Roma - 6 febbraio 2008 - Con lo scioglimento delle Camere, rischiano di passare nel dimenticatoio tutti i nodi (e sono molti) lasciati irrisolti sul fronte immigrazione dall’attuale maggioranza. Un primo aspetto riguarda le iniziative di riforma legislativa e che ora non avranno più (almeno nell’immediato) un futuro parlamentare: dalla normativa sull’immigrazione, alla riforma della cittadinanza, all’assenza in Italia di una legge organica sul diritto d’asilo. Senza contare la necessità più volte sottolineata dalle parti sociali, di procedere ad eliminare dalla normativa esistente le molteplici forme di discriminazione indiretta che limitano l’accesso al lavoro ed alla fruizione di molti diritti chi non sia di nazionalità italiana, discriminazione nelle norme che dà tacito consenso a chi la discriminazione la fa anche direttamente.
In particolare pesa (in un Paese in cui i processi
d’integrazione sono rallentati dall’estesa presenza di migranti
irregolari occupati nell’economia sommersa), l’assenza di una
normativa che promuova quei diritti civili che fanno sentire
italiano anche chi non sia nato nel nostro Paese: e cioè il
diritto (amministrativo almeno) a votare e a presentare propri
rappresentanti, per i cittadini stranieri che lavorano e vivono
regolarmente con noi, pagano le tasse, mandano i figli a scuola,
comprano una casa o mettono su una propria impresa: in una
parola, investono il proprio futuro in Italia, scommettendo sul
buon successo di questo Paese. Sono tanti certo gli aspetti che
compongono il complicato mosaico dei processi d’integrazione: ma
il diritto di voto a un valore simbolico speciale, in quanto se
non hai diritto a votare è difficile che i tuoi problemi siano
rappresentati bene dalla Politica con la P maiuscola. Purtroppo,
a differenza che in altri Paesi europei, il nostro è da ben tre
legislature che non procede alla firma e ratifica del capitolo C
della Convenzione di Strasburgo, senza contare quella delle
Nazioni Unite del 1990 sui diritti fondamentali dei lavoratori
migranti e delle loro famiglie.
Aspetti importanti, specie in un Paese che la pressione
migratoria soprattutto la subisce e che procede a suon di
regolarizzazioni, più o meno mascherate da decreto flussi (1,4
milioni negli ultimi sette anni, ci ricorda spesso la UE). Un
Paese dunque in cui è più facile entrare da irregolare, ed è più
probabile che si trovi lavoro in nero, visto che entrare con
contratto di soggiorno e lavorare alla luce del sole è
difficilissimo. E’ lo stesso Eurispes a dirci oggi quanto pesi
l’economia sommersa in Italia (549 miliardi di euro nel 2007), e
quanto tutto questo funzioni da richiamo per l’immigrazione
irregolare che, a sua volta, produce ricchezza sommersa (42
miliardi di euro, dunque l’8% del totale sommerso). Considerando
che nel 2006 gli immigrati regolari hanno prodotto il 6,1% del
PIL nazionale, possiamo di conseguenza immaginare che l’8%
dell’economia sommersa prodotta da stranieri corrisponda ad un
numero di irregolari molto esteso in Italia, così come dimostra
anche l’ultimo decreto flussi del dicembre 2007 e quello del
2006.
In effetti, dopo la regolarizzazione del 2003
(650.000 persone) ed una stasi negli ingressi regolari nel 2004
e 2005 (solo 35 mila l’anno) è seguita una maxi richiesta di
nulla osta nei due decreti flussi 2006 (oltre 600 mila persone)
e quasi 700 mila richieste nel 2007; e questo, malgrado l’uscita
di scena (dai decreti flussi) di rumeni e bulgari. Oramai su chi
entra con questo strumento non finge più nessuno: tutti sanno
che si tratta di stranieri già presenti irregolarmente che
lavorano e vivono nel nostro Paese, che sono funzionali alla
crescita abnorme della nostra economia in nero, ma dei quali
molti settori produttivi non possono più fare a meno. Dunque, si
continua a fingere che sui tratti di persone chiamate
dall’estero, e che il problema degli irregolari (cioè di almeno
un quarto degli stranieri oggi presenti in Italia) non ci sia.
Tutto questo, però, non è privo di danni soprattutto per il
tessuto sociale e la civile convivenza, senza contare i danni
per il pubblico erario: vivere e lavorare in nero significa
essere privo di diritti, guadagnare meno degli altri, lavorare
in condizioni di rischio, non poter progettare il proprio
futuro, e soprattutto non potersi lamentare e denunciare la
propria condizione, altrimenti il rischio è quello
dell’espulsione, com’è di recente successo al barista straniero
in Sicilia che è andato dai carabinieri a denunciare il padrone
che non lo voleva pagare nella giornata in cui si era
infortunato (sul lavoro). Significa assenza di diritti ed essere
al di fuori di qualsiasi convenzione e tutela contrattuale;
significa anche avere difficoltà a mandare i propri figli a
scuola (sindaco Moratti docet), non poter avere un conto in
banca, non poter accendere un mutuo, dover usare canali
clandestini per mandare i soldi a casa. Significa non avere un
futuro previdenziale e significa anche molti miliardi di euro
sottratti allo Stato.
uol dire anche essere a rischio di devianza sociale, commettere più reati, sentirsi – oltre che essere – ai margini della nostra società, con gravi conseguenze sul piano comportamentale. Come UIL non ci stanchiamo di ripetere quello che i nostri colleghi europei spesso ci segnalano: una democrazia che si rispetti non può tollerare a lungo fasce estese di presenza irregolare di migranti e lavoro nero, senza pagarne il prezzo sul piano di profonde lacerazioni sociali e di cicatrici che rimarranno a lungo nel futuro.
Per questo motivo noi siamo convinti che, qualsiasi governo sarà in carica tra qualche mese, è nell’interesse pubblico e nell’interesse stesso di chi governerà l’urgenza di mettere mano a questa situazione procedendo comunque ad una riforma dell’attuale legislazione, sia in materia migratoria che in quella dei diritti di cittadinanza. Come UIL non siamo fra quelli che imputano tutti i mali all’attuale normativa (la Bossi Fini): sappiamo che le cause dell’immigrazione irregolari sono molte (dall’economia sommersa che funziona da pull factor, dai divari nello sviluppo tra Primo e Terzo Mondo – push factor, dai fattori demografici, ecc.). Non c’è dubbio però che la Bossi Fini abbia provocato gravi danni, rendendo virtualmente impossibile entrare e vivere regolarmente in Italia, e dunque moltiplicando la convenienza ad entrare in forma irregolare.
bisogna, dunque, cambiare e la direzione non
può che essere quella di una normativa che renda più facile
entrare regolarmente in Italia, accompagnata da norme che
colpiscano davvero il lavoro nero, e norme che cambino il
concetto di cittadinanza restituendo anche a chi non è nato in
Italia, pienezza di diritti ed assenza di discriminazioni.
Oggi, comunque, abbiamo anche l’emergenza dei 500 mila cittadini
stranieri che rimarranno fuori dal decreto flussi 2007. A loro
riguardo, bisognerà decidere se il diritto a “regolarizzare” la
propria posizione è un privilegio che viene dalla fortuna di
vincere la lotteria dei flussi, e se quindi queste 500 mila
persone (ed altre ancora presenti in Italia senza permesso)
dovranno essere espulse. Oppure se, come in tutte le democrazie
che si rispettino, si debba garantire parità di diritti a tutti
quelli che hanno un datore di lavoro che li vuole assumere. E’
questo a nostro parere un atto di giustizia ed – insieme –
un’urgenza di pubblico interesse che deve essere attuato
attraverso un secondo decreto flussi che consideri valide tutte
le domande di assunzione regolari presentate. E’ giusto che lo
faccia l’attuale Governo (magari all’interno del decreto mille –
proroghe che va votato entro febbraio) o – se non sarà possibile
– chiediamo che sia uno dei primi atti del nuovo Governo.
E’ interesse, crediamo, di tutti riprendere
in mano la patata bollente dell’immigrazione e cominciare a
governarla davvero. Questo si può fare solo se si guarda
all’interesse vero dell’Italia che ha bisogno di immigrati
onesti che lavorano alla luce del sole e non di lavoratori di
serie B condannati ad un futuro sotterraneo.