Rosa D’Aniello

In Campania il terzo settore scende in piazza

I ritardi nei pagamenti da parte delle istituzioni stanno strozzando associazioni e cooperative.

Per questo è nato il cartello “Il welfare non è un lusso”

 

Poco o quasi nulla si conosceva a proposito dell’antica questione dei crediti che il privato sociale vantava e ancora vanta nei confronti delle pubbliche amministrazioni della regione Campania, fino a quando l’esercito di operatori sociali campani, che tutti i giorni combatte su più fronti una vera e propria guerra per poter lavorare, ormai in ginocchio, ha aperto una energica controffensiva verso alcuni inaccettabili orientamenti politici in materia di welfare e relative disfunzioni dovute alle elefantiache macchine amministrative pubbliche campane.

 

24 mesi di ritardo

In questi anni, le difficoltà finanziarie ed economiche degli enti pubblici hanno determinato un ritardo considerevole nei pagamenti. Fino a 24 mesi di ritardo tra prestazione e pagamento. Di fronte alla protesta crescente, alla più volte paventata impossibilità di continuare ad offrire i servizi affidati (convenzioni e/o progetti), agli innumerevoli decreti ingiuntivi che paralizzavano anche la gestione ordinaria delle risorse economiche, gli enti pubblici (in particolare Comune di Napoli ed assessorato regionale alla Sanità) hanno fatto ricorso alla cartolarizzazione dei debiti, hanno cioè trasformato il debito pregresso liquido ed esigibile in un prestito a più lunga scadenza. Per poterlo fare, la Regione Campania si è avvalsa della Società Regionale Sanità (SoReSa) che, per sanare i debiti non onorati negli anni 2004/2005, ha contratto un mutuo pluriennale con un pool di banche ed ha transato i propri debiti con i fornitori, obbligandoli, dopo anni di ritardo, a rinunciare ad ogni controversia sui crediti stessi ed agli interessi previsti dalle norme europee a tutela dei fornitori di enti pubblici ritardatari. L’atto transattivo consiste in una cessione di crediti pro soluto, che è assoggettata ad una particolare tassazione a carico del cedente (cioè del fornitore che non ha ricevuto il pagamento). Si aggiungeva pertanto per l’azienda in attesa da anni di pagamento, un onere fiscale. Per ridurre tale costo, la SoReSa ha organizzato i cosiddetti “viaggi della speranza” in terre libere dai vincoli fiscali. In questo modo, ciascuno ha tratto vantaggio dal non pagamento delle tasse di cessione, ma tutti insieme, come cittadini, abbiamo perso risorse pubbliche che sarebbero tornate allo Stato italiano, alla Regione Campania, al Comune di Napoli per garantire più servizi e tempi migliori di pagamento.

 

“Il welfare non è un lusso”

Il 13 aprile 2007 si è tenuta a Napoli la prima manifestazione regionale delle organizzazioni del terzo settore contro i tagli alla spesa sociale che avrebbero messo ulteriormente in crisi l’intero sistema di welfare campano. La manifestazione fu promossa e organizzata da circa 150 organizzazioni sociali campane, riunite nella sigla “Il welfare non è un lusso”, e con l’adesione delle confederazioni regionali di Cgil, Cisl e Uil.  Le organizzazioni sociali chiedevano di aprire un tavolo di confronto con le istituzioni nazionali e locali per discutere di:

-         un’efficace programmazione ed il reale sviluppo di un sistema integrato di servizi e prestazioni socio-sanitarie;

-         tagli alla spesa sociale a fronte della assoluta necessità di prevedere maggiori investimenti per il sistema di welfare;

-         riscossione dei crediti legati all’ormai insostenibile ritardo nei pagamenti per le prestazioni socio-assistenziali svolte dal terzo settore, che superavano anche i 12 mesi;

-         condizioni economiche più adeguate a garantire la qualità nei servizi e nel lavoro, con relativa certezza dei tempi e dei pagamenti.

Nell’immediato, le organizzazioni sociali chiedevano il rientro del debito e l’adeguamento nella programmazione dei servizi e delle prestazioni socio-assistenziali con relative convenzioni, ferma ad oltre dieci anni fa. Se i servizi socio-sanitari non sono regolarmente pagati, non possono garantire la continuità e la qualità del lavoro né salvaguardare gli utenti, vittime principali delle gravi inadempienze della Regione Campania. Una delegazione fu ricevuta in prefettura dal prefetto di Napoli, dall’assessore alle Politiche sociali del Comune di Napoli e dagli assessori regionali alle Politiche sociali e alla Sanità. L’esito sembrò portare a un importante risultato: l’assessore alla Sanità Montemarano si impegnò, entro la fine di aprile, a trasferire alla Asl Napoli 1 i soldi necessari per estinguere una parte del debito accumulato nel corso del 2006. Il 18 maggio fu poi raggiunto un ulteriore accordo che prevedeva il pagamento immediato delle prime 4 mensilità  del 2007 e il saldo 2006, entro la fine di maggio 2007. Di questi impegni fu mantenuto solo quello relativo alla liquidazione delle prime 4 mensilità del 2007.

Il 10 luglio fu sottoscritta un’intesa in cui la Regione si impegnava a liquidare entro il 15 settembre successivo il credito vantato per tutto il 2006 e a convocare un tavolo di lavoro che, oltre all’adeguamento delle convenzioni, avrebbe dovuto definire una nuova modalità di co-gestione delle attività assistenziali e riabilitative. Il 13 luglio il comitato “Il welfare non è un lusso” organizzò una tavola rotonda per avviare un serio e approfondito confronto tra alcuni parlamentari della maggioranza, l’amministrazione della Città di Napoli e della Regione Campania sulle politiche sociali, affinché fossero inserite organicamente all’interno di politiche più complessive di sviluppo. Il duplice obiettivo della tavola rotonda era arrivare a un impegno comune per prevedere sia nella prossima Finanziaria che nei bilanci del Comune di Napoli e della Regione Campania un maggior investimento economico per le politiche sociali, ed un’equa distribuzione delle risorse tra Nord e Sud del Paese, stabilendo che i servizi sociali, come quelli sanitari, fossero ritenuti essenziali per tutti i cittadini. In quella occasione furono affrontati anche gli altri temi cari all’esercito del welfare, come la lotta alla povertà (e il sostegno a misure a favore dei più poveri, come il reddito di cittadinanza) e la politica fiscale a favore delle organizzazioni senza fini di lucro (a partire dalla questione dell’Irap per le onlus, che in Campania è la più alta d’Italia)[1].

Eppure, nonostante gli innumerevoli incontri, accordi, impegni, scadenze, il 5 ottobre scorso il Comitato ha dovuto inoltrare al presidente della Regione Antonio Bassolino una lettera che aveva quale oggetto il riepilogo della situazione pagamenti al terzo settore, perché nessuno degli impegni era stato mantenuto.

 

Due assessorati regionali implicati

È necessario, tuttavia, segnalare opportuni distinguo anche tra le stesse aree regionali. Com’è noto, il Terzo settore campano si trova ad interloquire prioritariamente con due assessorati regionali: quello alla Sanità e quello alle Politiche sociali. Mentre con il primo, la modalità di gestione sopra descritta ha spinto ad una paralisi sul piano dell’avanzamento culturale, gestionale e metodologico dei servizi, nel caso dell’assessorato alle Politiche sociali, specialmente negli ultimi anni, sono state raggiunte importanti conquiste[2]. A luglio 2007 sono state pubblicate le “Linee guida triennali 2007/2009” verso un Sistema di Welfare che si orienta ad un innovativo e ben più solido Piano Sociale Regionale.

Ma tali preziosi risultati restano isolati – per quanto innovativi, energici, trasparenti, competenti, appassionati e autorevoli – se non rientrano in una cornice politico-culturale complessiva e  condivisa, che purtroppo l’intero sistema Regione, ora, fa molta fatica ad adottare.

 

Organizzazioni, e operatori, in ginocchio

I bilanci delle organizzazioni del Terzo settore campano sanguinano, spesso i crediti superano gli stessi fatturati. E i servizi? Beh, quelli devono restare aperti se non si vuole mettere in strada gli utenti: bollette, fitti e fornitori devono essere comunque pagati. Le tasse vanno versate, inseguiti come siamo dall’incubo dei D.U.R.C.[3], senza la presentazione dei quali si bloccano anche quelle poche risorse rimaste. E gli operatori? Qualche stipendio di tanto in tanto (certo, non tutti i mesi!) bisogna pur darlo, se non altro per consentirgli di pagarsi l’abbonamento o il carburante per gli spostamenti, altrimenti chi tiene aperti i servizi? Spesso si tratta di operatori che pur avendo goduto dell’opportunità di un contratto di assunzione non hanno mai incassato una tredicesima in vita loro, o meglio incassata e subito girata in “liberalità” alla propria associazione, alla propria cooperativa per consentirle di continuare ad andare avanti. Eppure tra i nostri operatori sociali la percentuale di laureati si aggira intorno al 40% e il restante 60% è comunque personale qualificato e/o dotato di pluriennale esperienza; hanno superato in molti la soglia dei 40/50 anni e tanti hanno famiglia.

 

Si continuano a tagliare risorse

In ottobre il comitato ha ripreso con forza la protesta, programmando nuove iniziative per i giorni 24, 25 e 26 ottobre, che prevedevano anche il blocco totale delle attività. A dicembre il comitato ha avviato nuove azioni contro i tagli alla spesa sociale previsti nel bilancio della Regione Campania, in discussione in consiglio regionale. Le proteste degli ultimi mesi avevano sollecitato l’approvazione della legge sulla Dignità Sociale.

Il confronto per l’approvazione del bilancio regionale ha evidenziato tutte le difficoltà e le resistenze culturali delle istituzioni e della politica a dare corso all’applicazione coerente del nuovo welfare locale. Di fatto, il consiglio regionale aveva deciso di tagliare drasticamente le risorse attraverso una sorta di “gioco delle tre carte”. Una scelta inaccettabile in una regione i cui comuni hanno una spesa sociale pro-capite di circa 70 €, media molto al di sotto di quella nazionale, che raggiunge i 125 €[4]. È evidente che perché ci sia un reale cambiamento, alle proposte culturali devono corrispondere l’innovazione strutturale, con relative risorse, norme attuative e processi valutativi.

Il 20 dicembre scorso, in una delle tante riunioni del Comitato, è stato fatto un bilancio provvisorio delle vertenze in atto con il Comune di Napoli e con la Regione Campania. La considerazione unanime è stata di “insufficiente soddisfazione” per aver raggiunto alcuni risultati, non certo definitivi o senza inconvenienti, ma comunque inediti[5]. E la discussione del consiglio regionale? Sembra che le pressioni fatte abbiano consentito di blindare le risorse che dovrebbero accompagnare la “Legge sulla Dignità Sociale”. Ma è evidente che, in questo momento, qualunque discussione non può prescindere dai molteplici terremoti (prima ecologici e poi politici) che stanno scuotendo le istituzioni, ma che soprattutto stanno ulteriormente mortificando il nostro territorio, la nostra gente, la nostra dignità di persone prima e di cittadini sociali poi.

 

 


 

[1] Pare che un risultato in merito sia stato raggiunto: riduzione dell’IRAP del 2%.

[2] Basta citare la “Legge sulla dignità sociale”, la “triennalità della programmazione delle risorse finanziarie” e la messa a regime di un importante approccio metodologico, i “Progetti socio-formativi individualizzati”, questi ultimi attivabili attraverso i distretti sociali, che pongono realmente la persona, nella sua unicità, al centro dell’intervento.

[3] Documento Unico di Regolarità Contributiva.

[4] Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto per la Finanza e l’Economia locale.

[5] Risultati che al momento non sono esattamente descrivibili, perché qualcosa si sta pagando e qualcos’altro no, qualche misura si sta approvando e qualche altra no, qualche interlocuzione sta funzionando e qualche altra no.