Aborto, 8 donne su 10
lo evitano se aiutate
Da Avvenire del 22-02-2010
Un aiuto economico di 4mila euro basta spesso a salvare
un bambino dall’aborto. Ma il Centro di aiuto alla vita (Cav) presso la
Mangiagalli di Milano a partire da aprile teme di non poterlo più promettere. È
questo uno dei crucci maggiori di Paola Bonzi, fondatrice e direttrice dello
storico Cav che ha sede presso la maggiore clinica ostetrica della Lombardia,
dove ogni anno vengono al mondo circa 7mila bambini, ma dove si effettuano circa
1600 aborti. «Ma molti potrebbero essere evitati – sottolinea Paola Bonzi –.
Basta pensare che su dieci donne a rischio d’aborto che si rivolgono a noi, otto
o nove rinuncerebbero all’interruzione di gravidanza se aiutate economicamente».
Di qui l’appello alle istituzioni (Regione, Provincia e Comune) a mettere in
campo un po’ di buona volontà per sostenere economicamente un Centro che, nel
solo 2009 ha incontrato e aiutato circa 2200 donne. «Del resto – puntualizza
Paola Bonzi – la stessa legge 194, che si intitola “per la tutela sociale della
maternità” all’articolo 5 parla del compito degli enti pubblici di mettere in
campo risorse per sostenere la donna. Ma in realtà la 194 è l’unica legge non
finanziata».
Proprio ieri all’Ospedale Maggiore Policlinico di Milano sono stati inaugurati
tre reparti completamente rinnovati dopo la ristrutturazione: si tratta degli
ambulatori della Clinica Mangiagalli, del nido Santa Caterina e del reparto
degenze della chirurgia pediatrica. «Siamo contenti di queste realizzazioni –
osserva Paola Bonzi – ma vorrei sottolineare che prima bisogna far nascere i
bambini: poi potremo curarli, educarli, aiutarli a crescere». «Sappiamo che sei
donne su dieci in fila per abortire – aggiunge – piangono in attesa della
visita. Sono straniere al 70%, ma le italiane sono in aumento: spesso donne con
contratti a termine che vedono il lavoro messo a rischio dalla gravidanza». È
evidente che occorre poter offrire risorse concrete: «Il nostro Cav è una onlus
e abbiamo un bilancio trasparente – puntualizza Bonzi –. Di un milione e 800mila
euro di uscite nel 2009, la voce sussidi pesa per 800mila euro. Il consultorio
familiare è accreditato e le prestazioni professionali (psicologo, ginecologo,
ecc) sono rimborsate dalle Asl, ma l’aiuto alle donne dobbiamo trovarlo noi.
Infatti forniamo non solo sussidi economici diretti (200-250 euro al mese per 18
mesi), ma anche latte e attrezzature di tutti i tipi e pannolini fino all’anno
di età del bambino: assicurarli a 600-700 bambini l’anno comporta cifre
considerevoli».
Nel 2009 sono state 2200 le donne che si sono rivolte al Cav per un aiuto: di
queste circa 600 incinte nel primo trimestre e a rischio di aborto: «Per almeno
400 di loro serviva un aiuto economico: i conti sono presto fatti. E quando
incontriamo una donna in difficoltà, non abbiamo tempo: quando esce dal Cav deve
avere in mano un progetto che le offra la tranquillità per 18 mesi». E ora le
casse sono quasi vuote: «Abbiamo risorse solo fino ad aprile, perché dobbiamo
mantenere le promesse alle donne cui le abbiamo fatte. E quindi potremmo non
poter accettare nuove persone in carico. Mi preoccupa molto – sottolinea Paola
Bonzi – di essere posta in un dilemma tra l’angustia perché le donne che vengono
in Mangiagalli per abortire non conoscono l’esistenza del nostro Cav e
dall’altra parte non sapere come fare ad aiutarle se si rivolgessero a noi».
Quello che serve quindi è uno slancio straordinario da parte delle istituzioni:
«Come tre anni fa, quando ottenemmo 500mila euro dalla Regione e 200mila dal
Comune. Abbiamo idea di quanto costano alla sanità le cure delle donne alle
prese con le conseguenze dell’aborto, che rischiano depressione, tentativi di
suicidio, abuso di sostanze? Non è meglio impiegare i soldi prima, per far
nascere i bambini?»
da Milano Enrico Negrotti