NON “SPERATE” SULLA CROCE ROSSA
 

editoriale di Kairos del 3 luglio 2011


Da molti anni si parla della privatizzazione della Croce Rossa Italiana che da Ente Pubblico, al pari di tutti gli altri paesi, dovrebbe diventare associazione umanitaria a carattere volontario, con personalità giuridica di diritto privato. Appena si è sparsa la notizia che tale privatizzazione sarebbe stata introdotta nella manovra finanziaria 2011-2013 si sono sollevate le accese proteste dell’USB (Unione Sindacale di Base della Croce Rossa) secondo la quale i tagli coinvolgerebbero 1600 dipendenti civili e circa 300 militari, tutti con contratto a tempo determinato, a fronte di 1.300 dipendenti effettivi messi in mobilità. Un'ecatombe sociale che rischia di mettere a dura prova anche i servizi di emergenza-urgenza assicurati in numerose città italiane dalla CRI. Decisamente non è un tempo favorevole per le privatizzazioni. Con il referendum sull’acqua sembra essersi conclusa una stagione di entusiasmi bipartisan. Le privatizzazioni erano invocate dall’una e dall’altra parte come la panacea per evitare gli sprechi e migliorare la qualità dei servizi. Al contrario oggi assistiamo ad una vera e propria inversione di tendenza a favore del pubblico. Un “dietro-front” che ha tutte le caratteristiche di un cambiamento culturale al punto che la USB non ha esitato a dichiarare: "Si è arrivati a ridurre un'Associazione e un Ente glorioso come la C.R.I., ad una vecchia prostituta il cui unico obiettivo è quello di far cassa infischiandosene se poi ci rimettono i poveri malati, disabili, lavoratori". Con tutto il rispetto che si deve anche alle prostitute mi sembra esagerato paragonare la privatizzazione ad un processo di prostituzione. Siamo veramente un paese strano. In un sol colpo ci dimentichiamo di quei grandi carrozzoni pubblici che erano macchine clientelari per tanti politici senza scrupoli e che hanno ingrassato a dismisura una burocrazia parassitaria. “Stavamo meglio quando stavamo peggio” sembra il motto di tutte le vittime della crisi. Meglio un pubblico indebitato che da lavoro a tutti che un privato efficiente che pensa solo ai suoi profitti. Non è un dilemma di poco conto, ma non possiamo ridurci ad oscillare tra i due estremi. Lo Stato Sociale, la sussidiarietà, le privatizzazioni sono concetti che la nostra democrazia ha elaborato faticosamente per sfuggire a questa antinomia nella ricerca delle soluzioni più giuste e concrete per la realizzazione del bene comune. Un atteggiamento estremistico ci riporta indietro nel tempo e favorisce i parassiti che si annidano proprio all’ombra di questi scontri ideologici. La Croce Rossa non può sfuggire a questa logica. La sua storia gloriosa non è messa in discussione dalla privatizzazione, ma dagli sprechi e dal clientelismo. Nessuno più di noi può avere a cuore un istituzione che è nata su ispirazione del grande medico capuano, Ferdinando Palasciano. Chi lo spingeva a soccorrere anche i feriti del campo nemico non era la bandiera statale, ma la sua formazione professionale e cristiana. Lo Stato, invece, per questa sua azione umanitaria gli comminò una condanna a morte, poi tramutata in carcere. Il “pubblico” talvolta è capace anche di questo. Così come è stato capace, ai nostri giorni, di chiudere, per oscure logiche spartitorie, un ospedale glorioso intitolato proprio al fondatore della Croce Rossa. Se questo è il pubblico io preferisco il privato.