«Africa fuori del tutto dai
tg?
Sarebbe un vero disastro»
da Avvenire del 3
febbraio 2010
Una scelta miope e sciagurata. Che accrescerà strutturalmente il
tasso di provincialismo dei telegiornali. E farà perdere all’Italia i treni che
partono dalle aree emergenti del mondo. La galassia dell’associazionismo e delle
organizzazioni non governative critica compatta la previsione (per ora come
ipotesi), nel bilancio Rai 2010, di chiudere cinque sedi di corrispondenza nel
Sud del Mondo e il canale RaiMed.
Per fare aprire nel 2005 la sede di Nairobi, la Tavola della Pace condusse una
battaglia tenace. «Era una delle richieste della campagna "Diamo voce alla pace"
– ricorda il coordinatore Flavio Lotti – cui avevano aderito Usigrai, Fnsi,
Articolo 21 e le testate Redattore sociale, Missione oggi, Nigrizia e Mosaico di
pace. La stessa richiesta dell’editoriale congiunto delle riviste missionarie:
"Notizie, non gossip"». Dopo la raccolta di firme per aprire la sede di Nairobi,
ora la Tavola della Pace si prepara a una nuova mobilitazione contro la
chiusura. «Sarebbe un disastro – dice Lotti – perché equivarrebbe a chiudere gli
occhi su interi continenti. Il servizio pubblico ha il dovere di fornire agli
italiani gli elementi per capire i grandi temi internazionali. Sono strumenti di
democrazia».
Rinunciare ad avere osservatori diretti «significa accontentarsi di quello che
passano i soliti canali. Sull’informazione in queste aree si gioca una partita
grossa». RaiMed, poi, «è un canale di dialogo col mondo arabo – ricorda Flavio
Lotti – e uno strumento di diplomazia. Mi auguro che la Farnesina intervenga: il
ministro Frattini sa bene che sono aree strategiche per gli interessi del Paese.
Francia, Spagna e Stati Uniti investono nel Mediterraneo, noi diciamo addio a
opportunità politiche ed economiche. E questo quando potremmo essere il Paese
capofila dell’Ue nei rapporti con la sponda meridionale». Stesso discorso per la
sede di Nuova Dehli: «Dopo la Cina, è l’India l’economia emergente».
«Una sciagura», commenta Sergio Marelli, segretario generale di Volontari nel
mondo-Focsiv, il cartello delle Ong di cooperazione allo sviluppo di area
cattolica. «I telegiornali Rai – dice Marelli – assomigliano ogni giorno di più
a rotocalchi, tutti ripiegati a scrutare l’ombelico nazionale. E questo mentre
l’Italia vorrebbe contare di più come presenza internazionale. Avanti di questo
passo ridurremo l’informazione a gossip e provincialismo. Viene da rimpiangere
quando lamentavamo che dell’Africa si parlava solo in caso di crisi umanitarie.
Ora rischiamo il silenzio...».
«Sarebbe un grande passo indietro», commenta Sergio Cecchini. Il responsabile
comunicazione di Medici senza frontiere Italia ricorda che la sede Rai di
Nairobi «era stata intitolata proprio a Ilaria Alpi, una giornalista che ha
perso la vita perché cercava di raccontare quello che stava succedendo davvero
in Somalia». Il rischio «è che dell’Africa si torni a parlare solo per
stereotipi: crisi umanitarie, guerre tribali, epidemie. Oppure per le stelle
emergenti del calcio e i mondiali in Sudafrica». Già oggi, dice Msf,
«l’Osservatorio di Pavia registra una contrazione dell’informazione sul Sud del
mondo, relegata a orari da nottambuli.
Anche altre testate internazionali stanno tagliando, ma non sull’unica sede di
corrispondenza di un intero continente». Medici senza frontiere paventa un altro
pericolo. «Oggi l’informazione è sempre più embedded: i giornalisti viaggiano a
seguito dei militari, dei ministri e dei capi di Stato. O anche degli interventi
umanitari di noi Ong. Ma l’informazione deve essere indipendente».
Luca Liverani