Fame, il mondo sull’orlo del baratro
Speculazioni e giochi di mercato
minacciano intere popolazioni
crisi alimentare
«Lancet» avverte: vicino lo spettro di 100 milioni di nuovi affamati Frumento
Usa a +130% mais argentino a +35% Banca mondiale: Fondi sovrani per azioni di
urgenza. E anche il Fmi studia nuovi prestiti
G iorno dopo
giorno, volano sempre più in alto i prezzi dei principali cereali di base con
rischio di speculazioni e di nuove soglie di povertà. E i peggiori timori sulla
«crisi alimentare» – dopo i ripetuti allarmi delle agenzie internazionali – sono
avvalorati adesso da fonti caute e autorevoli come la rivista britannica The
Lancet, che evoca lo spettro ormai non lontano di «almeno 100 milioni » di
nuovi affamati nel mondo. Ieri, sulla piazza di Chicago, i contratti bloccati di
compravendita a termine hanno superato il tetto dei 25 dollari per il mezzo
quintale di riso (100 libbre) consegnato il prossimo luglio. In meno di 4 mesi,
l’aumento è stato dell’80%: un record «storico» che secondo gli esperti è
destinato a cadere, col rischio imminente di un avvicinamento a quota 30
dollari.
Ma l’allarme è generalizzato ormai nelle organizzazioni internazionali: il
Fondo monetario internazionale sta studiando la possibilità di nuovi prestiti
a una decina di Paesi tra i più poveri, per lo più africani. Intanto la Fao ha
certificato un aumento del 130% in un anno del frumento esportato dagli Stati
Uniti, del 38% del mais. Più contenuto l’aumento in Argentina che ha segnato
rispetto al 2007 una crescita del 35% del mais mentre in Thailandia il riso
bianco in un anno è aumentato del 75%.
Al di là dei problemi strutturali dell’agricoltura in vari continenti,
sottolineati in recenti rap- porti delle agenzie Onu, la lievitazione dei
prezzi sarebbe amplificata in modo artificiale dai timori di rarefazione. Anche
l’italiana Coldiretti denuncia l’allarme speculazione mentre l’ondata di
approvvigionamenti anticipati si accelera. Nel caso del riso, da cui dipende la
sopravvivenza di metà dell’umanità, la speculazione giocherebbe ormai un ruolo
preponderante. I rincari di mais, frumento e soia subirebbero invece
maggiormente l’evoluzione sfavorevole della domanda e dell’offerta reali.
Grandi Paesi produttori come l’India e il Vietnam hanno già sospeso le
esportazioni di riso per non mettere a rischio i propri fabbisogni e per
stabilizzare i prezzi interni. Nelle ultime ore anche il Brasile ha scelto la
stessa strategia, nonostante le indicazioni in senso contrario di varie
organizzazioni internazionali. Intanto, il dibattito sulle soluzioni d’urgenza
alla crisi prende note sempre più cupe. L’ex presidente francese Jacques
Chirac ha lanciato un appello al Consiglio di sicurezza dell’Onu, invitandolo
a «prendere tutte le misure necessarie per evitare la destabilizzazione degli
Stati più minacciati». Da parte sua, il presidente della Banca mondiale Robert
Zoellick suggerisce di dirottare una parte delle risorse dei cosiddetti «fondi
d’investimento sovrani», detenuti dai principali esportatori di petrolio, verso
azioni d’urgenza in Africa. Soluzione resa realistica dalle rendite eccezionali
degli ultimi mesi legate all’aumento del prezzo del petrolio.
Da più parti, si chiede che il prossimo G8 di luglio venga in gran parte
dedicato alla crisi alimentare. Il Giappone, che accoglierà il vertice, sembra
d’accordo. Il premier Yasuo Fukuda ha appena assicurato che esiste una
«cooperazione serrata» fra Tokyo e Bruxelles sulla questione dei rincari. In un
comunicato congiunto sottoscritto anche dal presidente della Commissione Ue
José Manuel Barroso, si sottolinea «la necessità urgente di occuparsi di questo
problema, soprattutto in ragione dell’impatto sugli sforzi dei Paesi in via di
sviluppo per vincere la povertà e raggiungere gli obiettivi del Millennio». Gli
stessi che anche il Fondo monetario internazionale giudica ormai in serio
pericolo. Anche per questo il Fmi «sta studiando la possibilità di nuovi
prestiti a una decina di Paesi tra i più poveri, per lo più africani».
Intanto, da qualche giorno, anche i maggiori media internazionali puntano i
riflettori sulla crisi. Per il settimanale The Economist, che non esita
a far propria l’immagine dello «tsunami silenzioso», il problema è ormai
sistemico e «il mondo del cibo a buon mercato è finito». Il già ricordato
The Lancet, una delle riviste mediche più prestigiose, sostiene che molti
Paesi si trovano oggi sul bordo di una crisi umanitaria dall’impatto
potenzialmente spaventoso. Riprendendo i dati del Fondo internazionale per lo
sviluppo agricolo (Ifad), la rivista sottolinea che ogni punto percentuale in
più del costo del cibo finisce per corrispondere a circa 16 milioni di nuovi
affamati. L’esito previsto è speculare, ma in negativo, rispetto al sogno
dell’Onu di dimezzare il numero di malnutriti entro il 2015. Sotto gli occhi
della comunità internazionale, starebbe prendendo corpo un autentico incubo.