UNA “MORTE” ANNUNCIATA.

Ediotiale di Kairos del 12 giugno 2011

Come abbiamo potuto apprendere dalle cronache recenti il tanto discusso CIE di Santa Maria C.V. è stato chiuso per ordinanza della Procura. Si tratta di un provvedimento necessitato dall’accertamento delle responsabilità negli scontri  avvenuti la settimana scorsa durante i quali sono andate in fiamme alcune tende degli immigrati causando terrore e feriti. Nell’editoriale dell’8 maggio, in cui criticavo l’inaspettata trasformazione del campo di accoglienza in CIE, concludevo con un impegno ed un auspicio: “Se, dunque, da queste pagine siamo stati fermi nell’invitare ad essere a fianco dello Stato nel momento della solidarietà, sfidando le paure e i pregiudizi, ora siamo altrettanto fermi nel dire che saremo vigilanti. Nessuno sconto può essere fatto al dovere di rispettare il dramma di tante persone costrette a vivere in una tendopoli in attesa di una dolorosa espulsione. Con altrettanta fermezza saremo impegnati a far si che  questa situazione cessi molto prima della data fissata dal decreto (31 dicembre).” Stando ai fatti il mio auspicio si è verificato senza neppure metterci particolare  impegno. D’altra parte si trattava di una facile profezia per due motivi: il forte impegno umanitario di tante organizzazioni presenti sul nostro territorio e l’oggettiva condizione di precarietà in cui erano alloggiati i “detenuti”. Precarietà e detenzione sono già di per se fattori esplosivi. Se poi la detenzione viene vissuta anche come un’ingiustizia, sproporzionata all’entità dell’infrazione commessa, non è difficile prevedere che possa presto trasformarsi in rivolta o autolesionismo. Il fatto più strano  è che una cosa così semplice non sia stata prevista dai responsabili del governo che oltretutto sono rimasti sordi anche agli appelli delle organizzazioni umanitarie che a più riprese avevano denunciato lo stato degrado della caserma Andolfato. Nel campo dell’immigrazione continua a manifestarsi quella strana mania di chiudere gli occhi dinanzi all’evidenza.  I numeri dimostrano, infatti,  che i Cie, oltre a essere peggiori delle carceri nel violare la dignità umana, sono inutili: il numero effettivo delle espulsioni è bassissimo in proporzione al numero delle persone effettivamente detenute. Nonostante ciò si continua a perseguire questa inutile e costosa strategia. Eppure, l’esperienza dello scorso aprile, quando con un semplice permesso di soggiorno provvisorio si è risolto il problema di 15.000 tunisini che erano stati dipinti come una Tzunami umano, sembrava aver segnato una svolta. In un recente convegno, infatti, lo stesso ministro Maroni aveva addirittura manifestato l’intenzione di voler rivedere l’obsoleto regime delle quote flussi, ritenuto troppo stretto e inadeguato. Quanto accaduto a Santa Maria, invece, ci ha fatto riscoprire il volto miope e irrazionale di un certo modo di sentire il fenomeno dell’immigrazione e di gestirne gli effetti. A tale proposito giova sempre ricordare che mentre bastano uno o due morti sul lavoro per indignare un’intera nazione, il sacrificio di centinaia di vite umane che muoiono quasi ogni giorno nel mediterraneo  non riesce a scuotere minimamente le nostre offuscate coscienze.