Ciad, dal governo il «no» alla tregua
Sono oltre ventimila, secondo le Nazioni Unite, i profughi ciadiani in fuga dalle violenze che si sono diretti in Camerun
La Croce Rossa: mille i morti in Kenya



DAL NOSTRO INVIATO A NAIROBI
CLAUDIO MONICI
Molti erano vicini di casa, colleghi di la­voro nelle fabbriche, nelle farm agricole, negli hotel dei safari. Tanti anche i bam­bini, arsi vivi nelle casupole di lamiera e legno, nelle chiese di rito indipendente africano, co­sparse di benzina e date alle fiamme, e poi le donne abu­sate e uccise a colpi di arma da taglio. Ma diverse sono anche state le vit­time provocate dalla dura reazione in­ferta dalle forze dell’ordine, dai baschi rossi delle truppe paramilitari, che spa­rando ad altezza d’uomo hanno sedato proteste e saccheggi nelle cittadine del­la Rift Valley, uno dei luoghi più belli d’A­frica, e nelle baraccopoli di Nairobi, do­ve si registra il concentramento subu­mano più numeroso del Continente ne­ro. In tutto i morti sono già più di mille. Quelle vite, adesso sono solo un nume­ro, comunque ancora la porzione ini­ziale del costo umano imposto dalla san­guinosa crisi etnico-politica, ma anche di un fenomeno delinquenziale che ha potuto agire nel caos, che ha colpito il Kenya nord occidentale.
Una macchia, una tenebre che si è a­perta come una profonda ferita inferta all’immagine di un Paese che fino a un mese e mezzo fa era ritenuto uno tra i pochi Stati africani con ancora una af­fidabile stabilità. Adesso questo sogno è finito e si è schiantato contro gli in­cendi, il sangue, le frecce avvelenate ed i machete, che hanno provocato quel migliaio di morti e più di 300.000 rifu­giati interni dichiarati dalla Croce ros­sa del Kenya in una conferenza stampa ieri a Nairobi.
Nulla di nuovo, già si sapeva. Ma resta­no pur sempre cifre da considerarsi in di­fetto.
La vastità della crisi, che se da un lato ha risparmiato la costa in­diana musulmana, dall’altro si perde nella savana.
«Dall’inizio degli scontri, i morti sono già più di mille», ri­velava Abbas Gullet, della Cro­ce rossa. Un dato che ieri sera era già da aggiornare con al­meno un’altra dozzina di nuo­ve vittime.
Rivalità etniche che ancora continuano, anzi si stanno diffondendo come veleno an­che dentro altre comunità che fino ad ora erano rimaste a di­stanza di sicurezza. Le violenze sono e­splose con la disputa sul risultato elet­torale contestato del 27 dicembre che ha permesso la rielezione del presiden­te Mwai Kibaki. Ma le radici di questo malessere affondano in una campagna elettorale che ha fatto presa sul violen­to incitamento all’etnicità e ancora più indietro nel tempo quando il Kenya era una colonia britannica che privilegiava certi gruppi rispetto ad altri nella distri­buzione delle terre e del potere. Anche se molta della violenza di questi giorni è stata pianificata e organizzata, pagan­do gruppi di giovani disoccupati, gangs di criminali, ma anche con le indicazio­ni di colpire fornite dagli anziani capi villaggio a guerrieri e adolescenti.
«Bisogna fare il più velocemente possi­bile. Non c’è più tempo da perdere», è stato il grido d’allarme ieri riproposto dal mediatore per l’Unione africana Ko­fi Annan, alla ripresa dei colloqui tra i rappresentanti del presidente Kibaki e del suo rivale, che gli contesta di avere trafugato l’esito elettorale, Raila Odin­ga. Dialogo per il momento di buoni pro­positi, ma con un nulla di fatto.
Più preoccupanti erano state le parole del segretario generale della Nazioni U­nite, Ban Ki-moon che spronava al dia­logo: «Se la violenza non si fermerà, l’e­scalation sarà catastrofica».
Anche per questa ragione, una missio­ne dell’Alto commissariato dell’Onu per i diritti umani oggi arriva in Kenya per condurre indagini sulle violazioni dei di­ritti umani. Violenze che avvengono an­che nei campi dove si radunano gli sfol­lati. Abusi ai danni di bambine che ge­nitori disperati, senza più nulla per po­ter vivere, vendono a strani personaggi che offrono l’equivalente di 20 euro con la scusa di volerle sposarle, come de­nunciava la stampa del Kenya.
Sempre più grave il bilancio degli scontri: altre dodici vittime nei combattimenti I profughi sono 300mila. Kofi Annan: non c’è tempo da perdere