nel 2009, alla Caritas se ne erano affacciati otto. Nel 2010 ottanta. L’anno scorso 180. Una progressione insostenibile per i sette Comuni della zona, che con l’aiuto di imprenditori, donatori e associazioni hanno allestito diverse aree (ex ostelli, campi sportivi, prefabbricati, la sede della Caritas, l’alloggio del custode del cimitero). C’erano anche le tende della Protezione civile, poi dirottate per i terremotati dell’Emilia. «Abbiamo fatto il possibile, sopportando anche costi enormi, per assisterne 164. Ne sono arrivati altrettanti che esigono una sistemazione. Impossibile. E poi che cosa dico alle quaranta famiglie italiane sfrattate?».

Il sindaco ha scritto al prefetto: «C’è un mondo che ci casca addosso, non può farsene carico solo Saluzzo». Petrini, da vecchio marxista, va al punto. «Sono lavoratori? Lavorano? Allora devono farsene carico le aziende, che ci guadagnano. Non possono girarsi dall’altra parte. Non mi si dica che non sono in grado di farlo. E anche la Cgil, non si accorge di niente?».

A ottobre andranno tutti via, in Calabria negli agrumeti. Le soluzioni strutturali sono rinviate al prossimo anno, quando saranno ancora di più. Per il mese che resta, non resta che sopravvivere. Sperando che non piova.