2 aprile 2009
FINALMENTE SI TORNA A PARLARE DI AFRICA E
DI …AFRICANI
Note sulla conferenza “Memorie d’Africa” di Alessandro Triulzi all’Università
Federico II di Napoli
Finalmente si torna a parlare di Africa
nei grandi consessi accademici. Memorie d’Africa è il titolo di una
interessantissima lectio Magistralis tenuta alla Federico II di Napoli dal prof.
Alessandro Triulzi, professore di storia dell’Africa subsahariana, nell’ambito
degli studi denominati: “Messaggerie Orientali”. Sembrava un argomento passato
di moda. Nella stessa categoria dell’immigrazione si fa difficoltà a far
rientrare i paesi provenienti dall’africa sub sahariana. Si pensa sempre ai
rumeni, alle badanti ucraine o polacche, al massimo ai tunisini, ma
difficilmente si ricorda che una gran parte dei nostri ospiti sono proprio
quelli “neri neri”, dal naso e bocca più pronunciati e dai denti di un bianco
smagliante. Certo, per noi che operiamo a Castel Volturno l’associazione
immigrazione-Africa è più facile e talvolta deviante. Ci sembra che non esista
altro immigrato che quello un po’ sonnacchione, ingenuo e capriccioso
dell’africano che cammina su e giù per la domitiana con un telefonino in mano e
gli occhi bassi in attesa che qualcuno lo chiami per offrirgli un lavoro o un
passaggio da una sponda all’altra del nulla che li aspetta ogni giorno.
Sicuramente Il pianeta immigrazione in Italia è molto più variegato e complesso
di quello che viviamo a Castel Volturno, ma non bisogna dimenticare che i paesi
della fame e della disperazione sono tutti concentrati nel continente nero.
Negli altri paesi del sottosviluppo, India e America Latina esistono germi di
vitalità e di speranza che lentamente si fanno strada fra paternalismi
dittatoriali e illusionismi ideologici. In Africa, invece, sembra tutto
paralizzato e fragile come le costruzioni di argilla e di fango che popolano le
loro foreste incontaminate. Un giovane africano non può immaginarsi un futuro
migliore che non sia la rassegnazione o la fuga. Eppure qualcosa si muove.
L’Africa è ancora per noi un continente sconosciuto popolato di fantasmi e di
miti che poco hanno a che vedere con la realtà. E’ già singolare che vi sia una
categoria di studiosi che si chiamano: “africanisti” quasi a sottolineare
l’aspetto settario di chi si dedica a tale materia. Riferendosi ad essi ha detto
bene Valerio Petrarca sul corriere della sera:”… loro malgrado sono destinati a
formare una sorta di setta che quanto più vuole informare l’Occidente tanto più
da esso si separa. Perché è più facile fare qualche nuovo adepto che aprire gli
occhi a tutto un mondo che non vuol vedere. Questa incommensurabilità degli
sguardi rimodella continuamente il«settarismo» degli africanisti, per i quali lo
spazio dedicato all’Africa in casa loro è sempre inversamente proporzionale
all’importanza che dovrebbe avere. Non si rassegnano al fatto che una storia
così complicata e decisiva possa essere taciuta, minimizzata o trasfigurata
attraverso gli stereotipi che hanno cittadinanza al di fuori del cerchio degli
specialisti.” L’Italia in particolare pur avendo avuto una esperienza coloniale
in Etiopia ed Eritrea non ha mai maturato una consapevolezza piena dell’Africa:
vi è andata più tardi delle altre nazioni colonialiste e vi è rimasta senza
memoria. Il prof. Triulzi ha sottolineato come questo oblio culturale precluda
una conoscenza piena delle persone e delle storie molte delle quali vivono tra
noi da quel tempo. Solo oggi si è aperto qualche spiraglio con lo sforzo
compiuto da qualche eitiopico di seconda generazione che ha provato ad elaborare
il suo vissuto pubblicando opere interessanti di letteratura detta italofona.
Sono i primi segni di una consapevolezza che cresce sempre più a confronto con i
problemi e le storie dei migranti che spostano la nostra attenzione dall’Africa
come concetto astratto agli africani. E’ quanto suggerisce Maria Cristina
Ercolessi, professore di sistemi politici e sociali dell’Africa contemporanea:
“Forse potrebbe essere utile provare a reindirizzare l’attenzione dall’Africa
agli africani e alle africane, ossia agli attori sociali e alle loro strategie.
Risulterebbe così più evidente quanto oggi la politica africana rifletta
innanzitutto cambiamenti sociali profondi: campagne sempre più svuotate e
un’urbanizzazione acceleratissima; una popolazione composta in stragrande
maggioranza da giovani, adolescenti e bambini; un’istruzione che non garantisce
più un lavoro; massicci flussi migratori verso l’esterno; un crescente peso
delle donne nelle piccole attività imprenditoriali informali. E rifletta anche,
talvolta nella violenza più estrema, nuovi protagonismi sociali che rispondono a
una crescente esclusione sociale, diseguaglianza, senso di emarginazione,
all’interno di strategie di rinegoziazione della posizione dei diversi gruppi
sociali nello Stato e nei suoi processi decisionali.” Insomma, finito il
colonialismo che ha regalato all’Africa i suoi finti confini e le sue malsane
strutture di potere, superata la paralisi della guerra fredda tra i blocchi,
solo ora finalmente l’Africa comincia ad essere se stessa e gli africani possono
esprimere la loro storia e il loro mondo interiore. E’ una storia immensa che
non riguarda solo loro ma il destino di tutti noi. Consideriamoci fortunati se
possiamo assistere a questo epocale mutamento attraverso l’esperienza drammatica
ed epica dei nostri ospiti africani. In questa ottica lungimirante l’incontro
con ognuno di essi non ci sembrerà un incidente indesiderato, ma l’occasione
unica e irripetibile per dare il nostro piccolo contributo alla storia del
mondo.