LA MIGRANTES AL IV CONVEGNO ECCLESIALE NAZIONALE DI VERONA

 

Dell’aerea della Migrantes sono settantacinque quelli che parteciperanno al Convegno Ecclesiale Nazionale di Verona, su invito del Comitato organizzatore: 13 dell’organico della Migrantes nazionale, 20 italiani all’estero, 30 immigrati laici in Italia e 12 coordinatori nazionali della pastorale per gli immigrati cattolici. Si ha poi notizia che anche in sede diocesana sono stati designati altri operatori della pastorale migratoria. La Migrantes esprime gratitudine alla Cei per questo significativo gesto di riconoscimento che il mondo migrante non è ai margini dell’attenzione e della vita della Chiesa italiana. Con gli invitati al Convegno essa è in stretto contatto perché vi possano partecipare con ruolo attivo; si è infatti convinti che questi cattolici stranieri molto attivi nelle rispettive comunità etniche, saranno in grado di apportare uno specifico contributo, in particolare nei lavori di gruppo dei vari ambiti, in sintonia con quanto si legge nel Comunicato finale del recente incontro del Consiglio Episcopale Permanente: “I Vescovi, ribadendo l’importanza del lavoro nei gruppi di studio, hanno espresso l’auspicio che il convegno possa costituire una reale occasione di dialogo e di partecipazione e i convegnisti si possano esprimere liberamente, interpretando il loro ruolo di protagonisti e di delegati capaci di delineare, in piena comunione con i loro pastori, i futuri orizzonti culturali e pastorali della Chiesa italiana”

 

 

 

) HÉLÈNE, LA BURUNDESE, AL CONVEGNO DI VERONA AVRà LA SUA PAROLA DA DIRE

 

Hélène (ma il suo vero nome, coperto dalla privacy, suona più dolce) è una giovane universitaria proveniente dal Burundi, con lo status di rifugiata e ora risiede in una città della Campania. É una delle trenta persone immigrate invitate a partecipare il prossimo ottobre a Verona al Convegno Ecclesiale Nazionale, per arricchirlo di un loro specifico apporto. Infatti, in riferimento alla “speranza”, parola chiave del convegno, e ai suoi vari ambiti, come “vita affettiva, fragilità umana, cittadinanza”, Hélène, come gli altri trenta convegnisti, ha certamente qualcosa di particolare da dire, anzi da testimoniare. Sentiamo qualcosa direttamente da lei.

 

Helène, da quanti anni sei in Italia?

Esattamente da dieci anni, arrivai quando ero ancora quasi bambina, come del resto i miei due fratelli, poco più grandi di me, mentre il più piccolo aveva appena tre anni.

 

Sicché è passata in Italia la famiglia al completo.

Quattro fratelli e la mamma; non il papà che nell’ottobre del 1993, la stessa notte del colpo di stato, quando è stato ucciso il Presidente della Repubblica, ha subito anche lui la stessa sorte.

 

Ed anche il resto della famiglia ha passato dei rischi?

La mamma si è salvata perché era all’ospedale col bambino più piccolo, noi tre invece più grandi eravamo a casa e ci siamo salvati perché provvidenzialmente degli uomini armati si sono piazzati davanti alla nostra abitazione mentre passava l’orda rivoluzionaria che distruggeva e massacrava con furia selvaggia. E così siamo stati risparmiati.

 

Dalla fine del ’93 all’arrivo in Italia ne è passato di tempo. Che è successo in questo periodo?

Un po’ di tutto. A Bujumbura la capitale era troppo rischioso rimanere. Ci siamo messi al sicuro fuori città presso parenti; ma poco dopo abbiamo cercato rifugio in Rwanda. Non sto a raccontare ciò che ci è capitato anche in Rwanda, lo spaesamento e la mancanza di ogni prospettiva, l’andirivieni anche verso il Burundi, e finalmente la decisione di rifugiarci, come tanti altri burundesi, nel Congo.

 

Una soluzione coraggiosa, anzi disperata.

Coraggiosa sì, disperata no, perché sostenuta dalla preghiera. Una prova durissima, alla quale noi, più grandicelli, abbiamo retto, non però il fratellino di pochi anni, entrato in una seria crisi di salute, dalla quale non si è più ripreso. Ma quando c’è tutto attorno il buio, la mamma ci ha insegnato a ricorrere al Dio della luce, a rimetterci alla sua Provvidenza paterna. E questa Provvidenza l’abbiamo toccata con mano.

 

Che intendi dire?

Proprio in quello sterminato paese africano ci siamo per caso incontrati con un deputato del Parlamento italiano, qui del Sud Italia, che ha preso a cuore il nostro caso e, data la sua autorevolezza, non gli è stato difficile farci entrare in Italia in qualità di rifugiati politici.

 

E da quel momento i vostri grossi problemi si sono andati risolvendo.

Il problema della sicurezza, sì. Per il resto ci siamo sistemati alla meglio, accontentandoci dell’essenziale e lasciandoci trascinare dal coraggio della mamma, dalla sua fiducia nella Provvidenza. Anche qui la provvidenza ha preso talora volto umano come quello delle suore tanto vicine a noi col loro sostegno morale e materiale. La mamma si dava e continua a darsi da fare in cerca di lavori, piuttosto precari, per mantenere la famiglia; e finora ce l’ha fatta, anzi qualcosa di più: mentre il più piccolo ormai adolescente è inserito nella scuola con un’insegnante di sostegno e riceve le cure del suo caso in un centro di riabilitazione, noi tre, ormai in età adulta, siamo iscritti all’università. Questa è stata la volontà tenace della mamma e tutto grava sulle sue spalle. Guardando avanti però c’è qualche spiraglio di luce, anche per il nostro fratello più piccolo che, grazie alle tante attenzioni, sta ricuperando in salute; e poi, fra qualche anno, noi più grandi avremo in mano una laurea, così anche la mamma potrà tirare un respiro. Ma aggiungo una cosa: la mamma, in questi anni, anche se presa da tante necessità, si è sempre guardata attorno per dare una mano a chi è nel bisogno. Si è fatta anche lei, quando poteva, mano della Provvidenza.

 

Grazie, Hélène, della tua testimonianza; parla di queste cose anche a Verona, parla soprattutto della speranza che in questa lunga e dura avventura vi ha sostenuti e continua a sostenervi.