LA PAURA SUPERA L'ACCOGLIENZA
DAL "CORRIERE DI CASERTA" DEL 27 MARZO 2011
Siamo il paese delle contraddizioni. Inutile provare ad usare il buon senso per capirci qualcosa. In particolare nel campo dell’immigrazione se vuoi essere ascoltato devi prima sposare una tesi aprioristica e ideologica e poi buttarti nella gara a chi la dice più grossa. E’ quanto sta succedendo in questi ultimi giorni con l’ennesima campagna allarmistica sull’invasione dei clandestini nordafricani tra cui i pericolosi “terroristi” libici. Insomma da un lato plaudiamo alla “risorgimento Arabo”, alla primavera della libertà”, al coraggio di popolazioni sottoposte per secoli a tirannie militari o religiose e dall’altro abbiamo paura che essi tocchino il nostro suolo per infestarlo con i loro costumi barbari. Persino il Governo, che ha fatto dello spauracchio dell’immigrazione clandestina e della sicurezza la sua bandiera, sembra in questo frangente aver assunto una posizione più ragionevole e moderata. La situazione di Lampedusa è sicuramente esplosiva e i cittadini dell’isola hanno mille ragioni per essere preoccupati, ma si tratta pur sempre di una situazione transitoria. E’ tale non tanto per la fiducia nell’organizzazione statale che sappiamo essere lacunosa, quanto per la volontà stessa di questi immigrati che non hanno certo attraversato il deserto ed il mare per restare a morire su un’isoletta italiana, per quanto bella e ridente. Il problema, dunque, non sono loro, ma le nostre paure, la nostra disorganizzazione, la nostra miopia. Per questo motivo va salutato con soddisfazione il fatto che il Governo, almeno questa volta, ha ragionato in termini di accoglienza e di distribuzione ragionata sul territorio, richiamando anche l’Europa ai suoi doveri. Un piano che prevede di accogliere fino a 50 mila migranti, secondo le stime che gli esperti hanno fatto sui possibili arrivi nel Paese. La redistribuzione sul territorio avverrà in base alla popolazione residente ma con alcuni criteri correttivi: saranno sgravate quelle regioni dove la presenza dei profughi è già pressante come la Sicilia, la Calabria o la Puglia, o dove vi sono già emergenze umanitarie come nel caso dell’Abruzzo alle prese con il post-terremoto. Inoltre sarà rafforzato il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar), che vede già sedici province coinvolte. Ci voleva una crisi epocale come quella che ha stravolto il mondo arabo per convincersi della cosa più semplice del mondo: l’immigrazione è un fenomeno che va governato, ma non respinto. D’altra parte lo stesso Governo ha affermato, in un dettagliato rapporto del 23 febbraio scorso, che nei prossimi dieci anni per reggere il "sistema Italia" occorreranno due milioni di stranieri. Questi dati smascherano la demagogia di chi continua a ripetere che gli immigrati sono una minaccia mentre accoglierli civilmente è soprattutto una intelligente strategia per il futuro. Lo stesso vale anche per la nostra regione e la nostra provincia dove il problema non è l’elevato numero di immigrati, ma la loro disomogenea distribuzione sul territorio e la mancanza di qualunque seria politica di integrazione e di sviluppo territoriale. La Campania, infatti, non è stata esclusa dal novero delle regioni che potranno accogliere gli immigrati, ma chi abita in certe aree come il litorale Domitio e l’Agro aversano vive con terrore la prospettiva di trovarsi di fronte ad una nuova massa di immigrati. E’ una preoccupazione comprensibile, ma rivela l’idea sbagliata e preconcetta che gli immigrati siano un male in sé e non la nostra disorganizzazione. Basti pensare che Berlusconi visitando lo scorso 15 febbraio il Villaggio di solidarietà di Mineo, nella provincia di Catania ha detto con enfasi che sarà trasformato in un modello di eccellenza per l’integrazione degli immigrati, esportabile anche nel mondo. E’ quello che diciamo da anni per il “Caso Castel Volturno”, che è diventato un grande “villaggio” della accoglienza e della solidarietà. Se invece di considerarlo sempre e solo come un problema di sicurezza e di ordine pubblico lo si guardasse come un immenso laboratorio multiculturale e multietnico su cui investire, insieme al risanamento del mare e dell’ambiente, per il rilancio turistico ed economico dell’area, si potrebbe creare un modello di eccellenza esportabile nel mondo. Ma temo che nemmeno il “Risorgimento del Mediterraneo” ci servirà a cambiare qualcosa dalle nostre parti. Questa è l’ennesima contraddizione del nostro bel paese.