LA CONVENZIONE ONU SUI LAVORATORI MIGRANTI ED I MEMBRI DELLE LORO FAMIGLIE

di Francesca Natalini

Introduzione

Il 18 dicembre 1990 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie, allo scopo di integrare la normativa esistente promossa dalla Convenzione OIL n. 97 del 1949 e dalla n. 143 del 1975.

La Convenzione ONU, dunque, è un documento internazionale di vasta portata, ispirato da accordi vincolanti esistenti, dagli studi sui diritti umani delle Nazioni Unite, da dibattiti e conclusioni scaturiti da incontri di esperti, e da risoluzioni sui lavoratori migranti emanate per oltre vent’anni. I lavori preparatori ed il testo della Convenzione riflettono numerose tensioni e compromessi: infatti, il gruppo di lavoro istituito dall’Assemblea Generale nel 1979 ed incaricato di redigerla, si è riunito diciannove volte finchè non si è giunti all’approvazione definitiva del testo nel 1990, dopo dieci anni di lavoro

In quel periodo si sono verificati diversi sviluppi politici ed economici che hanno avuto effetti considerevoli sia sulle migrazioni per motivi di lavoro, sia sulla percezione dei migranti stessi all’interno dei Paesi di impiego. Secondo dati recenti proprio delle Nazioni Unite, infatti, sono 175 milioni le persone che oggi risiedono e lavorano regolarmente in un paese diverso da quello di origine; di queste, quasi un terzo vive in Europa, ed in Italia circa un cittadino su 20 residenti è straniero

Tutto questo avviene contrariamente alle leggi restrittive sull’immigrazione degli Stati membri dell’Unione Europea, tra cui l’Italia. Nonostante questo irrigidimento legislativo, sono proprio gli Stati membri dell’Unione Europea ad impiegare un grande numero di manodopera straniera per coprire le carenze di alcuni settori produttivi, senza insediamenti definitivi. Se si tiene presente, ancora, che nei Paesi in via di sviluppo (PVS) risiede l’85% della popolazione mondiale, la quale deve vivere con una media 3.500 dollari pro-capite all’anno, contro 25.600 dollari dei Paesi ricchi, si capisce anche come in un mondo globalizzato, dove circolano beni, capitali ed informazioni, è ben difficile pensare di fermare i flussi migratori. In questo contesto, dunque, la Convenzione ONU assume un carattere particolarmente importante anche se - a quasi tredici anni di distanza dall’adozione - solo recentemente il Guatemala ha depositato il ventesimo strumento di ratifica , permettendone così l’entrata in vigore il 1° luglio 2003.

Dopo oltre dieci anni dalla sua adozione, infatti, gli Stati che la hanno ratificata hanno superato di poco il numero necessario per l'entrata in vigore. Altri dieci Stati, invece, l'hanno solo sottoscritta. Nonostante dunque essa sia stata adottata in sede ONU a larga maggioranza nel 1990, non figura ancora alcun Paese firmatario di immigrazione e nessuno Stato membro dell'UE vi ha aderito; trattasi quindi, fatta eccezione per le Seychelles, di paesi fortemente impoveriti e generatori di flussi migratori. Questa importante Convenzione a favore dei lavoratori migranti e dei loro familiari è caduta per lungo tempo nel dimenticatoio e sono dunque necessari degli sforzi a livello europeo ed internazionale affinchè i diritti in essa contenuti diventino effettivi e non rimangano chiusi in un cassetto.

Il contenuto della Convenzione

La Convenzione ONU, per la prima volta, fornisce una definizione internazionale di "lavoratori migranti", e dei membri delle loro famiglie, stabilendo degli standard internazionali per il loro trattamento. La sua importanza, dunque, può essere attribuita al fatto che i lavoratori migranti non sono visti solo come forza lavoro ma anche come entità sociali e membri di un nucleo familiare; di conseguenza, essi sono titolari di diritti fondamentali ed inalienabili, come stabilito in precedenza da altre convenzioni internazionali e dalla Corte Costituzionale italiana. La Convenzione delle Nazioni Unite, inoltre, è importante in quanto considera che i lavoratori migranti, non essendo cittadini dello Stato in cui lavorano, rappresentano una categoria vulnerabile, non protetta e bisognosa di particolare tutela. Essa, infatti, riconosce che la legislazione nazionale dei Paesi di origine o di destinazione spesso non tutela i diritti dei soggetti in questione: per questo la comunità internazionale, attraverso l'ONU, deve adottare misure per un’adeguata protezione. Questo importante strumento giuridico delle Nazioni Unite cerca di prevenire lo sfruttamento dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie e di mettere fine ai movimenti illegali o clandestini ed alle situazioni di residenza irregolare, stabilendo degli standard minimi, universalmente accettati e riconosciuti, per la loro protezione.La Convenzione, infine, considera tutte le fasi del processo migratorio, dai preparativi per la partenza al rientro, identificando di volta in volta quali sono i diritti da tutelare: in virtù di ciò è stata qualificata come il primo strumento internazionale a livello mondiale, che considera il problema delle migrazioni internazionali in tutta la sua complessità. La portata veramente innovativa della Convenzione, tuttavia, riguarda il fatto che tutti i lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie dovrebbero godere dei diritti umani fondamentali a prescindere dal fatto che siano in possesso o meno dell’autorizzazione prevista dalle rispettive legislazioni nazionali. Un aspetto che merita senz’altro di essere rilevato è che la Convenzione ONU definisce il migrante sprovvisto di autorizzazione a soggiornare irregolare e non illegale: tale qualifica, infatti, può essere attribuita in maniera corretta ed appropriata dall’autorità giudiziaria. In virtù di ciò, a tutti i lavoratori migranti e ai loro familiari, compresi coloro che si trovano in situazioni irregolari, sono garantiti i diritti umani (artt. 8-35). In base al principio di uguaglianza di trattamento con i nazionali e di non discriminazione, essi godono di una serie di diritti relativi alla vita, ad uguali condizioni di lavoro e di impiego con i nazionali dello Stato in cui si trovano, ad una libera scelta dell’attività lavorativa, allo spostamento e stabilimento, alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione e di culto, alla sicurezza personale; oltre a ciò sono garantiti il diritto alla salute, all’educazione ed alla formazione professionale, al ricongiungimento familiare ed il diritto a trasferire i loro guadagni, risparmi ed effetti personali alla scadenza del soggiorno nello Stato d’impiego. Tuttavia, sono previsti una serie di divieti volti ad evitare i trattamenti crudeli, inumani o degradanti sul lavoro quali la tortura, la schiavitù ed il lavoro forzato, la privazione arbitraria di beni; la detenzione il trattamento giudiziario arbitrario, la confisca e la distruzione di documenti di identità; l’espulsione collettiva, la discriminazione sul lavoro ed in materia di previdenza sociale.

In base alla Convenzione ONU, dunque, i lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie che si trovano in situazione di regolarità, oltre ai diritti umani spettanti ad ogni persona, godono di una tutela più pregante connessa appunto alla loro situazione (artt. 36-56), e comprendente: il diritto di essere pienamente informati, prima della loro partenza o al momento dell’arrivo, dallo Stato di origine o da quello di impiego, di tutte le condizioni poste alla loro ammissione, relativamente al soggiorno ed alle attività remunerate verso le quali essi possono dirigersi, oltre che delle esigenze cui devono necessariamente conformarsi nello Stato di impiego e delle autorità cui possono rivolgersi; il diritto di assentarsi temporaneamente senza che ciò leda la loro autorizzazione di soggiorno o di lavoro; di circolare liberamente sul territorio dello Stato di impiego e di scegliere liberamente la residenza, salvo le restrizioni previste ex lege per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale; il diritto di formare con altri associazioni e sindacati nello Stato di impiego per tutelare i propri interessi economici, sociali, culturali ed altri; il diritto di prendere parte agli affari pubblici dei loro Stati d’origine, di votare ed essere eletti; l’accesso all’alloggio, ai servizi sociali e sanitari e la partecipazione alla vita culturale; il diritto all’integrazione dei bambini nel sistema educativo locale e l’insegnamento della loro lingua madre e cultura; il diritto di trasferire guadagni e risparmi, soprattutto i fondi necessari al mantenimento della propria famiglia, dallo Stato di impiego a quello di origine o ad ogni altro Stato, conformemente alle procedure stabilite dalla legislazione applicabile. Inoltre, i lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie non sono soggetti ad imposte, diritti o tasse più onerose di quelle richieste ai nazionali e sono soggetti a tutti gli sgravi fiscali previsti. Essi, infine, beneficiano dell’uguaglianza di trattamento con i cittadini dello Stato di impiego per: la protezione contro il licenziamento, le indennità di disoccupazione, l’accesso a programmi di interesse pubblico per combattere la disoccupazione, o ad un altro impiego in caso di perdita di lavoro o di cessazione di un’altra attività remunerata. I lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie, infine, non possono essere espulsi dallo Stato di impiego se non per ragioni definite nella legislazione nazionale di detto Stato e l’espulsione in sé non priva i soggetti in questione dei diritti derivanti dal permesso di soggiorno o di lavoro.

Ai fini dell’applicazione della Convenzione, risulta molto importante l’istituzione di un Comitato per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie, con il compito di redigere un rapporto annuale all’Assemblea Generale su come la Convenzione viene applicata dagli Stati parte, dopo aver esaminato i rapporti dei singoli Stati e le loro eventuali comunicazioni di inadempienze degli obblighi e ricevuto le comunicazioni di privati che denuncino violazioni dei propri diritti individuali stabiliti dalla Convenzione. E’ da sottolineare, tuttavia, che attualmente nessuno Stato contraente ha riconosciuto la competenza di tale Comitato a ricevere ed esaminare i singoli casi di violazione delle disposizioni contenute nella Convenzione o denunce da parte dei singoli Stati per il mancato adempimento di obblighi in essa previsti da parte di uno Stato membro.


L’Italia e la ratifica degli Stati europei

La lentezza del processo di ratifica di questa Convenzione riflette in parte l’assenza fino a tempi recenti di un impegno internazionale atto a divulgare ed incoraggiare la sua adozione da parte dei vari Stati.

La Convenzione è stata appositamente dimenticata in quanto, sebbene la sua ratifica non vincolerebbe gli Stati aderenti a principi diversi da quelli già espressi in altri strumenti giuridici internazionali, è chiaro che comunque comporterebbe per i Paesi europei l’abbandono delle politiche di non riconoscimento del valore “umano” dell’immigrato, inteso come soggetto da tutelare e non come mero ingranaggio del processo produttivo.
Per quanto riguarda le prospettive di impegno per la ratifica della Convenzione, la riluttanza degli Stati ad accettarla a livello internazionale va ricercata nella tutela forse eccessiva che essa offre ai lavoratori migranti in situazione irregolare. A tale elemento si aggiunge il timore che una sua eventuale entrata in vigore provochi un maggiore afflusso di lavoratori migranti, specialmente negli Stati ricchi, e che incoraggi sempre più persone del Mondo in via di sviluppo ad emigrare nei Paesi industrializzati. Per tale motivo, i Paesi poveri continuano ad invocare la ratifica, i Paesi ricchi ne temono le conseguenze e la protezione internazionale dei diritti umani fondamentali dei lavoratori migranti rimane nel limbo.

Dal punto di vista più specifico dell’Italia, è evidente che non si é sviluppato fino ad ora un dibattito in merito alla ratifica della Convenzione. Questo prima poteva forse trovare un ostacolo nel fatto che non esisteva un quadro normativo compatibile con gli obblighi internazionali derivanti dalla suddetta Convenzione, non essendo stata ancora approvata la legge n. 40/1998, che ne ha recepito i contenuti in maniera ampia. Il quadro normativo italiano in materia di immigrazione è stato successivamente ampliato con l’adozione del Testo Unico sull’immigrazione, ovvero il noto Decreto legislativo n. 286 del 1998, che la recente legge Bossi-Fini ha modificato in maniera del tutto negativa.

Solo recentemente, tuttavia, sono stati fatti dei seri passi in avanti a livello mondiale: nel 2001, infatti, è stata lanciata una Campagna Globale per la ratifica e si è costituito a Ginevra un Comitato Direttivo, o Steering Committee, che ha realizzato campagne informative ed ha prodotto materiali divulgativi. La Campagna è volta a sensibilizzare la comunità internazionale sulle tematiche affrontate dalla Convenzione e ad incoraggiare i governi a ratificarla, adeguando alla stessa normative interne e prassi. Sulla scia di tali avvenimenti, merita un cenno l’iniziativa del nostro Paese, del 17 dicembre 2002, relativa alla costituzione di un Comitato italiano per i diritti umani dei migranti, fautore di una campagna di informazione e di sensibilizzazione nel nostro Paese sulla Convenzione del 18 dicembre.
 

Il Comitato in questione, si propone essenzialmente di sviluppare strategie di comunicazione, un piano d’azione e di attivare ogni misura utile a realizzare azioni concrete di informazione e sensibilizzazione a livello istituzionale e di società civile nel corso del 2003; promuovere in Italia una migliore conoscenza della Convenzione stessa a livello parlamentare, istituzionale, accademico e del mondo del lavoro; sensibilizzare l’opinione pubblica italiana e gli stranieri in Italia sui diritti umani dei lavoratori migranti ed i loro familiari, oltre a sostenere e coordinare le iniziative locali e nazionali in corso. Tutto questo allo scopo di avviare l’Italia, attraverso la ratifica della Convenzione, a riconsiderare la propria normativa in materia di immigrazione; inoltre, in previsione del prossimo semestre italiano della Presidenza dell’Unione Europea, il fine è quello di far ratificare anche tutti gli altri Stati europei, facendo loro adottare una politica di reale convivenza civile con gli immigrati sulla base dei valori di libertà, dignità, giustizia, uguaglianza e solidarietà.

Considerazioni conclusive
 

Da quanto affermato nei paragrafi precedenti emerge che questa Convenzione delle Nazioni Unite a lungo trascurata rappresenta un valido strumento in grado di favorire il superamento delle problematiche legate alle migrazioni: di qui l’importanza della sua ratifica da parte di tutti gli Stati membri, in particolare di quelli appartenenti all’area europea.
Un elemento che più degli altri rappresenta un ostacolo alla ratifica è costituito dalla scarsa conoscenza, a livello sia europeo che extraeuropeo della Convenzione e dei principi in essa contenuti, cui è stata data poca visibilità nel corso degli anni: ciò ha spesso contribuito a far avere un’idea sbagliata degli stessi e delle finalità che ci si propone di raggiungere. Proprio per questo motivo la campagna di informazione e di sensibilizzazione avviata in Italia con molti sforzi ma anche con un notevole entusiasmo assume un’importanza fondamentale in un contesto molto più ampio. L’Italia, infatti, potrebbe rappresentare il primo gradino per un progressivo avvicinamento da parte di altri Stati ai contenuti di un trattato che rende accessibili importanti diritti fondamentali della persona umana anche agli stranieri irregolari.
Un’adesione completa e generalizzata ai principi contenuti nella Convenzione ONU, i quali specificano in maniera più estesa i diritti contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 10 dicembre 1948, potrebbe soprattutto avere delle ripercussioni positive sulle prospettive di sviluppo di una disciplina uniforme ed appropriata dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.

 

Siti Internet consultati:
www.december18.net;
www.migrantsrights.org;
www.dirittisociali.org;
www.onuitalia.it;
www.cestim.org.