Filo spinato a Lampedusa. Ed i diritti di
difesa?
di Fulvio Vassallo Paleologo, Università di Palermo
1.La recente decisione del ministro Maroni di trasferire a Lampedusa la
commissione territoriale già insediata a Trapani e di trattenere nell’isola
pelagica tutti i migranti che vi arrivano o che sono soccorsi da mezzi militari
italiani nel Canale di Sicilia, crea le condizioni per gravi violazioni del
diritto interno, del diritto comunitario e del diritto internazionale. La
decisione di Maroni rischia di privare i migranti che ricevono un diniego o
coloro che potrebbero impugnare un provvedimento di allontanamento forzato, di
qualsiasi possibilità di difesa, tenendo conto del fatto che in quell’isola non
esiste nè un ufficio giudiziario, nè tantomeno una Questura o una Prefettura (
che si trovano nel capoluogo della provincia, nella città di Agrigento, distante
oltre otto ore di navigazione da Lampedusa e priva di un aeroporto). I ricorsi
contro i provvedimenti di diniego, di trattenimento, o di allontanamento
forzato, disposti a carico di immigrati trattenuti a Lampedusa dovrebbero essere
impugnati davanti al Tribunale ordinario o al Tribunale amministrativo di
Palermo, entro termini assai brevi e perentori. Se poi il Ministro Maroni
intende ( e riuscirà a) dare corso a quanto annunciato, che le persone giunte
irregolarmente a Lampedusa saranno immediatamente rimpatriate verso i paesi di
origine, e se verrà messo in esecuzione l’accordo con la Libia, probabilmente
anche verso i paesi di transito, il diritto di difesa dei migranti irregolari e
dei richiedenti asilo che riceveranno un diniego rischia di restare carta
straccia.
A tal riguardo la giurisprudenza della CEDU ha avuto modo di rilevare come in
materia di rimedi effettivi l’appello debba comportare un effetto sospensivo ,
nel senso che costituisce un dovere da parte dello Stato fissare la necessità di
una tale tutela. Se a ciò si aggiunge la decisione della Corte europea di
giustizia del 1986 nella quale si ricorda come, fra i principi generali della
Comunità europea, il diritto alla protezione giudiziaria effettiva sia ben
definita e come la legge comunitaria richieda un esame giudiziale effettivo
delle decisioni delle autorità nazionali prese in applicazione di disposizioni
di legge europea. Al contempo va previsto un accrescimento del diritto
all’effetto sospensivo in fase di appello e la stessa Corte europea dei diritti
umani appare sembra inglobare il principio del pieno effetto sospensivo in
quello della totale salvaguardia basata sui potenziali effetti di un errato
allontanamento ai sensi dell’art. 3 della Convenzione europea per i diritti
umani .
2. Secondola direttiva comunitaria 2005/85/CE «è un principio fondamentale del
diritto comunitario che le decisioni relative a una domanda di asilo e alla
revoca dello status di rifugiato siano soggette ad un rimedio effettivo dinanzi
a un giudice a norma dell’articolo 234 del trattato. L’effettività del rimedio,
anche per quanto concerne l’esame degli elementi pertinenti, dipende dal sistema
amministrativo e giudiziario di ciascuno Stato membro considerato nel suo
complesso. »
La direttiva appare molto precisa sui criteri applicabili alle decisioni delle
commissioni territoriali.
« Gli Stati membri provvedono affinché le decisioni sulle domande di asilo siano
comunicate per iscritto.
Gli Stati membri dispongono inoltre che la decisione con cui viene respinta una
domanda sia corredata di motivazioni de jure e de facto e che il richiedente sia
informato per iscritto dei mezzi per impugnare tale decisione negativa. »
Garanzie specifiche sono previste per i richiedenti asilo o protezione
umanitaria. Gli Stati membri « provvedono affinché tutti i richiedenti asilo
godano delle seguenti garanzie:
a) il richiedente asilo è informato, in una lingua che è ragionevole supporre
possa capire, della procedura da seguire e dei suoi diritti e obblighi durante
il procedimento, nonché delle eventuali conseguenze di un mancato adempimento
degli obblighi e della mancata cooperazione con le autorità. È informato in
merito ai tempi e ai mezzi a sua disposizione per adempiere all’obbligo di
addurre gli elementi di cui all’articolo 4 della direttiva 2004/83/CE. Tali
informazioni sono fornite in tempo utile affinché il richiedente asilo possa far
valere i diritti sanciti dalla presente direttiva e conformarsi agli obblighi
descritti nell’articolo 11;
b) il richiedente asilo riceve, laddove necessario, l’assistenza di un
interprete per spiegare la propria situazione nei colloqui con le autorità
competenti. Gli Stati membri reputano necessario fornire tale assistenza almeno
quando l’autorità accertante convoca il richiedente a un colloquio personale di
cui agli articoli 12 e 13 e una comunicazione adeguata risulta impossibile in
sua mancanza. In questo e negli altri casi in cui le autorità competenti
convocano il richiedente asilo, tale assistenza è retribuita con fondi pubblici;
c) non è negata al richiedente asilo la possibilità di comunicare con l’UNHCR o
con altre organizzazioni che operino per conto dell’UNHCR nel territorio dello
Stato membro conformemente a un accordo con detto Stato membro;
d) la decisione dell’autorità accertante relativa alla domanda di asilo è
comunicata al richiedente asilo con anticipo ragionevole. Se il richiedente è
legalmente rappresentato da un avvocato o altro consulente legale, gli Stati
membri possono scegliere di comunicare la decisione al suo avvocato o consulente
anziché al richiedente asilo;
e) il richiedente asilo è informato dell’esito della decisione del- l’autorità
accertante in una lingua che è ragionevole supporre possa capire, quando non è
assistito o rappresentato da un avvocato o altro consulente legale e quando non
è disponibile il gratuito patrocinio. Il richiedente è contestualmente informato
dei mezzi per impugnare una decisione negativa a norma dell’articolo 9,
paragrafo 2 ».
3. Secondo l’articolo 18 della Direttiva 2005/85/CE « gli Stati membri non
trattengono in arresto una persona per il solo motivo che si tratta di un
richiedente asilo. Qualora un richiedente asilo sia trattenuto in arresto, gli
Stati membri provvedono affinché sia possibile un rapido sindacato
giurisdizionale. La direttiva prevede poi il « diritto ad un mezzo di
impugnazione efficace in caso di diniego della domanda di asilo o protezione
umanitaria, e nei casi in cui questa sia dichiarata « irricevibile », anche al
fine di stabilire misure cautelari.
Il Decreto legislativo 25/2008, come modificato dal d.lgs.159 del 2008,
stabilisce che « la decisione su ogni singola domanda deve essere assunta in
modo individuale, obiettivo ed imparziale e sulla base di un congruo esame della
domanda effettuato ai sensi del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251.
Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate
circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti
asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla
Commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall’ACNUR, dal Ministero
degli affari esteri, o comunque acquisite dalla Commissione stessa. La
Commissione nazionale assicura che tali informazioni, costantemente aggiornate,
siano messe a disposizione delle Commissioni territoriali, secondo le modalità
indicate dal regolamento da emanare ai sensi dell’articolo 38 e siano altresì
fornite agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di
decisioni negative » .
E ancora in base allo stesso decreto vengono fissate precise garanzie in favore
dei richiedenti asilo, in particolare, secondo l’art. 10, « all’atto della
presentazione della domanda l’ufficio di polizia competente a riceverla informa
il richiedente della procedura da seguire, dei suoi diritti e doveri durante il
procedimento e dei tempi e mezzi a sua disposizione per corredare la domanda
degli elementi utili all’esame; a tale fine consegna al richiedente l’opuscolo
informativo di cui al comma 2.
La Commissione nazionale redige, secondo le modalità definite nel regolamento da
adottare ai sensi dell’articolo 38 un opuscolo informativo che illustra:
a) le fasi della procedura per il riconoscimento della protezione
internazionale;
b) i principali diritti e doveri del richiedente durante la sua permanenza in
Italia;
c) le prestazioni sanitarie e di accoglienza e le modalità per riceverle;
d) l’indirizzo ed il recapito telefonico dell’ACNUR e delle principali
organizzazioni di tutela dei richiedenti protezione internazionale.
Al richiedente è garantita, in ogni fase della procedura, la possibilità di
contattare l’ACNUR o altra organizzazione di sua fiducia competente in materia
di asilo.
Il richiedente è tempestivamente informato della decisione.
Tutte le comunicazioni concernenti il procedimento per il riconoscimento della
protezione internazionale sono rese al richiedente nella prima lingua da lui
indicata, o, se ciò non è possibile, in lingua inglese, francese, spagnola o
araba, secondo la preferenza indicata dall’interessato. In tutte le fasi del
procedimento connesse alla presentazione ed all’esame della domanda, al
richiedente è garantita, se necessario, l’assistenza di un interprete della sua
lingua o di altra lingua a lui comprensibile.
In caso di impugnazione della decisione in sede giurisdizionale, allo straniero,
durante lo svolgimento del relativo giudizio, sono assicurate le stesse garanzie
di cui al presente articolo ».
Il Decreto 25 del 2008 prevede poi l’assistenza legale e precisamente, secondo
l’art. 16 « Il cittadino straniero può farsi assistere, a proprie spese, da un
avvocato e nel caso di impugnazione delle decisioni in sede giurisdizionale,
...... ed è ammesso al gratuito patrocinio ove ricorrano le condizioni previste
dal decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115. In ogni caso
per l’attestazione dei redditi prodotti all’estero si applica l’articolo 94 del
medesimo decreto.
Il diritto di difesa previsto dall’art. 17 del decreto legislativo 25/2008 non è
un dunque un mero riconoscimento formale ma è un diritto che il legislatore
comunitario e quello nazionale vogliono dotato del carattere della effettività.
« Al cittadino straniero o al suo legale rappresentante, nonché all’avvocato che
eventualmente lo assiste, è garantito l’accesso a tutte le informazioni relative
alla procedura che potrebbero formare oggetto di giudizio in sede di ricorso
avverso la decisione della Commissione territoriale o della Commissione
nazionale, con le modalità di cui all’articolo 18. Secondo l’art. 18 “ai
procedimenti per l’esame delle domande di protezione internazionale si applicano
le disposizioni in materia di procedimento amministrativo e di accesso agli atti
amministrativi, di cui ai capi I, ad esclusione dell’articolo 2, comma 2, II,
IV-bis e V, nonchè agli articoli 7, 8 e 10 del capo III della legge 7 agosto
1990, n. 241. Il decreto legislativo 159 modifica il precedente d.legs.25 del
2009 ed all all’articolo 32, comma 1, dopo la lettera b) inserisce la seguente:
«b-bis)( la Commissione territoriale) rigetta la domanda per manifesta
infondatezza quando risulta la palese insussistenza dei presupposti previsti dal
decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, ovvero quando risulta che la
domanda e’ stata presentata al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione
di un provvedimento di espulsione o respingimento. Si introduce così un criterio
assolutamente discrezionale per valutare la fondatezza della istanza di asilo e
tale circostanza rende ancora più importante la possibilità di fare valere
effettivamente gli strumenti di difesa e assistenza legale accordati ai
richiedenti asilo.
4. In base all’art. 35 del decreto legislativo 25 del 2008, non modificato in
questa parte, avverso la decisione della Commissione territoriale è ammesso
ricorso dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di corte
d’appello in cui ha sede la Commissione territoriale che ha pronunciato il
provvedimento. Il ricorso è ammesso anche nel caso in cui l’interessato abbia
richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e la Commissione
territoriale lo abbia ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria. Il
ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei trenta giorni successivi alla
comunicazione del provvedimento; allo stesso è allegata copia del provvedimento
impugnato. Nei casi di accoglienza o trattenimento disposti ai sensi degli
articoli 20 e 21, il ricorso è proposto, a pena di inammissibilità, nei quindici
giorni successivi alla comunicazione del provvedimento dinanzi al tribunale che
ha sede nel capoluogo di distretto di corte d’appello in cui ha sede il centro”
E ancora, “ avverso la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o
sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la
protezione sussidiaria, è ammesso ricorso dinanzi al tribunale competente in
relazione alla Commissione territoriale che ha emesso il provvedimento che ha
riconosciuto lo status di cui è stata dichiarata la revoca o la cessazione.
Tutte le comunicazioni e notificazioni si eseguono presso l’avvocato del
ricorrente mediante avviso di deposto in cancelleria. Il procedimento si svolge
dinanzi al tribunale in composizione monocratica con le modalità dei
procedimenti in camera di consiglio. Entro cinque giorni dal deposito del
ricorso, il tribunale, con decreto apposto in calce allo stesso, fissa l’udienza
in camera di consiglio. Il ricorso e il decreto di fissazione dell’udienza sono
notificati all’interessato e comunicati al pubblico ministero e alla Commissione
nazionale ovvero alla competente Commissione territoriale. La proposizione del
ricorso avverso il provvedimento che rigetta la domanda di riconoscimento dello
status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria ai
sensi dei commi 1 e 2 sospende l’efficacia del provvedimento impugnato.
La proposizione del ricorso avverso il provvedimento che dichiara inammissibile
la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato o di persona cui è
accordata la protezione sussidiaria ovvero avverso la decisione adottata dalla
Commissione territoriale ai sensi dell’articolo 22, comma 2, e dell’articolo 32,
comma 1, lettera b-bis) non sospende l’efficacia del provvedimento impugnato. Il
ricorrente può tuttavia chiedere al tribunale, contestualmente al deposito del
ricorso, la sospensione del provvedimento quando ricorrano gravi e fondati
motivi. In tale caso il tribunale, nei cinque giorni successivi al deposito,
decide con ordinanza non impugnabile, anche apposta in calce al decreto di
fissazione dell’udienza. Nel caso di sospensione del provvedimento impugnato al
richiedente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo ed è
disposta l’accoglienza nei centri di cui all’articolo 20.
5. La procedura di cui al comma 7 si applica, in ogni caso, al ricorso
presentato dal richiedente di cui agli articoli 20, comma 2, lettere b) e c), e
21. Il richiedente ospitato nei centri di accoglienza ai sensi dell’articolo 20,
comma 2, lettere b) e c), o trattenuto ai sensi dell’articolo 21 permane nel
centro in cui si trova fino alla adozione dell’ordinanza di cui al comma 7.*
All’udienza può intervenire un rappresentante designato dalla Commissione
nazionale o territoriale che ha adottato l’atto impugnato. La Commissione
interessata può in ogni caso depositare alla prima udienza utile tutti gli atti
e la documentazione che ritiene necessari ai fini dell’istruttoria.
Il tribunale, sentite le parti e assunti tutti i mezzi di prova necessari,
decide con sentenza entro tre mesi dalla presentazione del ricorso, con cui
rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di
persona cui è accordata la protezione sussidiaria; la sentenza viene notificata
al ricorrente e comunicata al pubblico ministero e alla Commissione interessata.
Avverso la sentenza pronunciata ai sensi del comma 10 il ricorrente ed il
pubblico ministero possono proporre reclamo alla corte d’appello, con ricorso da
depositarsi nella cancelleria della corte d’appello, a pena di decadenza, entro
dieci giorni dalla notificazione o comunicazione della sentenza.
Il reclamo non sospende gli effetti della sentenza impugnata; tuttavia la corte
d’appello, su istanza del ricorrente, può disporre con ordinanza non impugnabile
che l’esecuzione sia sospesa quando ricorrano gravi e fondati motivi.
Nel procedimento dinanzi alla corte d’appello, che si svolge in camera di
consiglio, si applicano i commi 5, 9 e 10.
Avverso la sentenza pronunciata dalla corte d’appello può essere proposto
ricorso per cassazione. Il ricorso deve essere proposto, a pena di decadenza,
entro trenta giorni dalla notificazione della sentenza. Esso viene notificato ai
soggetti di cui al comma 5, assieme al decreto di fissazione dell’udienza in
camera di consiglio, a cura della cancelleria. La Corte di cassazione si
pronuncia in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375 c.p.c.* (*Le parti
in corsivo sono quelle corrispondenti alle modifiche apportate dal DL n. 159 del
3 ottobre 2008).
Per i richiedenti asilo denegati sono inoltre previste appositi casi di
accoglienza in apposite strutture non detentive. Secondo l’art. 36 del decreto
legislativo 25 del 2008.« Al richiedente asilo che ha proposto il ricorso ai
sensi dell’articolo 35, si applica l’articolo 11 del decreto legislativo 30
maggio 2005, n. 140. Il richiedente di cui al comma 1 ospitato nei centri di cui
all’articolo 20 rimane in accoglienza nelle medesime strutture con le modalità
stabilite dal decreto legislativo 30 maggio 2005, n. 140. Il richiedente
trattenuto nei centri di cui all’articolo 21 che ha ottenuto la sospensione del
provvedimento impugnato, ai sensi dell’articolo 35, comma 8, ha accoglienza nei
centri di cui all’articolo 20 con le modalità stabilite dal decreto legislativo
30 maggio 2005, n. 140.
6. Una recente “risoluzione del Parlamento Europeo” del 15 gennaio 2009, dopo
avere chiesto agli stati membri di adottare strumenti legislativi che consentano
l’ingresso legale dei migranti, “deplora” une panoplie croissante de mesures de
contrôle aux frontières, qui pèchent par le manque de mécanismes nécessaires à
l’identification des demandeurs d’asile potentiels aux frontières de l’Europe,
ce qui conduit à une violation du principe de non refoulement, tel qu’inscrit
dans la Convention de 1951 relative au statut des réfugiés”. La stessa
Risoluzione del Parlamento Europeo “ demande au Conseil de clarifier les rôles
respectifs de l’Agence européenne pour la gestion de la coopération
opérationnelle aux frontières extérieures des États membres de l’Union
européenne (FRONTEX) et des États membres, afin de garantir que les contrôles
aux frontières sont respectueux des droits de l’homme; considère qu’il est
urgent d’amender le mandat de FRONTEX, afin d’y inclure le sauvetage en mer;
demande que le Parlement européen puisse exercer un contrôle démocratique dans
la conclusion d’accords par FRONTEX avec des pays tiers”, e “s’inquiète de ce
que la tendance à éloigner de plus en plus les contrôles frontaliers des
frontières géographiques de l’Union rende très difficile le contrôle de ce qui
se passe quand les personnes aspirant au statut de refugié et les personnes qui
ont besoin d’une protection internationale entrent en contact avec les autorités
d’un pays tiers; La Risoluzione “ rappelle que les migrants qui ne déposent pas
de demande d’asile doivent aussi être accueillis dans des structures propres et
adaptées, où ils puissent prendre connaissance - avec l’aide d’interprètes et de
médiateurs culturels formés à cet effet - de leurs droits et des possibilités
offertes par le droit du pays d’accueil, le droit communautaire et les
conventions internationales” precisando che “demande d’accorder une attention
particulière aux mineurs non accompagnés et à ceux séparés de leurs parents
arrivant sur le territoire de l’Union par voie d’immigration irrégulière et
souligne l’obligation des États membres de leur fournir assistance et une
protection spéciale; demande à toutes les autorités - locales, régionales,
nationales - et aux institutions européennes, de coopérer de manière assidue
pour protéger ces enfants de toutes les formes de violence et d’exploitation, d’assurer
la désignation sans délai d’un tuteur, de leur fournir une assistance juridique,
de rechercher leur famille et d’améliorer leurs conditions d’accueil, par le
biais d’un logement approprié, d’un accès facilité aux services de santé, d’éducation
et de formation, particulièrement s’agissant de l’enseignement de la langue
officielle du pays d’accueil, de la formation professionnelle et d’une complète
intégration dans le système scolaire; Il Parlamento Europeo vieta
categoricamente la detenzione amministrativa di minori, e “ rappelle que la
détention administrative d’enfants ne devrait pas exister et que les enfants
accompagnés de leur famille ne devraient être détenus que dans des circonstances
vraiment exceptionnelles, pour la durée la plus limitée possible et seulement si
une telle détention est dans leur intérêt, conformément aux articles 3 et 37,
point b), de la Convention des Nations unies relative aux droits de l’enfant”.
7. In questo stesso senso, il 9 luglio 2007 una circolare firmata dal Ministro
dell’Interno Amato, ed inviata ai questori, e dunque ben conosciuta anche da
parte degli uffici di polizia di frontiera, introduceva nuovi criteri per
stabilire le generalità in caso di d’età incerta, per evitare il rischio di
adottare erroneamente provvedimenti gravemente lesivi dei diritti dei minori,
quali l’espulsione, il respingimento o il trattenimento in un Centro di
permanenza temporanea ( oggi rinominati CIE, Centri di identificazione ed
espulsione). Oggi nella prassi applicativa della polizia di frontiera sembra che
di quella circolare non sia rimasta traccia.
La circolare prendeva atto dei gravi rischi che potevano derivare da una
valutazione superficiale dell’età della persona, minore o giovane adulto che
fosse, e riconosceva come, un errore nella valutazione dell’età del minore
poteva comportare conseguenze “gravemente lesive dei suoi diritti, quali
l’espulsione, il respingimento o il trattenimento in un Centro di permanenza
temporanea o di identificazione”. Sempre secondo questa circolare, “pertanto,
nei casi in cui vi sia incertezza sulla minore età, è necessario far ricorso a
tutti gli accertamenti, comunque individuati dalla legislazione in materia, per
determinare la minore età, facendo ricorso, in via prioritaria, a strutture
sanitarie pubbliche dotate di reparti pediatrici. Tuttavia, poiché, come è
evidenziato dalla prassi, tali accertamenti non forniscono, di regola, risultati
esatti, limitandosi ad indicare la fascia d’età compatibile con i risultati
ottenuti, può accadere che il margine di errore comprenda al suo interno sia la
minore che la maggiore età. Al riguardo, il Comitato sui diritti dell’infanzia
del’Unicef, nell’affermare, al punto 31 del Commento Generale n. 6 del 3.6.2005
alla Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia del 1989, l’importanza
prioritaria della valutazione dell’età del minore in modo scientifico, sicuro e
rispettoso dell’età, del sesso, dell’integrità fisica e della dignità del
minore, raccomanda, nei casi incerti, di "accordare comunque alla persona il
beneficio del dubbio, trattandola come se fosse un bambino".
Peraltro, in materia di accertamento dell’età del minore, l’art. 8, comma 2, del
D.P.R. 22.9.1988, n. 448, recante "Approvazione delle disposizioni sul processo
penale a carico di imputati minorenni", fìssa il principio di presunzione della
minore età, stabilendo che "qualora, anche dopo la perizia, permangono dubbi
sull’età del minore, questa è presunta ad ogni effetto". Il predetto principio,
fondato sul dovere di garantire al minore la più ampia tutela dei diritti, si
ritiene possa trovare applicazione in via analogica anche in materia di
immigrazione, ogni volta in cui sia necessario procedere all’accertamento della
minore età. La circolare del 9 luglio 2007 precisa dunque “che fintanto non
siano disponibili i risultati degli accertamenti in argomento, all’immigrato
dovranno essere comunque applicate le disposizioni relative alla protezione dei
minori. Il migrante è sottoposto all’esame per l’accertamento dell’età , l’esame
consiste nella misurazione del polso e ha un margine di errore fino a due anni”.
Con questa direttiva veniva dunque introdotta la presunzione della minore età in
caso di dubbio.
8. La decisione di trasferire la Commissione territoriale di Trapani a
Lampedusa, la rapidità degli accertamenti sull’età dei migranti, effettuati
sulla sola base dell’esame radiografico del polso in un ambulatorio di una
piccola isola che non ha neppure un ospedale, la rapidità “annunciata” delle
misure di rimpatrio forzato, rendono dunque sempre più difficile un corretto
esercizio dei diritti di difesa che la legge nazionale, il diritto comunitario
ed il diritto internazionale riconoscono in capo ai migranti.
E i richiedenti asilo possono avere diritto a ben tre gradi di giudizio, come è
dimostrato dalle numerose sentenze della Corte di cassazione che si sono
occupate di questa materia. In particolare, secondo la sentenza della Cassazione
a Sezioni Unite, n. 2710 del 17 novembre 2008, che pure si inquadra in un
orientamento assai restrittivo, è necessaria una valutazione specifica per
negare il diritto di asilo a chi possa essere oggetto di persecuzione nel paese
di origine. La sentenza della Cassazione in Sezioni Unite – con cui è stato
accolto il ricorso di un cittadino curdo iracheno- chiarisce un argomento molto
importante per tutta la procedura per il riconoscimento della protezione
internazionale: in che modo il richiedente deve dimostrare i fatti alla base
della sua richiesta di protezione, e qual’è il ruolo del Giudice e della
Commissione Territoriale nell’accertamento dei fatti.
La Corte di cassazione riconosce che lo straniero richiedente asilo ha un
limitato e attenuato l’onere probatorio, “tenendo conto delle difficoltà
determinate da un allontanamento sovente forzato e segreto, tali da rendere
normalmente necessario il ricorso allo strumento presuntivo”. Tuttavia, secondo
la Corte, non è sufficiente “il richiamo al notorio circa la situazione
politico-economica di dissesto del paese di origine o circa la persecuzione nei
confronti di non specifiche etnie di appartenenza”. . Secondo la Corte“il
richiedente deve provare, quanto meno in via presuntiva, il concreto pericolo
cui andrebbe incontro con il rimpatrio, con preciso riferimento all’effettività
e all’attualità del rischio”. Inoltre, il richiedente deve dimostrare di essere
credibile nelle sue affermazioni. La Corte non attribuisce però solo al
richiedente il compito di presentare gli elementi necessari per l’ottenimento
della protezione internazionale. La Commissione Territoriale ed, eventualmente
più avanti, il Giudice hanno il dovere di cooperare nell’accertamento dei fatti.
Ciò implica una “forte valorizzazione dei poteri istruttori ufficiosi”
dell’autorità giudicante. Questa deve acquisire, anche d’ufficio, “le
informazioni necessarie a conoscere l’ordinamento giuridico e la situazione
politica del paese di origine”. Ne risulta un preciso onere probatorio che
incombe alle Commissioni territoriali o al giudice in sede di ricorso per
riconoscere o escludere il diritto di asilo o il diritto alla protezione
internazionale. Un onere probatorio che impone un esame individuale di ogni
istanza, senza facili generalizzazioni basate sulla nazionalità del richiedente,
e che corrisponde all’onere probatorio a carico del migrante che deve fornire
tutti gli elementi in suo possesso e rispettare l’obbligo di fornire
informazioni veritiere. Non si vede però come i richiedenti asilo possano
assolvere tale gravoso onere probatorio nel giro di qualche giorno, dopo avere
raggiunto Lampedusa in condizioni fisiche e psicologiche assai deteriorate,
senza alcun contatto con il paese di origine, dal quale spesso sono fuggiti mesi
o anni prima. L’orientamento della Corte di Cassazione, sommato alle direttive
impartite da Maroni ed alla situazione di fatto di Lampedusa, se da un lato
conferma la necessità che i ricorsi giurisdizionali contro i dinieghi dello
status di protezione internazionale abbiano portata effettiva, rischia di
privare dei più elementari diritti fondamentali, i migranti che vi arrivano. Si
può configurare in questo modo una grave violazione dell’art. 2 del Testo Unico
dell’immigrazione, dell’art. 10 della Costituzione italiana e di tutte le
disposizioni contenute nelle direttive comunitarie e nelle leggi di attuazione
che riconoscono il diritto di asilo, la protezione susidiaria, la possibilità di
rilasaciare un permesso di soggiorno per motivi umanitari, ex art. 5.6 del testo
Unico sull’immigrazione, dunque fuori dai casi previsti dalla Convenzione di
Ginevra sui rifugiati e dalle direttive comunitarie in materia di asilo e di
protezione sussidiaria. 9. Le decisioni assunte dal ministro Maroni di bloccare
nel’isola di Lampedusa i migranti fino al momento del rimpatrio, anche con
l’apertura di un nuovo centro di detenzione, adesso denominato CIE, Centro di
identificazione ed espulsione, in ogni caso una struttura detentiva circondata
da sbarre e filo spinato, sotto stretta sorveglianza militare, costituisce un
attentato ai principi dello stato di diritto, e in particolare alla riserva di
giurisdizione stabilita dall’art. 13 della Costituzione, oltre che un passo
decisivo nella direzione della militarizzazione del territorio dell’isola. Anche
la popolazione di Lampedusa, che ha votato in massa per la Lega Nord, si
accorgerà presto del prezzo che dovrà pagare per questa sua scelta. La decisioni
di Maroni di bloccare a Lampedusa tutti i migranti che vi arrivano, compresi i
richiedenti asilo fino alla definizione della procedura, e di « svuotare »
l’isola con i rimpatri ( ?) diretti, con scalo tecnico a Catania, si fonda su
due presupposti che sono inesistenti.
Infatti i paesi di transito e di origine, a parte l’ecezione dell’Egitto e della
Tunisia, ben difficilmente forniranno la cooperazione richiesta dall’Italia
nell’effettuare i riconoscimenti e nella fornitura dei documenti di viaggio,
documenti indispensabili per potere trasferire una persona da un paese ad un
altro. La stessa decisione di militarizzare Lampedusa in funzione di
contenimento dei migranti che arrivano in gran parte dalla Libia, e che libici
non sono, come è universalmente noto, si basa sull’assunto, ancora tutto da
dimostrare, che sarà possibile bloccare le partenze delle imbarcazioni cariche
di migranti dal litorale libico, magari anche in acque internazionali. Una
speranza tanto presuntuosa, con le sei motovedette che l’Italia dovrebbe inviare
in Libia dopo che il Parlamento avrà ratificato l’accordo Gheddafi-Berlusconi
dello scorso agosto, quanto già smentita dai fatti.
Come riferisce la stampa, il 18 gennaio, dieci migranti nordafricani sono stati
sorpresi sulla spiaggia di Cala Galera da una pattuglia della Guardia di
Finanza, dopo che erano appena sbarcati; altri 18 migranti sono stati bloccati
dai carabinieri sulla terraferma a Linosa. In nessuno dei due casi, nonostante i
controlli lungo le coste delle due isole, sono state trovate le imbarcazioni
utilizzate dagli immigrati. I 28 profughi sbarcati sulle Pelagie sono stati
trasferiti al centro d’accoglienza di Lampedusa dove alla data del 18 gennaio si
trovano ancora circa 1.200 persone. Si tratta di immigrati trattenuti da
settimane senza alcun provvedimento formale, senza convalida del magistrato, in
una situazione fuori dal diritto insomma. Ci sarà qualcuno che se ne accorge ?
Nella notte del 17 gennaio altri 13 migranti erano stati intercettati dalla
polizia sul litorale di Licata. Anche in questo caso non è stata localizzata
l’imbarcazione utilizzata per la traversata. Evidentemente le nuove direttive
del governo su Lampedusa hanno spinto altri migranti a mutare rotta per tentare
di raggiungere direttamente la Sicilia, passando vicino Malta. Una rotta più
lunga che può significare un numero ancora più alto di vittime. Non appena il
cattivo tempo ha dato una finestra di pausa, malgrado tutti gli annunci, le
iniziative con l’ambasciatore libico, il patto stipulato con la Grecia, Cipro e
Malta per chiedere aiuti economici all’Unione europea per sostenere i costi dei
respingimenti, della detenzione e delle deportazioni, malgrado tutto questo, gli
sbarchi in Sicilia sono dunque ripresi, e purtroppo si allunga anche la lista
delle vittime, come confermato dalla scoperta di un cadavere, al largo di Malta,
domenica 18 gennaio, lo stesso giorno in cui le altre piccole imbarcazioni
cariche di migranti riuscivano a raggiungere direttamente le coste di Lampedusa
e Linosa. E speriamo che nel frattempo non si siano consumate altre tragedie
dalle dimensioni ancora più grandi.
Non sappiamo se le nuove prassi amministrative relative agli immigrati
irregolari ed ai richiedenti asilo giunti a Lampedusa potranno essere censurate
dagli organi della giustizia internazionale o dalle autorità giurisdizionali
nazionali. Se vi saranno violazioni di legge o di convenzioni internazionali, e
se queste potranno essere individuate, interverranno i giudici e gli organi di
governo dell’Unione Europea, la Commissione Europea ed il Comitato per la
prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti del Consiglio
di Europa. Prima o poi la verità verrà alla luce, e le responsabilità di queste
violazioni potranno essere individuate. Ma non saranno le corti di giustizia a
sanzionare il fallimento delle politiche di sbarramento e di contenimento che il
governo cerca di praticare come unico modo per affrontare il complesso fenomeno
dell’immigrazione irregolare e dell’asilo, imprescindibilmente connesso, è bene
che si ricordi. Prima o poi anche l’opinione pubblica, come già è successo a
Lampedusa, si accorgerà di essere stata raggirata dai politici-imprenditori
della « sicurezza », che spacciano paura al solo fine di nascondere i loro veri
interessi ed il fallimento delle loro politiche. Si potranno negare
violentemente i diritti fondamentali dei migranti, sulla terraferma, si potrà
considerare un isola come un luogo extraterritoriale al di fuori del diritto, ma
il filo spinato e gli altri segni esteriori di una frontiera, evidentemente, non
si possono certo installare nelle acque del Canale di Sicilia. E assai
probabilmente neppure nei deserti della Libia.