29-01-2009

LA PATATA BOLLENTE E' DIVENTATA PURE'

considerazioni sull'annunciato dissesto del Comune di Castel Volturno per colpa dei clandestini

 

“Immigrazione senza indifferenza, quattro milioni di ragioni da capire” è il titolo di un succulento articolo di Valerio Petrarca apparso su Repubblica il 26 gennaio. Ho usato un aggettivazione alimentare perché gli scritti di Valerio Petrarca sono come quelle inconfondibili pietanze delle nostre tavole mediterranee, semplici e ricche allo stesso tempo, in cui il gusto compete con la sostanza ed entrambe nutrono lo spirito e il corpo senza danneggiare il fegato. Introducendo il suo articolo Petrarca dice: “I quattro milioni di stranieri che vivono nel nostro paese rappresentano quasi l’intera varietà delle culture, delle lingue, delle società e delle religioni del mondo. Noi ne parliamo usando un solo nome: gli immigrati. L’indifferenza, cioè la negazione della differenza, prima di essere un fatto morale è il risultato di un difetto di attenzione". In poche parole Petrarca riassume il dramma della nostra coscienza collettiva, senza lanciare accuse o tracciare enfatici programmi politici. Egli chiede semplicemente di essere gustato e assimilato per ridare ossigeno alle nostre sensibilità ed energie più profonde eliminando le tossine che i fast food mediatici iniettano inconsapevolmente nel nostro organismo. Le notizie allarmanti di stupri, di sbarchi, di rivolte degli immigrati entrano in noi attraverso i media con la stessa facilità dei panini del Mc Donald il cui insignificante sapore bisogna condire con salse ideologiche multicolori . Infatti che un albanese svaligi una villa non ha nessun rilievo diverso da ogni altro reato quotidianamente consumato dagli italiani. Allo stesso modo le rivolte e i sit-in inscenati dagli immigrati in alcuni luoghi caldi non si differenziano molto da quelli che quotidianamente possiamo vedere nei siti di smaltimento dei rifiuti o nelle piazze di qualche città per contestare l’Alitalia, la Fiat o la chiusura di qualche ospedale o scuola. Il problema è nella salsa ideologica con la quale queste notizie “normali” vengono condite. Essa non solo ha il potere di insaporire una pietanza scialba, ma spesso serve a coprire il cattivo odore di cibi avariati. Con il sistema delle salsette si riesce a passare come scoop anche la banale constatazione che la presenza di un numero eccessivo di immigrati a Castel Volturno porti enormi spese per il Comune. E’ una storia che dura da oltre 20 anni . Se ne sono accorti solo adesso? Non esiste forse un bilancio di previsione? Bastava che l’ultimo ragioniere del Comune si fosse degnato di interpellarci glielo avremmo saputo spiegare con parole semplici. Forse non tutti sanno che la Diocesi di Capua spende più di 200mila euro l’anno per tenere il Centro Fernandes. Parliamo solo delle spese vive perché se si volesse conteggiare l’immenso apporto del volontariato si arriverebbe a cifre molto più alte. Spero che adesso tutti capiscano che sono soldi che risparmia il Comune Di Castel Volturno. E’ il contributo silenzioso della Chiesa di Capua che assiste ogni giorno quei minori, quegli sbandati, quei malati, quelle donne che non si rivolgono al Comune per ignoranza o per rifiuto, ma che qui vivono da anni. Ho fatto riferimento a queste categorie umane senza aggiungere la parola immigrati, proprio per evitare l’errore denunciato da Petrarca di “massificare” la realtà e semplificarla con proclami e denunce allarmanti. Così facendo si esorcizzano i veri problemi riducendoli a fenomeno estraneo alle nostre responsabilità. E’ un classico processo di rimozione di cui hanno fatto buon uso tutte le amministrazioni comunali di Castel Volturno. Esse sono sempre intervenute solo quando vi sono state costrette dalle leggi o dai media (vedi minori, ragazze madri, rivolte) . Ma tutti sanno che i problemi si risolvono solo con la prevenzione e con opportune politiche di sviluppo e di controllo. Non è possibile far finta di nulla per anni e poi svegliarsi all’improvviso lamentandosi e prendendosela con i più deboli. Se si analizzano le carte comunali è difficile trovare un straccio di progetto o di azione positiva rivolta all’integrazione degli immigrati ed allo studio dei fenomeni socio politici che determinano l’arrivo di tanti stranieri sul territorio. Eppure da anni esistono innumerevoli risorse economiche messe a disposizione dalla Regione e dalla Comunità europea per affrontare simili problematiche. Nessun amministratore si è mai appassionato a queste progettualità sperando sempre in fantomatici aiuti esterni che potessero venire a togliere la patata bollente dal fuoco. Così facendo la patata è diventata purè dentro il quale sguazzano gli affaristi di ogni genere mentre tanti uomini e donne seri e lavoratori vengono confusi e accomunati da una sola parola: i clandestini. Nel paese del sole si è voluta creare una nebbia artificiale che non ci consente di distinguere i buoni dai cattivi, gli sfruttati dagli sfruttatori: sono tutti clandestini. Eppure io conosco tanti regolari che delinquono e tanti clandestini che lavorano per un tozzo di pane. Smettiamola allora di parlare a vanvera e prendiamo seriamente in considerazione lo scenario apocalittico immaginato da Valerio Petrarca in cui tutti gli immigrati decidono di andarsene via all’improvviso: «Ci siamo accorti di non essere amati. Abbiamo preso atto che le leggi italiane difendono le piante e gli animali ma non i nostri fratelli senza permesso di soggiorno. Torniamo tutti a casa. Domani passeremo le frontiere scuotendo la polvere dai nostri calzari». Cosa succederebbe? Succederebbe che all’indomani ci faremmo trovare alle frontiere, ministro degli interni in testa, per scongiurarli di restare. Perché senza «gli immigrati» non riusciremmo più a badare ai nostri vecchi, alle nostre case, ai nostri campi, alle nostre fabbriche, agli interessi leciti e illeciti di un territorio che, crisi o non crisi, resta comunque un paradiso se messo a fronte degli inferni da cui la maggioranza agogna di emigrare. E nascerebbe, quasi all’improvviso, un risveglio di attenzione nei confronti degli «immigrati». Avremmo bisogno di conoscerli, di ascoltare le loro ragioni, quelle che li hanno spinti a viaggi rischiosissimi e a sopportare umiliazioni di ogni genere. E cominceremmo a distinguerli tenendo conto delle loro proprie appartenenze, a partire dalle reti che mettono in relazione la terra da cui sono emigrati con quella in cui sono immigrati (chi usa il termine «migrante» vorrebbe evocare almeno questa relazione).
Leggetevi L’articolo di Valerio Petrarca e buon appetito! (
da Repubblica Valerio Petrarca)