GRAZIE AD AGOSTINO SPATARO PER I PROFONDI PENSIERI CHE SEGUONO
A LUI DICIAMO CON STIMA ED AMICIZIA:
"NON C'E' SOLO FAVARA, MA ANCHE CAPUA E CASTEL VOLTURNO DOVE UN
VESCOVO-PADRE DA ANNI SI BATTE PER LA DIGNITA' DI QUESTI POVERI
FRATELLI AFRICANI A CUI DEDICA MOLTA PARTE DEL SUO TEMPO E DEI SUOI
BENI. A LUI SI DEVE L'ISTITUZIONE DI UNA GIORNATA ANNUALE DEDICATA
AGLI IMMIGRATI DEFUNTI PER I QUALI SI CELEBRA ANCHE UNA
SOLENNE MESSA DI SUFFRAGGIO ".
IMMIGRATI: MORTE SOTTO LA LUNA
di Agostino Spataro
L’altra sera sopra
Porto Empedocle c’era la luna. Una flebile luna che, in compagnia di
una stella insolita, s’era posata sul molo di levante dove una nave
della nostra marina (la “Spica”) era attraccata col suo pietoso
carico di salme avvolte in sacchi di plastica nera.
Sono quelle di undici ragazzi africani annegati in acque maltesi.
Altri, dispersi, li cercano ancora. Le scendono ad una ad una e le
depositano sopra il basolato lavico. Penetrando la ressa dei
fotografi, ne osservo alcune bell’impacchettate. Corpi rigidi,
eppure m’illudo che la loro storia sia ancora in itinere. Anche
perché la visione della luna mal si concilia con la realtà di quella
morte.
Sino a quando non arrivano quelli delle pompe funebri che mettono il
suggello della fine sopra la loro avventura di uomini e di
clandestini come, sbrigativamente, li chiama la burocrazia.
A parte il colore della pelle, non v’erano altri segni di
identificazione. Uomini morti, e sepolti, senza nome e senza
nazionalità, prototipi della globalizzazione che verrà.
La tragedia, una delle tante, si è consumata sabato notte, nelle
stesse ore in cui la notte del Mediterraneo si accende di luci
sfavillanti di panfili dorati, di club esclusivi e discoteche
disseminati lungo le sue incantevoli spiagge. Pura coincidenza, per
carità. Un’accidenti che, in genere, capita a chi s’ammazza di
lavoro, anche precario, o a chi lo cerca disperatamente. Una
disgrazia, dunque, che non turba più di tanto la nostra farisaica
falsa coscienza.
Eppure – mi domando- cosa sarebbe successo se undici gatti di razza
esotica, magari appartenenti ad un ricco evasore, fossero morti
annegati in piscina?
Nessuno avrebbe accettato quel destino truce, pretendendo che ne
fossero accertate le cause e perseguite le responsabilità che, ora,
la legge punisce severamente.
Per questi undici uomini non è successo nulla. Nessuno, o quasi,
s’interroga sulle cause della loro terribile morte, del permanere di
realtà sociali e politiche scandalose, spesso ingovernabili, da cui
si origina il dramma che si svolge dentro, e intorno, il
Mediterraneo il quale, da culla delle più grandiose civiltà, si sta
trasformando in un fossato che divide, invece che unire, i popoli
rivieraschi.
Tutto cambia, in fretta e in peggio. Anche questo vecchio e generoso
mare pare che stia diventando cattivo, ingrato ed avaro di risorse.
Ma il mare non c’entra nulla, poiché - come scrive Braudel - “il
Mediterraneo sarà come lo vorranno i mediterranei”. Evidentemente,
per ora, così lo vogliono le super potenze politiche e militari e le
grandi corporazioni economiche e finanziarie, associate da un comune
disegno di predominio sul mondo. I “mediterranei” non hanno voce in
capitolo.
Il tragico esodo migratorio e i sanguinosi conflitti in corso sulle
sue rive e zone contigue ci dicono che nel Mediterraneo è in atto
una spaventosa mutazione. Eppure nessuno sembra preoccuparsene. Non
si va oltre la commiserazione momentanea: il tempo in cui nasce e
muore una notizia.
Purtroppo, nemmeno i governi se ne occupano sul serio. Nonostante
gli accordi e i buoni propositi, non riescono ad immaginare per i
popoli mediterranei una strategia di prosperità condivisa, nella
pace e nella libertà.
Questa è la colpa maggiore, e imperdonabile, dei ceti dirigenti
dell’area euro-mediterranea i quali, pur rappresentando la più
grande potenza commerciale del pianeta, non riescono (o non
desiderano?) a favorire un’evoluzione pacifica e socialmente giusta
dello scenario mondiale.
Fino a quando potrà durare questa situazione? Credo che sia venuto
il tempo di mettere un punto fermo e provvedere. A cominciare dalle
politiche migratorie che dovranno regolare i flussi, nel rispetto
dei diritti umani dei migranti e anche di quelli delle popolazioni
dei paesi d’accoglienza.
Con quali politiche e con quali strumenti? Su tutto ciò si dovrà
discutere, andando oltre, per favore, le lacrime vere o fasulle, le
solidarietà ipocrite, la carità anche sinceramente motivata.
C’è un dato inconfutabile da cui partire: più la ricchezza (prodotta
dai lavoratori, particolare non trascurabile), si apicalizza,
concentrandosi nelle mani di gruppi sempre più ristretti nazionali e
internazionali, più si espandono le aree di povertà e d’indigenza,
anche in paesi iper- sviluppati, com’è l’Italia. E’ la legge della
ripartizione ineguale. Perciò, non è necessario essere eminenti
economisti per capire che il neo liberismo sta affamando la gran
parte dell’umanità. E chi ha fame scappa, emigra, anche a rischio
della vita.
Come hanno fatto questi ragazzi, finalmente, sbarcati sulla terra
promessa da qualcuno che avrà loro estorto cifre ragguardevoli. Sono
morti senza patria, perciò non si possono rimpatriare. I lestofanti
che comandano su quelle “patrie” non li rivogliono nemmeno da vivi,
figurarsi da morti.
Meno male che c’è Favara, l’unico comune dell’agrigentino ad avere
predisposto uno spazio cimiteriale adeguato per i defunti immigrati.
Un fazzoletto di terra, che già ospita molte salme anonime,
destinato a diventare una sorta di sacrario dell’immigrato ignoto.
E tutto ciò rende onore (vero onore) ad una città, e per essa
all’intera Sicilia, che della morte hanno ancora un sentimento
altissimo di devozione e di partecipazione. A tratti, perfino
gioioso.
E verso Favara partono le sfarzose “mercedes” delle pompe funebri,
ognuna con dentro una cassa luccicante. Uno strano corteo, muto e
senza parenti al seguito.
Poveri figli. Sono “arrivati” laceri e avvizziti e se ne vanno
dentro bare di mogano, a bordo di automobili lussuose che nemmeno i
loro presidenti, in terra d’Africa, si possono permettere.
Pare che provenissero dalla Sierra Leone. Da Freetown o da Moyamba?
Non lo sapremo mai. Solo la luna che li ha guidati nella notte
africana o il sole impietoso che li ha inseguiti per deserti e
montagne ce lo potrebbero dire.
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