Tentano di fuggire alla miseria
senza affidarsi alle organizzazioni dei trafficanti
Si nascondono sulle navi, nel bagagliaio di un'auto, in un
container
Clandestino? No, stowaway
Immigrati che fanno da sé
Ogni anno in tutto il mondo se ne
contano almeno duemila
Spesso ce la fanno ma molte volte non sono così fortunati
di GIOVANNI MARIA
BELLU
I container in cui tempo fa è morto un
immigrato
GENOVA - Danno l'assalto
all'Occidente a mani nude, soli, senza l'aiuto delle
organizzazioni dei trafficanti. Vengono accolti sempre con lo
stesso grido: "Stowaway on board!" , clandestino a bordo. Ogni
anno nel mondo accade circa duemila volte: lungo le rotte
dall'Africa all'Europa, dal Golfo di Guinea al Brasile,
dall'Asia alla costa orientale degli Stati Uniti. Nel solo porto
di Genova, secondo i dati della polizia del mare, dal gennaio
del 2007 ne sono arrivati dieci. Qualcuno è stato individuato
durante il viaggio, altri sono sbucati dopo l'approdo. Chi dal
bagagliaio di una macchina, chi da un container, chi dal vano
del timone.
Anche in Italia gli addetti ai lavori li indicano col termine
inglese: "stowaway", forse perché da noi la parola "clandestino"
ha assunto troppi ed equivoci significati e non individua più
l'uomo che, in solitudine, con la sola forza dell'intelligenza e
il solo sostegno della fortuna, tenta di modificare il proprio
destino.
La fortuna è fondamentale per lo stowaway. Mamadou Cisse, che
adesso vive in Italia, probabilmente è uno dei clandestini più
fortunati del mondo. Ne è consapevole. "Sono entrato nella nave
nascosto sotto un camion - racconta - L'autista, un senegalese,
mi ha scoperto. Gli ho messo in mano una moneta da 50 centesimi
che mi era stata regalata da un turista. L'ha presa ed è stato
zitto".
Difficile, invece, individuare il più sfortunato tra gli
stowaway. Verrebbe da dire Amor Knis, il venticinquenne tunisino
che morì soffocato nel bagagliaio dell'auto della sua fidanzata
italiana durante quel viaggio di trenta ore nel garage del
traghetto per Genova. O forse Kaled Araba Kail, il
quattordicenne afgano che all'inizio di febbraio era riuscito a
raggiungere il porto di Ancona, a scendere dalla nave legandosi
sotto un camion. Poi una parte dell'imbragatura ha ceduto, il
camion ha preso l'autostrada e Kaled è morto scorticato
sull'asfalto.
Ma lui almeno ha un sepolcro. Molti altri si sono dissolti in
mare. La verità è che dello stowaway più sfortunato non si
conosce il nome. Sono lontanissimi i tempi di Joseph Conrad,
quando il comandante poteva individuare nel clandestino il
proprio alter ego e diventarne amico. Ma sembrano anche passati
mille anni, mentre invece sono soltanto una decina, dai giorni
in cui un giovane stowaway senegalese divenne una personalità
del porto, entrò a far parte dell'equipaggio nave e, alla fine,
riuscì a regolarizzarsi e a stabilirsi in Italia.
Il fatto è che negli ultimi anni la qualità umana della
marineria internazionale è molto peggiorata. "Tra gli ufficiali
- dice il vicequestore della Polmare Marco Allegretti - si
possono trovare persone di prim'ordine ma anche personaggi che
ti domandi chi possa aver elevato a un ruolo di tanta
responsabilità". Quanto agli equipaggi, sempre più spesso sono
composti da bassa manovalanza reclutata nel Terzo mondo.
Inoltre, il clandestino a bordo crea molti più problemi di un
tempo. "Quasi tutte le navi del mondo - spiega Paolo Cavanna,
per anni consulente delle Nazioni Unite e dell'Unione europea,
oggi collaboratore della "Stella Maris", l'apostolato del mare -
ormai hanno equipaggi ridottissimi e spazi essenziali. Insomma,
è difficile trovare un luogo fisico dove sistemare il passeggero
indesiderato che, oltretutto, dal punto di vista economico, è
interamente a carico dell'armatore. A questo vanno aggiunti i
rischi penali: il confine tra l'omessa vigilanza e il
favoreggiamento è diventato molto sottile".
Dopo l'identificazione, la polizia riconsegna lo stowaway al
comandante che deve sorvegliarlo (ma non può usare strumenti
coercitivi: per il caso di Mamadou è infatti in corso un
procedimento penale) e deve comunque curarne il rimpatrio. Se la
nave non deve tornare al porto dove è avvenuto l'imbarco
illegale, l'armatore è costretto ad acquistare un biglietto
aereo. Secondo uno studio della "P&I", compagnia internazionale
di assicurazioni armatoriali, ogni clandestino costa dai
quindici ai diciottomila euro. La stessa P&I, infatti, offre una
"polizza contro il rischio stowaway". "Sono pratiche - spiega
l'avvocato Filippo Bruno, dello studio legale Mordiglia, uno dei
più importanti d'Italia in materia di diritto di navigazione -
che trattiamo con una certa regolarità".
L'uso di buttare i clandestini in mare non è una leggenda nera
della marineria. L'ultimo episodio è avvenuto pochi mesi fa nel
Canale di Sicilia. Anche se quel giovane somalo non era
tecnicamente uno stowaway: non era stato scoperto sulla nave ma
l'aveva raggiunta a nuoto dopo essersi tuffato dal gommone col
quale, assieme a sessanta connazionali, tentava di raggiungere
l'Italia. Il comandante l'ha ributtato in acqua e la cosa
sarebbe finita là se il gommone non fosse arrivato a Lampedusa
dove i compagni della vittima hanno raccontato tutto. Il
peschereccio è stato individuato e gli uomini dell'equipaggio
hanno confermato il racconto dei migranti. Così il comandante è
stato arrestato: omicidio volontario.
Un caso. Perché è molto raro che vicende di questa ferocia
abbiano testimoni che non siano, nello stesso tempo, complici.
Ma è il mare, a volte, a raccontarle col suo linguaggio di
distanze e correnti. "Quando vedi un cadavere che galleggia a
sessanta miglia dalla costa, lontano dalle rotte dei boat
people, sai che non può che essere caduto da una nave", dice
Salvatore Lupo, primo ufficiale sulle rotte tra l'Africa
settentrionale e l'Italia.
Benché oscurata dagli sbarchi di massa a Lampedusa, la tecnica
individuale di assalto alla Fortezza Europa preesiste all'inizio
dei grandi flussi migratori dall'Africa e dall'Asia. "Tra il
1976 e il 1978 - racconta Ferdinando Buovolo, oggi comandante
sulle navi della Tirrenia - ho lavorato sulle rotte mercantili
dalla Nigeria e dal Lagos. All'equipaggio venivano pagate sempre
un paio d'ore di straordinario per la 'ispezione
anti-clandestini'. Ma, nonostante i controlli, era frequente che
qualcuno riuscisse a entrare". Nel 2004 è stato introdotto l'Isps
Code, un protocollo antiterrorismo per la sicurezza delle navi.
I controlli sono diventati più severi e il numero di stowaway si
è ridotto. Ma, contemporaneamente, si sono affinate le tecniche
di imbarco clandestino.
Siamo in un Internet point. Hassan, trentenne egiziano, apre un
sito con gli orari delle navi della "compagnia Messina": "E'
quanto ho fatto in Libia. Così ho saputo i giorni nei quali la
nave italiana sarebbe stata a Tripoli". Quindi va su Google map.
Il porto di Tripoli è nitidissimo. Hassan, muovendo la freccia
del mouse, ricostruisce il suo percorso notturno dalla spiaggia
di un albergo fino al molo. "Ho aspettato le due di notte e sono
salito a bordo arrampicandomi su una cima. Ho raggiunto la zona
dei motori e mi sono infilato in una scatola metallica che
conteneva attrezzi di lavoro. Mi hanno trovato dopo cinque
giorni".
Appena il traghetto è giunto a Genova, Hassan è stato affidato
al comandante perché lo riportasse a Tripoli. "Poche ore prima
della partenza ho rotto un bicchiere e mi sono tagliato
l'interno della bocca. Ho cominciato a vomitare sangue. Mi hanno
sbarcato subito per ricoverarmi in ospedale. Sono fuggito da lì
qualche giorno dopo". L'ex stowaway Hassan è così diventato un
"clandestino" nel linguaggio corrente.
Mamadou Cisse, invece, non ha pianificato la
fuga. Ha lasciato il suo villaggio della Nuova Guinea con la
sola idea di arrivare in qualche modo in Europa. E' entrato in
Senegal, ha raggiunto Dakar e ha vagato per qualche settimana
nel porto osservando i movimenti delle navi più grandi. E'
salito sulla prima dove ha potuto. Non ricorda esattamente la
durata della navigazione. "Forse una settimana. E' stato un
viaggio durissimo. Assieme a un altro ragazzo siamo entrati via
mare all'interno del vano del timone. Siamo rimasti là per tutto
il tempo. Avevamo acqua e viveri". Dopo l'approdo, Mamadou e il
suo compagno d'avventura hanno atteso la notte e hanno raggiunto
una banchina. Li hanno visti e arrestati. Solo in quel momento
hanno saputo dove si trovavano: Santos, Brasile. In Europa il
pur fortunato Mamadou c'è arrivato al secondo tentativo.
(
21 aprile 2008)