APPLAUSI ALLA PROIEZIONE STAMPA
«Il villaggio di cartone» di Olmi, apologo morale sull'accoglienza

Il regista: bisogna inginocchiarsi di fronte agli immigrati e a chi soffre, troppo facile davanti a un crocifisso


Dal CORRIERE DELLA SERA .IT - L'INVIATO STEFANIA ULIVI
 




Ermanno Olmi (a destra) con Michael Lonsdale (centro) e Rutger Hauer (Reuters)
VENEZIA – «O cambiamo il senso impresso alla storia o sarà la storia a cambiare noi». Dall’alto dei suoi 80 anni e del ruolo di venerato maestro che gli sta strettissimo («Sono stato un allievo tutta la vita»), Ermanno Olmi ha preferito declinare l’invito di venire al Lido in gara e presenta fuori concorso il suo Il villaggio di cartone (nei cinema dal 7 settembre), un film che non aveva in programma di girare e gli è nato dentro, durante lunghi di forzata inattività seguiti a una caduta. Un apologo morale pacato ma durissimo sul tema dell’accoglienza. Come in Terraferma di Crialese e Cose dell’altro mondo di Paterno, il tema è il rapporto tra noi e i tanti che ci vengono a chiedere aiuto.

LA TRAMA - «Se non apriamo le nostre case, compresa la casa più intima, che è il nostro animo, siamo solo uomini di cartone». La casa che si apre del film (interpretto da Michael Lonsdale, Rutger Hauer, Alessandro Haber, Massimo De Francovich, Elhadji Ibrahima Faye) è una chiesa, ormai dimessa, smontata pezzo dopo pezzo sotto gli occhi dell’anziano parroco, che assiste impotente alla sparizione del Grande crocifisso. Diventerà un centro di accoglienza per un gruppo di disperati, «i veri ornamenti del tempio di Dio». Chissà se tutti in Vaticano apprezzeranno? Il messaggio di Olmi non lascia spazio a dubbi: via i simulacri, dentro gli uomini. «Tutti noi abbiamo bisogno di liberarci dagli orpelli anche nobili, compresa certa cultura che diventa solo un orpello se non ci aiuta a favorire il contatto. Troppo facile inginocchiarci di fronte a un crocifisso: Cristo ha pagato per noi 2000 anni fa, oggi quelli di fronte a cui bisogna inginocchiarsi sono quelli che soffrono, gli immigrati, i senza casa, i ragazzi persi nella droga, gli emarginati». Pietà l’è morta, racconta Olmi. Neanche la carità sta troppo bene. «Ma cosa più esserci di più importante dell’accoglienza? Vorrei ricordare ai cattolici, e io sono tra questi, di ricordarsi più spesso di essere anche cristiani. Il vero tempio è la comunità umana».

APPREZZAMENTO - Applausi alla proiezione stampa, così come per Crialese e Patierno. I paralleli valgono, s’intende, solo per il tema trattato: ma evidentemente il conflitto tra ciò che impone la legge (qui rappresentato dal personaggio di Haber, il graduato che dice: «Non sono io che faccio le leggi, le faccio solo rispettare») e il sentimento popolare è molto sentito. Per esempio, in barba agli inviti di boicottaggio di Cose dell’altro mondo, lanciati da alcuni leghisti, il film con l’Abatantuono imprenditore che invoca la sparizione degli immigrati dagli schermi della sua tv, è risultato l’incasso italiano più alto del weekend.

MAGRIS E MONTANELLI – Serafico e disponibile come sempre, Olmi scherza su sé stesso («Tengo la cuffia anche se non ho bisogno di traduzione simultanea, ma sono un po’ sordo»), e con l’attore Rutger Hauer che ritrova quindici anni dopo La leggenda del santo bevitore («Sul piano umano non ci siamo mai lasciati, lui voleva venirmi a trovare quando ero bloccato a letto, voleva venire per vedermi mezz'ora anche se era a 800 km di distanza». È un attore straordinario, ma non ha il senso dei chilometri, d’altronde si sa, arriva da altri mondi»). Per Il villaggio di cartone ha avuto il supporto delle considerazioni di Claudio Magris che l’ha accompagnato al Lido («Quello di Ermanno è un elogio del dubbio»). E non manca un riferimento ad Indro Montanelli, citato nelle note di regia di Olmi: «L’unica grande rivoluzione avvenuta nel nostro mondo occidentale è quella di Cristo il quale dette all’uomo la consapevolezza del Bene e del Male, e quindi il senso del peccato e del rimorso. In confronto a questa tutte le altre rivoluzioni – compresa quella francese e quella russa – fanno ridere».


06 settembre 2011