AVVENIRE DEL 04-02-2011

DA AVERSA (CASERTA) VALERIA CHIANESE

E scono da casa a tarda sera o di notte – ma chissà che non accada anche sotto il sole – sapendo già dove andare, padre e figlia. Lui neanche di mezza età, lei neanche quindicenne o meno ancora o poco più. Hanno un appuntamento, probabilmente già concordato e forse più di uno, perché la ragazzina è la merce da offrire ad un mercato che chiede corpi da consumare e corpi sempre più giovani. Prostituzione minorile, è il termine giuridico con tutto quel che segue. Scambio disgustoso e ignobile, per chi ha il senso della dignità e la coscienza.

Nelle loro ronde di vigilanza serali e notturne i carabinieri di Aversa, nel Casertano ai confini con la provincia di Napoli, ma non solo, si trovano davanti situazioni sempre nuove ed agghiaccianti. Più abituati ai morti di camorra, restano sconcertati ed anche disgustati di fronte a bambine che dell’infanzia non hanno più nulla avendo perso già tutto e a genitori consapevoli delle loro azioni.

I padri, quando sono riconosciuti tali, mascherano l’oscena compravendita con la necessità ancora più immorale del bisogno di soldi, di dover dare un reddito alla famiglia magari numerosa, di dover fronteggiare ai debiti e alla sopravvivenza quotidiana. Il mercato ha fame di corpi e loro li hanno e li mettono in vendita e si sentono fortunati per questo. L’alternativa altrettanto poco dignitosa sarebbe un lavoro a nero, mal pagato e peggio tutelato.

Nella Campania senza più welfare né lavoro, ma sempre più nel bisogno e sollecitata come tutti da pressanti inviti al consumo, succede anche questo. «Che altro dobbiamo aspettarci?», domanda sconfortata Carmela Manco, presidente dell’associazione Figli in Famiglia a San Giovanni a Peduccio, che da anni lavora per togliere dalla strada e offrire percorsi alternativi a bambini, giovani, donne. «Chi mi fa pena - continua - sono i genitori che non si rendono conto di quello che fanno. Io credo che loro per primi non siano stati mai amati».

Di madri o di altri familiari, che sfuggendo ai servizi sociali troppo pochi e perciò disattenti, vendono i corpi e il futuro dei propri figli o nipoti, la cronaca registra storie e nomi. Ma quello che i carabinieri di Aversa scoprono quasi ogni notte è ancora una volta il segno che esistono generazioni senza speranza, come in un dopoguerra sterile dove si vive alla giornata, sopra le macerie non di case ma di anime.

Le bambine prostitute stanno accanto agli adolescenti che armati di pistola tentano le rapine e muoiono per un pugno di euro credendo siano soldi facili e invece costano la vita. Non c’è solo allora la camorra a tentare con il modello vincente bambini, giovani e famiglie e a mettere nelle mani di adolescenti la droga o la pistola.

«Dobbiamo coinvolgere le famiglie nell’emergenza educativa - dice don Antonio Carbone, direttore del Centro Don Bosco di Napoli. - La famiglia oggi è senza punti di riferimento, incapace di vedere ciò che è bene e ciò che è male, e si arrende alle richieste dei figli, che non sa guidare e di cui si rende complice di scelte diseducative e non di formazione. È come se i genitori alzassero la bandiera bianca della resa di fronte all’avversario pur di continuare a sopravvivere. E i vincitori - conclude - sono i peggiori modelli di vita, inseguiti in nome di un successo che non arriverà mai».

 


il sacerdote
«C’è un bisogno dietro l’orrore Lì dobbiamo intervenire, tutti»

DA AVERSA (CASERTA)

B rutte storie che nasco­no dal degrado e da u­na tensione morale che viene sempre meno, «una po­vertà morale prima che mate­riale – secondo don Carlo Vil­lano, responsabile dell’Ufficio per le Comunicazioni sociali della diocesi di Aversa –. Il fi­ne è il guadagno in qualunque modo e con qualunque mez­zo, basta che entrino soldi in casa. Adesso, con l’assistenza sociale che si riduce, come l’interesse del­le istituzioni verso i proble­mi delle perso­ne e delle fami­glie (soprattut­to se apparten­gono alle fasce più deboli del­la società, le prime a pagare per i tagli allo stato sociale) «temo che quello del gua­dagno facile – prosegue – anche attraverso ogni tipo di prostituzione o anche attraverso il colpo im­provvisato al supermercato o alla tabaccheria, possa essere una pratica messa in atto sem­pre più spesso dai più giovani e con cui dovremo confron­tarci ». Un padre, riflette poi il prelato, «lavorerebbe di giorno e di notte, non accompagne­rebbe la figlia a certi appunta­menti. Cambiano i punti di ri­ferimento, vengono meno i valori, ci sono i modelli televi­sivi da imitare e ci si abbassa sempre più nel degrado. È il caso che la società si interro­ghi: possiamo recuperare? Possiamo risalire?».

Don Carlo constata amareg­giato che purtroppo «siamo sorpresi, non meravigliati: ci stiamo abituando a tutto. Io credo che noi come organismi cattolici, diocesi, parrocchie, Caritas, dobbiamo chiederci quale sia il nostro essere 'sen­tinelle' nella realtà. Dobbia­mo recuperare la vigilanza sul­le famiglie, intervenire sulle famiglie». Questa è una prio­rità per la diocesi di Aversa: cercare di intervenire con la pastorale fami­liare, intercet­tare le doman­de delle fami­glie, dei più giovani. «Forse non siamo ab­bastanza pre­senti – conti­nua Viallno – perché la realtà è più comples­sa che mai e i problemi sono aumentati a dismisura. Al­lora dobbiamo incrementare le forze, crederci sempre di più. Forse – suppone ancora – non ci muoviamo bene perché non crediamo che si possa ar­rivare a tanto, ad azioni così spregevoli come la prostitu­zione di adolescenti con il consenso delle famiglie. Ab­biamo una comprensione li­mitata del fenomeno e forse davvero non crediamo che possa esistere. Ma sono forme di povertà cui dobbiamo abi­tuarci per così dire, sapere che ci sono, e perciò innanzitutto riconoscere il bisogno».
 

l’antropologo
«Non solo miseria. Il fenomeno dipende dagli esempi scorretti»

DA NAPOLI VALERIA CHIANESE

M arino Niola, antropo­logo e docente all’U­niversità di Studi Suor Orsola Benincasa, esor­disce a commento degli scon­certanti episodi di prostitu­zione minorile con una frase di Baudelaire: «'La prostitu­zione è l’arcano della merce', diceva il poeta francese. Oggi la dignità personale è sempre più oggettivata – prosegue – e il corpo è quindi una merce da vendere come in una so­cietà primitiva, quale l’Italia sta dimostran­do di essere, dove il merca­to si esprime nella sua for­ma più realisti­ca, più ele­mentare che è quella dell’of­ferta del cor­po ». La vendi­ta del corpo, dunque, è per l’esperto «un atteggiamento comprensibi­le, ma mai giustificabile an­che se la miseria è l’atte­nuante più frequentemente addotta». Vero è che i tagli al­lo stato sociale toccano le per­sone meno tutelate e più di­sposte a tutto «anche se non tutti sono disposti a tutto e c’è chi la mattina si guarda allo specchio e non ha disgusto di se stesso». Ma non è solo la miseria a spingere alla prosti­tuzione. «E in questo mo­mento storico – sottolinea Niola – la vendita del corpo ha esempi che vengono dal­l’alto. Quando si offre uno spettacolo di questo tipo, va­le a dire che per avere soldi e successo non c’è bisogno di sforzarsi, ma basta vendere il proprio corpo, è facile in cer­te situazioni più che altre che ci si adegui e le 'escort' di­ventino indicatori sociali».

Ma la prostituzione di adole­scenti, tra l’altro protetta e fa­vorita dai genitori «è una del­le cose più turpi, che niente può giustificare. Genitori co­sì dovrebbero essere privati della patria potestà. Le ado­lescenti sono persone che non possono scegliere, non hanno una reale capacità di scegliere né di capire le conseguenze di quello che fanno anche per il futuro. Certe famiglie sono solo un danno».

La famiglia, infatti, e tutte le belle parole che l’accompagnano. «Paro­le, appunto, di cui tutti si riempiono la bocca, slogan lanciati, ma in fondo resta la vecchia regola di 'vizi priva­ti, pubbliche virtù' e le per­sone che praticano certi vizi sono quelle che moraleggia­no su altro e si fanno difen­sori della morale. Ci si chiede allora come tutto questo pos­sa conciliarsi con un Paese che si dice cattolico. L’Italia è in realtà un Paese in smarri­mento morale e noi stessi do­vremmo chiederci, come se lo chiedono all’estero, su cosa stia succedendo agli italiani».