OLTRE L’EMERGENZA
Integrazione a piccoli passi

AVVENIRE 8 luglio 2011

Numeri. Grandi. Ma ognuno racconta una storia disegnata con paura, fame, fuga. Ognuno è una donna o un uomo, un anziano o un bambino. Sono 14mila i profughi che oggi vengono assistiti in tutte le Regioni del nostro Paese (a parte l’Abruzzo, per le note conseguenze dell’ultimo terremoto), secondo una precisa distribuzione che è proporzionale al numero dei residenti. Per esempio – scendendo da nord a sud – in Lombardia sono alloggiate 1.997 persone, in Piemonte 1.200 e altrettanti in Veneto, nel Lazio altre 1.200 e in Umbria 250, in Campania i profughi arrivano a 1.500 e in Molise a 85.

L’85% degli sbarchi a Lampedusa. È la Protezione civile (in quanto "Commissario delegato per l’emergenza Nord Africa ") a gestire la cosiddetta "seconda fase" e quindi ad avere l’intera situazione sotto gli occhi. «Dal 1° gennaio al 15 giugno gli sbarchi nel nostro Paese sono stati 45mila – spiegano – dei quali, 38mila solamente a Lampedusa». Chi arriva dall’Egitto, dal Marocco e dalla Tunisia viene in genere automaticamente rimpatriato in base agli accordi bilaterali esistenti con i loro Paesi (non in guerra), mentre chi sbarca dalla Libia (Paese in guerra) altrettanto automaticamente viene in genere accolto.

Oltre 20mila assistiti. A proposito, oltre quei 14mila, bisogna tenere conto anche delle 5.500 persone ospitate nei centri per richiedenti asilo del Viminale e di altre 850 attualmente nella tendopoli di Manduria, che in qualche modo ha il compito di primo campo di "contenimento" e smistamento in caso di grandi sbarchi, tant’è che è previsto il suo svuotamento entro i prossimi sette, otto giorni (ma alla Protezione civile l’hanno detto solo dopo avere... incrocianto le dita). Insomma, ci sono oltre 20mila nordafricani che gli italiani stanno aiutando: alla faccia della scarsa accoglienza, delle polemiche politiche e non.

Merito anche alle Regioni. Ma come sta funzionando il meccanismo? È semplice a dirlo, assai meno a farlo: la conferenza Stato-Regioni aveva messo a punto un piano che prevede, per l’"Emergenza Nordafrica", accoglienza fino a 50mila persone. E che ogni Regione abbia un progetto attuatore: individua cioè la migliore sistemazione sul suo territorio per i profughi che le sono assegnati («Abbiamo preferito libertà di organizzarsi caso per caso, anziché un modello unico», sottolineano alla Protezione civile) e a chi affidarne la gestione. Dunque le sistemazioni sono diverse: vanno dai centri alle sedi di associazioni, da zone riqualificate o riadattate fino addirittura – in qualche caso e per i soggiorni assai brevi – agli alberghi. E in questi modi sono state aiutate tantissime persone, delle quali soprattutto l’arrivo e la quantità era (e resta) imprevedibile, com’è ovvio.
Dopo qualche difficoltà iniziale specie in Conferenza Stato-Regioni, la risposta di queste ultime è stata «mediamente assai soddisfacente» secondo la Protezione civile e il motore va che è un piacere.

Caritas: 3mila posti. Torniamo a quei "soggetti attuatori": sono associazioni e gruppi. Cioè la Croce Rossa, le associazioni di volontariato e di protezione civile, la Caritas italiana e le Caritas locali. E da subito proprio la rete Caritas si è attivata dopo la sollecitazione delle istituzioni, mettendo a disposizione oltre 3mila posti attivabili in tutta Italia. Così ad oggi sono state più di 2mila le persone transitate nei centri di accoglienza delle 100 Caritas diocesane attivatesi sinora. E se in una prima fase «si è trattato soprattutto di cittadini tunisini quasi sempre fermatisi per un breve periodo» – fa sapere Caritas italiana – adesso invece «l’accoglienza riguarda principalmente coloro che provengono dalla Libia» e che «sono spessissimo bisognosi di protezione internazionale».

In tutti i grandi centri. Ancora, il lavoro delle Caritas consiste nel «sostegno all’attivazione di forme di ascolto, orientamento, mediazione, e fornitura di beni materiali di prima necessità» all’interno dei Centri di accoglienza e identificazione) e dei grandi Centri di accoglienza a Manduria, Civitavecchia, S. Maria Capua Vetere, Palazzo San Gervasio, Chinisia, Ventimiglia, Cagliari. «Con il coinvolgimento diretto delle relative Caritas diocesane fino alla chiusura di quei Centri o alla loro conversione in Cie».
Pino Ciociola