Governare davvero l'immigrazione
Di Giuseppe Casucci, Coordinatore Nazionale del Dipartimento Politiche Migratorie della UIL

 

Roma - 6 febbraio 2008 - Con lo scioglimento delle Camere, rischiano di passare nel dimenticatoio tutti i nodi (e sono molti) lasciati irrisolti sul fronte immigrazione dall’attuale maggioranza. Un primo aspetto riguarda le iniziative di riforma legislativa e che ora non avranno più (almeno nell’immediato) un futuro parlamentare: dalla normativa sull’immigrazione, alla riforma della cittadinanza, all’assenza in Italia di una legge organica sul diritto d’asilo. Senza contare la necessità più volte sottolineata dalle parti sociali, di procedere ad eliminare dalla normativa esistente le molteplici forme di discriminazione indiretta che limitano l’accesso al lavoro ed alla fruizione di molti diritti chi non sia di nazionalità italiana, discriminazione nelle norme che dà tacito consenso a chi la discriminazione la fa anche direttamente.


In particolare pesa (in un Paese in cui i processi d’integrazione sono rallentati dall’estesa presenza di migranti irregolari occupati nell’economia sommersa), l’assenza di una normativa che promuova quei diritti civili che fanno sentire italiano anche chi non sia nato nel nostro Paese: e cioè il diritto (amministrativo almeno) a votare e a presentare propri rappresentanti, per i cittadini stranieri che lavorano e vivono regolarmente con noi, pagano le tasse, mandano i figli a scuola, comprano una casa o mettono su una propria impresa: in una parola, investono il proprio futuro in Italia, scommettendo sul buon successo di questo Paese. Sono tanti certo gli aspetti che compongono il complicato mosaico dei processi d’integrazione: ma il diritto di voto a un valore simbolico speciale, in quanto se non hai diritto a votare è difficile che i tuoi problemi siano rappresentati bene dalla Politica con la P maiuscola. Purtroppo, a differenza che in altri Paesi europei, il nostro è da ben tre legislature che non procede alla firma e ratifica del capitolo C della Convenzione di Strasburgo, senza contare quella delle Nazioni Unite del 1990 sui diritti fondamentali dei lavoratori migranti e delle loro famiglie.


Aspetti importanti, specie in un Paese che la pressione migratoria soprattutto la subisce e che procede a suon di regolarizzazioni, più o meno mascherate da decreto flussi (1,4 milioni negli ultimi sette anni, ci ricorda spesso la UE). Un Paese dunque in cui è più facile entrare da irregolare, ed è più probabile che si trovi lavoro in nero, visto che entrare con contratto di soggiorno e lavorare alla luce del sole è difficilissimo. E’ lo stesso Eurispes a dirci oggi quanto pesi l’economia sommersa in Italia (549 miliardi di euro nel 2007), e quanto tutto questo funzioni da richiamo per l’immigrazione irregolare che, a sua volta, produce ricchezza sommersa (42 miliardi di euro, dunque l’8% del totale sommerso). Considerando che nel 2006 gli immigrati regolari hanno prodotto il 6,1% del PIL nazionale, possiamo di conseguenza immaginare che l’8% dell’economia sommersa prodotta da stranieri  corrisponda ad un numero di irregolari molto esteso in Italia, così come dimostra anche l’ultimo decreto flussi del dicembre 2007 e quello del 2006.

In effetti, dopo la regolarizzazione del 2003 (650.000 persone) ed una stasi negli ingressi regolari nel 2004 e 2005 (solo 35 mila l’anno) è seguita una maxi richiesta di nulla osta nei due decreti flussi 2006 (oltre 600 mila persone) e quasi 700 mila richieste nel 2007; e questo, malgrado l’uscita di scena (dai decreti flussi) di rumeni e bulgari. Oramai su chi entra con questo strumento non finge più nessuno: tutti sanno che si tratta di stranieri già presenti irregolarmente che lavorano e vivono nel nostro Paese, che sono funzionali alla crescita abnorme della nostra economia in nero, ma dei quali molti settori produttivi non possono più fare a meno. Dunque, si continua a fingere che sui tratti di persone chiamate dall’estero, e che il problema degli irregolari (cioè di almeno un quarto degli stranieri oggi presenti in Italia) non ci sia.

Tutto questo, però, non è privo di danni soprattutto per il tessuto sociale e la civile convivenza, senza contare i danni per il pubblico erario: vivere e lavorare in nero significa essere privo di diritti, guadagnare meno degli altri, lavorare in condizioni di rischio, non poter progettare il proprio futuro, e soprattutto non potersi lamentare e denunciare la propria condizione, altrimenti il rischio è quello dell’espulsione, com’è di recente successo al barista straniero in Sicilia che è andato dai carabinieri a denunciare il padrone che non lo voleva pagare nella giornata in cui si era infortunato (sul lavoro). Significa assenza di diritti ed essere al di fuori di qualsiasi convenzione e tutela contrattuale; significa anche avere difficoltà a mandare i propri figli a scuola (sindaco Moratti docet), non poter avere un conto in banca, non poter accendere un mutuo, dover usare canali clandestini per mandare i soldi a casa. Significa non avere un futuro previdenziale e significa anche molti miliardi di euro sottratti allo Stato.

uol dire anche essere a rischio di devianza sociale, commettere più reati, sentirsi – oltre che essere – ai margini della nostra società, con gravi conseguenze sul piano comportamentale. Come UIL non ci stanchiamo di ripetere quello che i nostri colleghi europei spesso ci segnalano: una democrazia che si rispetti non può tollerare a lungo fasce estese di presenza irregolare di migranti e lavoro nero, senza pagarne il prezzo sul piano di profonde lacerazioni sociali e di cicatrici che rimarranno a lungo nel futuro.

Per questo motivo noi siamo convinti che, qualsiasi governo sarà in carica tra qualche mese, è nell’interesse pubblico e nell’interesse stesso di chi governerà l’urgenza di mettere mano a questa situazione procedendo comunque ad una riforma dell’attuale legislazione, sia in  materia migratoria che in quella dei diritti di cittadinanza. Come UIL non siamo fra quelli che imputano tutti i mali all’attuale normativa (la Bossi Fini): sappiamo che le cause dell’immigrazione irregolari sono molte (dall’economia sommersa che funziona da pull factor, dai divari nello sviluppo tra Primo e Terzo Mondo – push factor, dai fattori demografici, ecc.). Non c’è dubbio però che la Bossi Fini abbia provocato gravi danni, rendendo virtualmente impossibile entrare e vivere regolarmente in Italia, e dunque moltiplicando la convenienza ad entrare in forma irregolare.

bisogna, dunque, cambiare e la direzione non può che essere quella di una normativa che renda più facile entrare regolarmente in Italia, accompagnata da norme che colpiscano davvero il lavoro nero, e norme che cambino il concetto di cittadinanza restituendo anche a chi non è nato in Italia, pienezza di diritti ed assenza di discriminazioni.
Oggi, comunque, abbiamo anche l’emergenza dei 500 mila cittadini stranieri che rimarranno fuori dal decreto flussi 2007. A loro riguardo, bisognerà decidere se il diritto a “regolarizzare” la propria posizione è un privilegio che viene dalla fortuna di vincere la lotteria dei flussi, e se quindi queste 500 mila persone (ed altre ancora presenti in Italia senza permesso) dovranno essere espulse. Oppure se, come in tutte le democrazie che si rispettino, si debba garantire parità di diritti a tutti quelli che hanno un datore di lavoro che li vuole assumere. E’ questo a nostro parere un atto di giustizia ed – insieme – un’urgenza di pubblico interesse che deve essere attuato attraverso un secondo decreto flussi che consideri valide tutte le domande di assunzione regolari presentate. E’ giusto che lo faccia l’attuale Governo (magari all’interno del decreto mille – proroghe che va votato entro febbraio) o – se non sarà possibile – chiediamo che sia uno dei primi atti del nuovo Governo.

E’ interesse, crediamo, di tutti riprendere in mano la patata bollente dell’immigrazione e cominciare a governarla davvero. Questo si può fare solo se si guarda all’interesse vero dell’Italia che ha bisogno di immigrati onesti che lavorano alla luce del sole e non di lavoratori di serie B condannati ad un futuro sotterraneo.