DA AVVENIRE DEL 08-10-2009
DA G ELA
L AURA M ALANDRINO
D ue cadaveri, una quindicina di dispersi, 13 persone fermate sulla terraferma e
20 a bordo di un gommone in contrada Bulala, per un totale di circa 50 migranti,
tutti giovani uomini, tra cui numerosi minorenni. La conferma arriva da Cristian
Paradiso, gelese e presidente dell’organizzazione di protezione civile 'Falchi
d’Italia' che ha collaborato alle operazioni di primo soccorso. Ancora una volta
abiti laceri, occhi scavati, gambe e braccia segnate da graffi e lievi
escoriazioni. E poi la conta dei vivi, dei morti e dei dispersi. E il bilancio
di due giorni di sbarchi lungo le coste di Gela. Un evento, tuttavia, abbastanza
raro da queste parti. Erano circa le 11 del mattino di ieri quando stata
confermata la notizia del ritrovamento del primo corpo senza vita; le 14 quando
si è cominciato a parlare del secondo cadavere. «Entrambi li abbiamo trovati
attaccati a due bidoni di carburante vuoti evidentemente usati come salvagenti
di fortuna», racconta Salvatore Orami, maresciallo della Capitaneria di Porto di
Gela. «Anche il giovane tra i 16 e i 18 anni, recuperato quando ormai era quasi
in fin di vita, stato trovato attaccato a uno di questi bidoni». Nella mattinata
erano stati recuperati anche altri bidoni galleggianti, ma aggrappato non c’era
più nessuno. Ecco perché il timore che il numero dei morti possa crescere appare
fondato. Secondo il racconto dei 13 giovani fermati ieri, mentre camminavano nei
pressi dello stabilimento petrolchimico dell’Eni, i dispersi sarebbero una
quindicina.
È dell’altro ieri, invece, il fermo di 20 persone che avevano raggiunto contrada
Bulala, due chilometri a est di Gela, a bordo di un gommone lungo circa otto
metri. Tutti privi di documenti, i migranti avevano dichiarato di essere
egiziani e palestinesi.
Come confermato dal Viminale, la stessa notte dell’altro ieri, 18 di loro, tutti
egiziani, caricati su un volo charter partito da Catania e diretto a Il Cairo,
sono stati rimpatriati.
Ieri, fino a tarda sera, nel tentativo di trovare qualcuno ancora in vita, le
motovedette della Guardia Costiera hanno perlustrato con attenzione lo specchio
di mare antistante Gela. Le ricerche sono state coadiuvate da polizia e
carabinieri che hanno sorvegliato il territorio costiero.
Intanto emergono le prime ricostruzioni e anche le prime ipotesi. Secondo il
racconto di alcuni superstiti, i migranti sarebbero stati abbandonati in mare su
un gommone senza motore, a remi, da una cosiddetta «nave-madre». Sul battello in
tutto sarebbero stati imbarcati una cinquantina di migranti, di cui sette
sarebbero stati costretti dagli scafisti a gettarsi in mare agganciati ad alcuni
bidoni. Un racconto confermato ieri sera da quello che al momento è l’unico
superstite. Un giovane recuperato in mare, semiassiderato, e subito trasferito
all’ospedale 'Vittorio Emanuele' di Gela. «La teoria delle 'navimadre'? Una
favola che periodicamente ritorna», ribatte il maresciallo Orami. «Se ne parla
da oltre 20 anni ma non esiste neppure un riscontro concreto a questa ipotesi.
Soprattutto nel caso degli sbarchi di questi giorni appare più plausibile
l’ipotesi di uno scafista senza scrupoli che invece di terminare la corsa, per
paura di essere intercettato, ha costretto i migranti a gettarsi in mare e
completare la traversata a nuoto. Alcuni dotati di giubbotti salvagente, altri
aggrappati ai bidoni. Allora, come avviene sempre – ha proseguito il maresciallo
– qualcuno ha raggiunto la costa, qualcuno non ce l’ha fatta». Ma come mai
questi migranti hanno puntato su una meta insolita come Gela? «Probabilmente –
riprende il sottufficiale – avevano smarrito la rotta verso Lampedusa oppure
erano ripartiti dopo una sosta a Malta e invece di arrivare lungo le coste iblee
hanno deviato verso Gela, come ogni tanto accade».