Il Papa a Ground Zero
pellegrino del dolore e della riconciliazione
DA NEW YORK
ELENA MOLINARI
Q uel cratere «è già santo» per Carolee Azzarello, ma la benedizione del Papa lo
renderà tale agli occhi dei credenti di tutto il mondo. L’11 settembre 2001
Azzarello ha perso due fratelli, Timothy e John. Dopo aver frequentato le stesse
scuole, giocato nella stessa squadra di calcio e lavorato gomito nella stessa
società, la Cantor Fitzgerald, Tim e John sono morti insieme quando il volo
numero 11 dell’American Airlines si è schiantato contro la torre nord del World
Trade Center. Carolee, che frequenta la parrocchia cattolica di Green Brook nel
New Jersey, oggi sarà il più vicino possibile a Ground Zero insieme alle
cognate, sperando di riuscire a vedere il Papa e di sentirne la preghiera.
Non è stata scelta fra le ventotto persone che scenderanno con Benedetto XVI nel
«buco» – come viene ancora chiamato il cratere in cui le Torri Gemelle si sono
frantumate e fuse in un ammasso di metallo e cemento incandescente. Ma non per
questo ha deciso di rimanere a casa. «Questo è il luogo dove Tim e John sono
morti, e rimarrà sempre sacro per la nostra famiglia – spiega –. Non importa se
vi costruiranno un grattacielo o un centro commerciale». Il momento di preghiera
voluto dal Papa a Ground Zero sarà intimo.
Solo quattro soccorritori, tre uomini politici e un religioso, quattro
sopravvissuti e 16 familiari delle circa 2.700 persone che hanno perso la vita
alla caduta delle Torri lo incontreranno alla base del cratere. Quello che
troverà in realtà assomiglia ben poco al mucchio di macerie fumanti dalle quali
per mesi vennero estratti resti umani. Il Papa troverà un cantiere dove hanno
già preso forma sia una moderna stazione della metropolitana che le fondamenta
della Freedom Tower,
il grattacielo di 102 piani che sorgerà al posto del World Trade Center. Ma la
rampa sulla quale ogni giorno decine di camion trasportano cemento e travi
d’acciaio è la stessa sulla quale sei anni e mezzo fa i vigili del fuoco di New
York si toglievano il casco ogni volta che passava il corpo, o quello che ne
rimaneva, di una vittima. Su quello scivolo James Riches, insieme ai suoi tre
figli – tutti pompieri – portò solennemente in superficie il suo James Junior,
morto l’11 settembre (il giorno prima il suo 30° compleanno) mentre cercava di
portare soccorso agli impiegati rimasti intrappolati ai piani più alti delle
Torri. James fu uno dei 343 pompieri morti in quella terribile giornata. Suo
padre invece è uno delle centinaia che hanno perso la salute a causa dei fumi
pestilenziali respirati per mesi nel cratere. James Riches senior è stato
costretto ad andare in pensione dai gravi problemi respiratori che gli tolgono
il fiato da anni. Ma oggi ha voluto essere di nuovo qui, con i suoi figli.
Thomas, il più piccolo, che aveva solo 17 anni quando il fratello morì, avrà
l’onore di pregare con il Papa. Il padre invece lo aspetterà sotto la tenda
montata in cima alla rampa, nel luogo dove il 25 marzo 2002 finalmente poté
mettere suo figlio in una bara per seppellirlo.
Benedetto XVI scenderà nel cantiere a bordo della papamobile. Quindi si
inginocchierà, accenderà una candela e pregherà per le vittime, per la pace, ma
anche per chi come James soffre ancora per le conseguenze della sua opera di
soccorso. Accanto a lui ci saranno anche il sindaco di New York Michael
Bloomberg e il cardinale arcivescovo di New York Edward Egan, oltre al nuovo
governatore dello Stato newyorkese, il non vedente David Paterson e quello del
New Jersey Jon Corzine, sopravvissuto un anno fa a un grave incidente stradale.
Lo seguiranno rappresentanti della Port Authority, l’agenzia responsabile delle
infrastrutture che collegano New York al New Jersey.
Molti familiari delle vittime sperano che il Pontefice ricorderà anche le 1.100
persone che non sono mai state trovate e i cui genitori, figli, fratelli, mogli
e mariti non hanno altro che Ground Zero per pregare sulle loro spoglie.
Fra loro c’è Dympnia Jessich, la sorella gemella di padre Mychal Judge, il
cappellano del dipartimento dei Vigili del fuoco di New York che morì
schiacciato dal crollo dei 110 piani di una torre mentre dava l’estrema unzione
a un pompiere.
La 74enne Jessich pregherà con Benedetto XVI e considera la sua presenza a
Ground Zero un momento «sacro». Come quello quando – era l’11 settembre 2002 –
si inginocchiò per la prima volta nel cratere e pregò in silenzio, trovando
finalmente la pace che le era mancata per un anno intero.
C’è chi ha perso la vita, chi gli affetti più cari. E chi la salute, lavorando
per mesi tra i fumi velenosi di Ground Zero. Che per molti fra loro è e resta un
«sacrario»