Avvenire 06/02/2008, Pagina A08
EMERGENZA AFRICANA
secondo la
Cri sono 45mila i civili fuggiti in Camerun
N’Djamena: Respinta la proposta dei
ribelli di un cessate il fuoco in cambio delle dimissioni di Déby Sarkozy: «La
Francia farà il proprio dovere» Dall’Unione europea 2 milioni di euro per gli
aiuti. Sta bene padre Guarguaglini, il sacerdote di cui non si avevano notizie
DI PAOLO M. ALFIERI
S arà pure una «ritirata strategica » quella dei ribelli ciadiani, piombati in
massa giovedì a N’Djamena e poi precipitosamente fuggiti dalla città. Eppure la
mano tesa ieri al presidente-nemico Idriss Déby, dopo le arringhe e le minacce
dei giorni scorsi, sa tanto di resa forzata, o quanto meno di una (tardiva)
presa di coscienza della superiorità di un esercito che in poche ore ha ripreso
il controllo della capitale. «Siamo a favore di un cessate il fuoco – ha
affermato il portavoce dei ribelli Henchi Ordjo – se i mediatori riusciranno a
trovare una soluzione che preveda l’uscita di scena del presidente Idriss Déby».
Ma quel governo che già aveva respinto analoghe richieste nel fine settimana,
quando infuriavano gli scontri a N’Djamena e l’offensiva ribelle sembrava
imponente, non ha alcuna intenzione di concedere alcunché ai miliziani ora che
la situazione sembra tornata sotto il suo controllo. «Perché un cessate il
fuoco? E con chi dovremmo firmarlo? Ormai li abbiamo messi in rotta», ha
sottolineato il premier Nourredine Delwa Kassire Coumakoye, assicurando che i
ribelli non sono più una minaccia per l’esecutivo. «Abbiamo la situazione sotto
controllo e teniamo i ribelli in pugno – ha scandito il premier – Sono stati
decimati. Stiamo inseguendo i superstiti a una cinquantina di chilometri dalla
capitale».
Nonostante la (almeno momentanea) disfatta, i ribelli sostengono di essere
ancora appostati ai margini della capitale, pronti a sferrare una nuova
offensiva, e hanno esortato i civili ad abbandonare la città. Non si hanno stime
precise sul numero dei morti negli scontri dei giorni scorsi, mentre, per quanto
riguarda i feriti, sarebbero più di un migliaio. Allarmante il numero dei
profughi: secondo l’inviato della Croce Rossa Georges Alain, contattato
dall’agenzia
Misna, gli sfollati sono già 4045mila. «La gente è stipata in alloggi di
fortuna, sotto le verande dei negozi, sotto gli alberi o lungo le strade
all’aria aperta», ha riferito Alain.
L’Onu ha intanto reso noto che durante l’offensiva dei ribelli ciadiani sono
stati saccheggiati e incendiati gli uffici delle Nazioni Unite a N’Dja- mena, e
che anche gli automezzi dell’organizzazione umanitaria sono stati distrutti o
rubati. Si tratta di un grave danno soprattutto per quel mezzo milione di
profughi (oltre la metà dei quali provenienti dal Darfur) ai quali proprio in
Ciad viene garantita assistenza e protezione. Stanti le precarie condizioni di
sicurezza, l’Onu ha trasferito in Camerun i 120 membri del suo staff. Da
Bruxelles è intanto giunto ieri uno stanziamento di due milioni di euro in aiuti
proprio per i rifugiati. Il commissario europeo allo Sviluppo e all’aiuto
umanitario, Louis Michel, si è detto «molto preoccupato» per la situazione in
corso. Fonti missionarie contattate dalla
Misna hanno intanto confermato che sta bene padre Francesco Guarguaglini,
il sacerdote di Piombino attivo a N’djamena con cui da sabato si erano persi i
contatti. Il sacerdote italiano ha incontrato ieri mattina un missionario
gesuita che si è recato nella parrocchia di don Guarguaglini nel vicariato di
Dembè, alla periferia di N’Djamena per verificare le sue condizioni di salute.
«Ha detto che, nonostante le bombe e i combattimenti di domenica, è riuscito
anche a celebrare Messa a cui ha partecipato la piccola comunità cristiana della
sua zona», ha raccontato il missionario comboniano padre Renzo Piazza.
La tensione in tutto il Ciad resta alta, nonostante appunto la (temporanea?)
ritirata dei ribelli. «Forte preoccupazione » per la situazione in Ciad è stata
espressa ieri dalla Casa Bianca, con la portavoce Dana Perino che ha ribadito
come la comunità internazionale abbia «molto da fare per favorire una soluzione
della crisi».
Da parte sua la Francia, ex madrepatria che sostiene Déby, continua a
respingere l’accusa dei ribelli di una sua partecipazione nel conflitto e
ribadisce che finora il proprio contingente si è occupato soltanto del rimpatrio
dei connazionali e di altri stranieri. «L’esercito francese non è in Ciad per
combattere contro qualcuno », ha detto il presidente Nicolas Sarkozy. Il quale
ha però sottolineato ieri che la Francia «farà il proprio dovere in Ciad». Un
avvertimento sul fatto che l’ex madrepatria, in caso la crisi precipitasse, non
esiterebbe a intervenire direttamente.