T. SCALA, La valigia di cartone.
Il Sud dall’Unità al Federalismo
Fiscale, Napoli, Satura Editrice, 2009.
Il titolo del libro di Tonino Scala La valigia di cartone è un titolo molto
ammaliante, ma è il sottotitolo Il Sud dall’Unità al Federalismo Fiscale, che
rivela l’argomento dell’intero volume; la lettura di questo è stato per me
veramente piacevole, una immersione nella storia del Mezzogiorno d’Italia
dall’Unità ad oggi, sintetizzata con tutti i suoi problemi che dalle origini si
sono trascinati fino a noi. Una summa a cui vanno aggiunti le proposte che la
politica, tanto nazionale che locale, ha messo in campo per la rinascita delle
nostre terre.
Le opinioni che l’autore esprime nel testo sono per la maggior parte
condivisibili, forse perché venendo dalla stessa area politica, quella della
sinistra, mi sembra che si possano ritenere utili per un dibattito onesto al di
là dell’appartenenza politica.
Voglio soffermarmi, perciò, su quello che non mi vede accondiscendente.
C’è ultimamente una sorta di revisionismo storico per quanto riguarda la
politica borbonica, ci sono numerosi, giornali, persone, siti web di
neoborbonici, che sembrano riproporre una visione antistorica di quelle che sono
le nostre vicende del Mezzogiorno, quasi a voler riproporre l’assioma “di quanto
stavamo bene quanto stavamo peggio”. Nel Sud tutti eravamo ricchi, vivevamo
bene, felici e spensierati durante l’ultima età borbonica, per intenderci quella
prima dell’unità d’Italia e nessuno lo sapeva. E’ pur vero che “l’Italia era
stata unificata da gruppi di persone piuttosto ristretti (Studenti e
professionisti avanti a tutti” (p. 20), ma che “pochissimi poi erano gli operai
e i contadini che avevano personalmente partecipato alle lotte unitarie” (ivi)
mi sembra poco verosimile, perché Garibaldi conquista la Sicilia, promettendo,
da dittatore, la distribuzione delle terre ai contadini, mi chiedo altrimenti
come avrebbe fatto a conquistare un’isola con solo mille uomini? E’ vero che c’è
stato poi l’eccidio di Bronte, ma questo è avvenuto proprio perché non si sono
mantenuti i patti. Forse per me che vengo dalla pubblicazione del Carteggio del
poeta napoletano Gabriele Rossetti, che è dovuto scappare in Inghilterra dopo i
moti del 1820-21 e rifarsi una vita lì, o dalla lettura delle Ricordanze di
Settembrini è difficile comprenderlo. La ricchezza aurea del Sud quei 445,2
milioni di lire che servirono a ripianare il bilancio del nuovo stato italiano,
era un tesoro, che i Borboni non avevano saputo far fruttare. Cavour in Piemonte
ave costruito il canale che ancora oggi porta il suo nome per favorire i
commerci, noi ci beiamo del fatto che abbiamo avuto la prima nave a vapore, la
prima ferrovia, ma questa era stata costruita per raggiungere la reggia di
Portici e quella di Caserta, non per favorire i commerci nel Mezzogiorno,
d’Italia. Le, tanto decantate, seterie di San Leucio era stata costituite con
degli Statuti speciali, poco più di un gioco per il sovrano, che immaginava la
creazione di una società di eguali ma sotto il suo diretto e vigile controllo.
Il Regno di Sardegna aveva ottenuto, fin dal 1848, da Carlo Alberto lo Statuto
albertinbo, era una monarchia costituzione, a Napoli i Borboni governavano
ancora in modo assolutistico, il re nel 1820 aveva giurato sui Vangeli di
difendere la Costituzione emanata ma ritornò da Lubiana con gli Austriaci. E’ in
atto, secondo me, un revisionismo storico, propagato dalla Lega, a cui noi ci
stiamo abbeverando e insensatamente lo riproponiamo di rimando, facendo il loro
gioco, con la contrapposizione Nord Sud, Settentrione e Meridione, una divisione
che se non apriamo gli occhi ci porterà a rivivere le tristi guerre tra guelfi e
ghibellini, a rivivere quella divisione che per tanti secoli ci ha fatto un
nazione divisa e non unita, con tutte le conseguenze che ne sono derivate. Chi
viene da una tradizione di sinistra dovrebbe stare attento, l’unione fa la forza
non la divisione, la classe operaia ha ottenuto questo stato sociale di cui
godiamo attraverso lotte e sacrifici anche di vite umane. Questo revisionismo è
quello stesso che sta prendendo piede anche con la negazione dell’olocausto non
solo da parte di alcuni leader arabi ma anche di esponenti della chiesa
cristiana come i lefebriani. Quello stesso revisionismo che tra poco negherà la
lotta di liberazione che c’è stata dopo la Seconda guerra mondiale in Italia,
tra poco verranno a raccontarci che sono stati i nazifascisti a liberarci e che
chi è stato trucidato da inerme è stato colpito dal fuoco amico.
I soldi c’erano nel Regno delle Due Sicilie ma il dramma e che non erano
investiti dallo stato perché il re era ancora il padre padrone della nazione. E
dopo la conquista il Sud si è ritrova senza strade, senza una rete ferroviaria
adeguata e senza scuole. “L’Unità ha fatalmente tolto al Sud le sue maggiori
risorse” (p. 53). E quanto ci ha penalizzato la mentalità assistenzialista del
“festa, farina e forca” di borbonica memoria? Non lo dico io che non sono
nessuno ma quanto l’inviato del governo nazionale si reca dal principe di
Salina, nel Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e gli chiede di entrare
a far parte del nuovo parlamento nazionale, ebbene questi rifiuta e gli risponde
che “I Siciliani- ma questo vale per tutti i meridionali in generale - non
vorranno mai migliorarsi per la semplice ragione che credono di essere perfetti:
la loro vanità è più forte della loro miseria; ogni intromissione di estranei
sia per origine sia anche per indipendenza di spirito, sconvolge il loro
vaneggiare di raggiunta compiutezza, rischia di turbare la loro compiaciuta
attesa del nulla; calpestati da una decina di popoli differenti essi si credono
di avere un passato imperiale che dà loro il diritto a funerali sontuosi. […]
Non credo che i suoi antenati […] governassero meglio dei Salina. I risultati
intanto sono diversi. La ragione della diversità deve trovarsi in quel senso di
superiorità che barbaglia in ogni occhio siciliano, che noi stessi chiamiamo
fierezza, che in realtà è cecità”.
Ed è questa cecità che non ci ha fatto capire come da noi stessi poterci
migliorare, abbiamo fatto lo stesso sbagli che hanno commesso un po’ tutti gli
italiani, quando speravano di ottenere la libertà da qualche nuovo popolo
invasore e il Manzoni in Marzo 1821 ce lo ricorda “Quante volte sull’Alpe
spiasti / l’apparire d’un amico stendardo!”. Lo spirito individualista di cui
siamo dotati non ha fatto crescere e sviluppare le cooperative, come mai in
altre regioni d’Italia funzionano e qui da noi no. Io penso che quanto la
smetteremo di sperare negli altri più che in noi stessi e mettere un po’ da
parte questa sorta di “prosopopea” che ci fa credere “omme e conseguenza”, e il
camorrista è “omme e conseguenza”, e ci rimboccheremo le maniche, allora avremmo
fatto un passo avanti.
L’Autore sottolinea benissimo nel libro come le difficoltà derivano anche dalle
estorsioni perpetrate dalla malavita organizzata, che taglieggia i piccoli
imprenditori e da qui la scarsa diffusione di delle piccole e medie imprese nel
Sud e Castel Volturno nel suo piccolo ha dato il suo contributo con l’assassinio
di Mimmo Noviello.
Le maniche noi ce le siamo rimboccata al Nord durante il bum economico degli
anni Cinquanta e Sessanta, del secolo passato,e abbiamo sfatato il luogo comune
che i Meridionali non hanno voglia di lavorare, ma il difficile è qui da noi, i
giovani che ancora emigrano, ed emigrano non solo braccia, ma anche le menti,
che qui hanno studiato e qui dovrebbero spendere le loro potenzialità, per far
ricchi i nostri territori.
Sono d’accordo con l’Autore quando dice che la rinascita di una nuova stagione
meridionalistica potrà corrispondere con l’interesse nazione, la vedo difficile
con la Lega che fa dirottare al Nord i fondi FAS o con la proposta di
imposizione delle gabbie salariali. Io penso che se ci lasciamo abbindolare
senza un minimo di ragionamento come lo stesso Autore propone nel suo libro,
dalle chiacchiere anche di una TV a senso unico monocorde, che ci tratto ormai
da consumatori più che da cittadini, che dice che tutto va bene, torneremo
indietro e non andremo avanti, se soprattutto la nostra classe politico non
parla chiaro e schietto all’elettorato, perciò ritengo molto utile il capitolo
sulla Sanità Campana e quello sugli investimenti fatti e da farsi, positivi e
negativi, così come i commissariamenti, che sono un fallimento totale per la
democrazia.
Leggere il libro è stato un rivisitare in breve uno spaccato della nostra storia
passata e recente e indicarlo, come testo da leggere e meditare ai lettori,
serve a capire chi siamo e dove vogliamo andare in questo paese bello e
sfortunato.
Castel Volturno 02.02.2010
Alfonso Caprio