La sentenza del giudice civile del Tribunale di Brescia, depositata il 31 gennaio scorso, pare sia il primo caso in Italia di applicazione della nozione di “molestia razziale”, recepita nell’ordinamento italiano con il d.lgs. n. 215/2003, in base alla direttiva europea n. 2000/43/CE, ed applicata nei confronti della Lega Nord di Adro (BS).
 

DA STRANIERIINCAMPANIA.IT
I leghisti della cittadina bresciana, infatti, avevano esposto un manifesto dal tono sprezzante e diffamatorio non solo nei confronti della segretaria locale della CGIL, impegnata a contrastare le iniziative discriminatorie del movimento leghista locale verso gli immigrati stranieri, ma anche oltraggioso, denigratorio e di stampo razzista, nei confronti di una famiglia di nordafricani (erano stati definiti “beduini”) impossibilitata, per sopraggiunte difficoltà economiche, a provvedere al pagamento dell’affitto di una casa popolare e conseguentemente sotto procedura di sfratto.
Il giudice quindi ha dunque ritenuto contenuti e linguaggio utilizzato nel manifesto affisso sulla pubblica via, diffamatorio e a valenza razzista/xenofoba, reso esplicito dall’utilizzo del termine denigratorio “beduino” per identificare un immigrato di provenienza mediorientale. Pertanto, ha accolto il ricorso proposto dalla diretta interessata, da ASGI e Fondazione Guido Piccini di Brescia, ritenendo che il comportamento in oggetto abbia costituito una molestia razziale in quanto posto in essere “allo scopo di violare la dignità di una persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante e offensivo” (art. 2 c. 3 d.lgs. n. 215/2003) e questo con una motivazione di fondo evidentemente razzista e fondata sul disprezzo nei confronti degli immigrati extracomunitari.
È stato, inoltre, intimato di “rimuovere” il manifesto incriminato; è stato ordinato alla sede locale della Lega Nord di Adro di astenersi in futuro da comportamenti diffamatori e di chiara valenza razzista del tipo di quelli in esame; è stato imposto il risarcimento del danno non solo a favore della attivista CGIL, ma anche a favore delle associazioni ricorrenti che sono state ritenute esse stesse danneggiate dall’utilizzo di espressioni lesive della dignità di tutti gli immigrati.